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L’incidente più grave

di Francesco De Luca

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“Ma com’è che ti chiamano Gennaro?”.
“Io mi chiamo Antonio Vitiello ma sono conosciuto come Gennaro perché sono nato nel giorno di san Gennaro”.

Vittoriano lì vicino interviene: “Chiste è tutta na stranezza!”.
Gennaro lo guarda rassegnato. Evidentemente non è nuovo a questi giudizi su di lui.

Stiamo fuori l’atrio della ASL a Tre Venti e dobbiamo aspettare il turno per il prelievo del sangue. E’ mercoledì, giorno di analisi.
Vittoriano, mezzo sigaro in bocca, spento, mi anticipa che Gennaro a suo tempo fu vittima di un naufragio.
Mi faccio curioso e lo devo dimostrare in viso perché mi sciorina l’accaduto.

L’amico Gennaro possedeva una motobarca (dieci-undici metri), era novembre e pescava a merluzze. Prima decade degli anni 2000. Aveva una barca carica di reti. Allora erano reti di corda e non di naylon. Pesantissime.
“Ma – interviene Gennaro – avevo anche le reti a rutunne. La barca era appesantita. Le mie zone di pesca però non erano lontane dall’isola. Stavo fra Palmarola e Ponza”.
Getta la rete ma in modo non continuo. “E certo – interviene Vittoriano – a bordo stavi solo!”
“Sì, stavo solo, e la rete, a picco sotto la poppa, prima la blocca e poi la tira. Un’onda mi fa imbarcare acqua e la barca si impenna, prua in alto e poppa sotto”.

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“Ma quale onda..? – sbotta Vittoriano – non c’era mare…”.
“Sì… mo’ tutte sanno cchiù ’i me. Ie steve a buordo. ’A varca affunnava e io, passanno pe’ coppo, entro in cabina e con la radio chiedo aiuto.
Mi risponde una barca, poi anche un’altra. Lo scafo dolcemente si inabissa. Io, col giubbotto di salvataggio, mi butto in acqua. I segnali sono stati recepiti. Sono ’a fore ’u fanale”.
“Cosa è ’u fanale? – chiedo. Il fanale è il faro della Guardia, e stare for’u fanale significa che il raggio illuminava il promontorio ’i Cap’osche  (Capo Bosco). Praticamente fra Palmarola e Ponza.

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In acqua ci rimane per due ore, in piena notte. Nel frattempo le barche degli amici vanno sul posto e cercano. Vedono la macchia dell’affondamento e da lì si irradiano in cerca di superstiti. In piena notte.

Sulla motobarca san Francesco zi’ ’Ntuono ha un’intuizione: “Seguiamo la corrente di levante perché ha scarruzzate pure a isso”.
“In lontananza vedo luci, rosso, verde, verde, rosso, i fanali divengono sempre più forti. Si avvicinano. Ad una trentina di metri chiamo. Da bordo una torcia cerca fra le onde e mi illumina, e i compagni si avvicinano. Chi piange di qua, chi di là … “ma insomma, terateme a bbuordo…”. 24 novembre ore 2.

Vittoriano morde nervoso il sigaro. “Che è ?” – chiedo.
“Ma insomma… vai a pescare senza compagni, vai stracarico di reti… e meno male che un Santo vegliava su di te”.
“E sì – ribatte Gennaro – quello che dici è vero, però in quei giorni stavo pescando con soddisfazione e non mi era sembrato di fare cose straordinarie.
Però un Santo vegliava su di me, è vero. In pieno mare, in piena notte, col mare che stava ingrossandosi, trovare davanti a sé una persona è un miracolo”.

Non manifesta nessuna emozione particolare Gennaro.
Chiude: “Non auguro a nessuno un’esperienza del genere…”.

 

Foto di copertina. Vittoriano