De Luca Francesco (Franco)

In sintonia con l’isola

Francesco De Luca

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L’ho detto al mare. Mi sono liberato finalmente. Era da molto che sentivo l’urgenza di una confessione. Perché la socialità, che tanto ci alletta, costringe a mascherarsi, a nascondere le nostre debolezze.

Prima degli altri sono gli occhi dei familiari, a diventare crudeli. Hanno proiettato nei cari la loro affermazione e non ammettono che dietro la determinazione di facciata possa albergare il timore di non farcela. O la precarietà del rischio.

Nemmeno l’occhio pulito e fiducioso del figlio coglie la fragilità che avvolge ogni scelta. Troverebbe innaturale la debolezza del proprio padre.
E il tuo? Il tuo di padre, come giudica il tuo operato? Con severità. Scruta con rigore. Non ammette esitazioni perché ha investito il suo orgoglio sulla capacità del figlio di dominare gli eventi. Il suo fallimento lo ha già provato e quello del figlio gli toglierebbe fiducia nella vita.

La vita capite? Il tesoro più ingente che si possiede si mette sulla bilancia del successo sociale. Quale sciocchezza!
Ma l’esclamazione rimane in gola. Come fai ad affermarla? Il contorno sociale vive di parvenza, di opportunismo, non di verità. Non la si può gridare. Meno che mai la puoi gridare tu che hai al piede la palla del gioco.

Il pubblico sociale delira, e partecipa alla recita, che è la vita di tutti i giorni. Ognuno di quelli che sta sugli spalti ad applaudire conosce la farsa cui partecipa. Fa finta di divertirsi. In verità si dilania perché nella competizione c’è appagamento dell’istinto non quello del cuore. Sentimento e istinto. Seguono percorsi diversi. Il sentimento si muove lentamente. Oggi si uccide infatti con la bomba atomica e non con l’ascia di pietra, ma si piange la morte oggi come milioni di anni fa. Il sentimento si soffoca, l’istinto esplode. I sentimenti erompono quando sono allo stremo. E non si rivolgono a chi sta vicino. Io, almeno, non ho avuto il coraggio di rivolgermi a chi mi sta accanto.

Mi sono confidato perciò col mare. La mia debolezza ha cercato in lui un sostituto al mio gruppo sociale.

Stamane il sole era quello discreto, quello che si è sfogato appieno in estate ed ora sente la stanchezza. Si è alzato tardi, ma ancora vuole dimostrare d’essere l’incontrastato signore della volta del cielo.

Il mare pareva stesse in attesa di qualche evento. Piano e immoto… Ho raggiunto quella caletta contrassegnata dallo scoglio che sbruffa. E’ nelle vicinanze di cala Lucia Rosa. Nessun segnale di inquietudine dallo scoglio. Lì, alle spalle la montagna smangiata dai venti, alla base una spiaggetta, come un invito a prendere l’acqua e toccare i sassolini puliti dall’andare eterno delle onde.

Ho ripreso finalmente il mio mare. L’ho sentito come un fratello che ti abbraccia dopo una gara. Mi sono confessato. Le mie irrisolte insoddisfazioni, gli inamovibili dubbi, gli sforzi inconcludenti. Li ho detti al mare.

Lo stridìo del falco mi ha rimbrottato: “E’ facile… è facile parlare al mare. Sono i tuoi simili, a loro ti devi rivolgere, perché essi hanno una coscienza attiva, come la tua. Il mare è passivo. Accoglie, ingurgita, ma non reagisce ai pensieri”.

Il falco disegnava le sue planate e ho capito che era la mia coscienza ad attribuirgli voce. Sì, è vero, mi sono liberato delle inquietudini. Fintamente. Stazionano nel profondo di me e non mi lasciano. Non me ne libererò

Ho nuotato e sono giunto allo scoglio. Il foro dello sbruffo continuava ad essere muto. Soltanto nell’intimo il contrasto vociava. Tutto era sereno, non l’animo.

Ho dato uno sguardo alla cala. Come un saluto di fine estate.

Che tutto rimanga perché agli uomini dia gioia.

La troverò diversa il prossimo anno. Perché sarò diverso.

Se si riesce a trarre gioia dalle esperienze, si lascia gioia. Quest’isola, che è conformata per dare sollievo agli uomini, raccoglie gli aneliti.

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