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Il Convegno sulla “biancolella” di Ponza

di Mimma Califano (*)
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Ringrazio Franco e Biagio, per l’interesse dimostrato su questo argomento (per l’articolo e il relativo commento, leggi qui [2]).

Gli obiettivi del Convegno sono stati già sinteticamente riassunti. Seppure, ogni punto toccato, nelle oltre due ore di scambio tra dirigenti regionali e cittadini interessati, meriterebbe ulteriori approfondimenti vista la complessità della normativa del settore. Lasciamo tuttavia tale compito agli specialisti, che si sono dimostrati molto disponibili e potrebbero esserlo ulteriormente se ci sarà un riscontro concreto da parte degli isolani sul tema.

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Vorrei tuttavia dare un contributo per chiarire un paio di passaggi messi in evidenza dall’articolo di Franco De Luca prima e ripreso da Biagio Vitiello poi: la viticoltura eroica e l’associazione.

Un po’ mi dispiace di dover spostare l’attenzione dal fascino delle vecchie cantine ponzesi e dal lavoro delle tante, tante persone che ne hanno tramandato (ed ancora lo fanno) la tradizione, ad un freddo concetto normativo per chiarire il significato di “viticoltura eroica”, ma come detto il Convegno aveva scopi pratici.

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La legge 238 del 2016 che tratta della salvaguardia del vino e dei territori viticoli, all’art. 7 così recita:  – Lo Stato promuove interventi di ripristino, recupero, manutenzione e salvaguardia dei vigneti delle aree soggette a rischio di dissesto idrogeologico o aventi particolare pregio paesaggistico, storico e ambientale, di seguito denominati «vigneti eroici o storici».
Tutta la viticoltura di Ponza ha le caratteristiche per essere classificata “eroica o storica”.
Tale riconoscimento gli dovrebbe essere assegnato – se lavoriamo tutti insieme a tal fine – e si tratta di una qualifica da cui scaturiscono poi diversi effetti, soprattutto economici.

Nel nostro caso, spetta alla Regione Lazio chiedere che i vitigni dell’arcipelago ponziano siano inseriti tra quelli definiti “eroici o storici” ed è anche per poter accedere a tale riconoscimento che è necessario dichiarare i vitigni già esistenti, come è stato sottolineato durante il recente Convegno.
Il raggiungimento di questo obiettivo è strettamente collegato con il secondo punto trattato dal dott. Biagio: l’associazione.

In chiusura del Convegno del 23 settembre si è parlato dell’opportunità/necessità di costituire una Associazione tra i detentori di vigneti, seppure non iscritti allo schedario viticolo (in altre parole può partecipare all’associazione anche chi non ha dichiarato il proprio vigneto) o i titolari di superfici per le quali si deve ancora richiedere l’autorizzazione per un nuovo impianto.

Gli scopi di questa Associazione sarebbero molteplici, riassumibili principalmente nella salvaguardia della biodiversità autoctona (1) (con accesso ai relativi contributi economici), nel recupero dei vitigni eroici (avendo tra l’altro l’opportunità in forma associata di sollecitarne il riconoscimento). Nonché per dare supporto – dal punto di vista normativo, di accesso ai finanziamenti e tecnico -, proprio ai produttori più piccoli e deboli, che non avrebbero altrimenti la possibilità di accedere alla mole di informazioni utili per la propria tutela ed eventuale crescita.
Nessuna “sperequazione” quindi, bensì il contrario: l’Associazione sarebbe un valido (anzi l’unico) strumento di sostegno ai piccoli produttori, anche per quelli che producono il vino solo per la famiglia e pochi amici.
Perciò è auspicabile che questa Associazione venga costituita quanto prima e che un gran numero di persone vi aderiscano.

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Immagino che più di qualcuno che avrà avuto la pazienza di leggere fin qui si sarà domandato come mai all’improvviso la Regione affronta questa tematica.
In realtà sono già diversi anni che l’ARSIAL (Agenzia Regionale per lo Sviluppo e I’innovazione dell’Agricoltura del Lazio), si sta impegnando per il recupero dei vitigni “autoctoni”.

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Il recupero delle produzioni tipiche – è ormai ampiamente affermato – ha una forte valenza economica, sociale e di difesa del suolo per i territori di appartenenza. Tant’è che alla loro ripresa vengono destinate anche significative risorse economiche.

Nel caso nostro, Ponza è passata dai 345 ettari dichiarati a vigneto (quelli effettivi erano molti di più) all’inizio del 1900, agli scarsi 5 ettari attuali (coltivati, in realtà saranno una trentina). Oggi la nostra economia è tutta rivolta al turismo.

Eppure, sappiamo quanto sarebbe fondamentale per la tutela del territorio un incremento della produzione agricola.
Solo qualche sintetico esempio.

L’acqua piovana, non più regimentata, dilava lungo le scarpate, sui terrazzamenti, e un po’ alla volta si sta portando via le parracine e pure la terra.

Non solo, le falesie stesse sono interessate dal fenomeno delle acque meteoriche non più gestite, che stanno velocizzando e accentuando il loro processo di erosione. E noi sappiamo bene quale importanza ha il problema del PAI a Ponza.

Sempre sul tema del turismo, a Ponza siamo abituati a considerare solo il turismo balneare, concentrato nei soli due-tre mesi estivi, mentre enorme è la potenzialità di un turismo “di terra”, possibile perciò negli altri mesi dell’anno.
È enorme il numero di persone interessate a passeggiate in luoghi unici, alla cultura di questi luoghi, alla buona cucina, al buon bere, soprattutto se provenienti da prodotti di nicchia e locali.

E ancora, una ripresa della produzione dai nostri vitigni autoctoni, avrebbe anche un immediato mercato.
Gli unici due produttori locali riconosciuti ormai possono contare su una domanda, per il loro vino, ben superiore alla loro attuale capacità di produzione. In altre parole c’è un eccesso di domanda di vini ponzesi di qualità.

La speranza è che si riesca a far partire un circolo virtuoso che favorisca l’affacciarsi di nuovi validi produttori.

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(*) Mimma Califano – Assessore al PAI/ tutela e sviluppo del territorio

(1) – Sono “autoctoni” a Ponza i vitigni Biancolella, Forestera, Guarnaccia e Piedirosso.