Attualità

Un Project Based Learning su Ponza

di Eros Grossi

 

PonzaRacconta ha seguito le fasi di sviluppo di  APPonza-La Via del Confino, il progetto di alternanza scuola-lavoro realizzato dal liceo Volterra di Ciampino e dalla Pro-loco Ponza. L’autore dell’articolo, Eros Grossi, docente di Storia, animatore digitale, formatore, ha curato l’impianto metodologico-didattico del progetto.
La Redazione

 

Lisola di Ponza nell’immaginario comune è il correlativo oggettivo di tante cose (quali, ad esempio, svago, relaxriposo); tutte facilmente catalogabili nel campo semantico della vacanza. Cosa avverrebbe però se a queste piacevoli parole ne associassimo per contrasto altre quali confinodittaturacontrolloschedatura?
Di certo la piacevolezza del nostro primo fantasticare verrebbe rovinata dall’evocazione di un periodo buio della storia italiana, quale fu quello del ventennio fascista.
Difatti, tra il 1928 e il 1943, Ponza è stata, al pari della più nota e vicina isola di Ventotene, colonia confinaria: ovvero luogo deputato all’isolamento e al controllo di individui ritenuti pericolosi dal regime. Nell’arco di un quindicennio, l’isola ha ospitato numerosi oppositori politici di varia estrazione sociale e fede politica: dal socialista Sandro Pertini al comunista Giorgio Amendola, dal legionario dannunziano Mario Magri (poi tragicamente trucidato alle Fosse Ardeatine) al Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Domizio Torrigiani. E questo per fermarsi solo ad alcuni dei nomi più noti negli annali della storia; accanto ad essi, tuttavia, ne restano tanti altri oggi finiti nell’oblio.

 

 
Al turista che oggi si muova spensierato per l’isola, di questo triste passato non arriverà quasi eco alcuna. Eppure, per dirla con Proust, “il passato non solo non è fugace, ma resta fermo” per quegli occhi, si vorrebbe aggiungere, che vogliano e sappiano cogliere le tracce che esso, il passato, ha disseminato in mezzo al nostro presente. E questa sorta di sguardo è proprio quello che la mia collega Rita Bosso, ponzese di origine nonché scrittrice e cultrice di memorie locali, ha saputo nel tempo coltivare, riuscendo a tirar su da fonti di varia natura (pubblicazioni, foto d’epoca, memorie orali ecc.) un discreto archivio personale sulla storia del confino a Ponza.
All’inizio dell’anno scolastico Rita, conoscendo il mio interesse per la storia e le nuove tecnologie digitali, mi ha avvicinato assieme al mio collega di informatica Massimo Pescatori. Rita aveva un’idea ben chiara nella mente: realizzare un’ app per dispositivi mobili che consentisse di localizzare, nell’attuale tessuto urbano, i luoghi del confino, raccontando allo sprovveduto visitatore (o anche all’ignaro abitante del posto) le storie dei confinati. Un’idea bellissima e originale, a cui inizialmente (come spesso mi capita) ho posto una serie di resistenze, inerenti la fattibilità del prodotto con le nostre risorse e competenze. Fortunatamente la caparbietà della mia collega ha avuto la meglio; e questo post sta appunto qui a testimoniare un’impresa scolastica in cui ho potuto mettere alla prova un modello di apprendimento per progetti (project-based learning), che ben si sposa con un’attività di alternanza scuola-lavoro.

L’apprendimento per progetti è una modalità di insegnamento sperimentata con successo già da alcuni decenni.
Una chiara definizione del PBL – com’è noto, con un acronimo, il project-based learning nel mondo anglosassone – è possibile trovarla sul sito del Buck Institute for Education (attivo in California fin dal 1987). Il pbl appare qui come un approccio che consente agli studenti di acquisire progressivamente un bagaglio di conoscenze e competenze di natura interdisciplinare, grazie ad un lavoro che si sviluppa lungo un arco di tempo consistente. Ed è proprio il fattore tempo l’elemento che, a mio avviso, potrebbe rappresentare l’ostacolo maggiore all’introduzione dell’apprendimento per progetti nella secondaria superiore italiana, dove nei fatti sopravvive ancora un sistema rigido e organizzato in discipline concepite come camere a tenuta stagna, mentre lo spirito che anima questa tipologia di apprendimento ha un approccio assai vicino al motto popperiano “Non esistono le discipline, ma i problemi”. Alla luce di questo, è chiaro che il pbl, per essere attuato con profitto, necessita di una revisione del curriculum e dell’intera organizzazione scolastica.  Attraverso la guida fornitaci dal Buck Institute sul proprio sito, possiamo di seguito elencare gli elementi che caratterizzano il project-based learning:

  • Conoscenze e competenze: in ogni buon progetto trovano sviluppo quelli che vengono riconosciuti come i contenuti fondamentali di una o più discipline, accanto alla capacità di applicare queste conoscenze al mondo reale e utilizzarle per la soluzione di problemi o per rispondere a quesiti particolarmente complessi (oltre eventualmente ad un loro utilizzo per la realizzazione di prodotti/artefatti di buona qualità);
  • Questione o problema stimolante: al centro di tutto deve esserci un problema da investigare o risolvere oppure una questione da esplorare o a cui trovare una risposta. Tale questione o problema può essere di natura concreta (ad es., elaborare un piano per il riciclo dei rifiuti prodotti da una scuola) oppure di natura astratta (ad es., decidere se e quando la decisione di intraprendere una guerra può essere considerata un’opzione legittima);
  • Ricerca di lunga durata: il progetto, come già ripetuto, deve necessariamente avere una durata di una certa lunghezza. Proprio perché coinvolti in attività di ricerca che presuppongono, ad esempio, l’acquisizione di dati, la conduzione di interviste o la progettazione di un prodotto, gli studenti si ritrovano a dover dedicare una quantità di tempo che supera di gran lunga il limite di pochi giorni di lavoro;
  • Autenticità: nel settore dell’educazione e dell’apprendimento, autenticità indica necessariamente il legame con il “mondo reale”. Questo obiettivo si raggiunge sviluppando progetti che possono essere ancorati ai bisogni degli studenti oppure al contesto in cui essi vivono. Pertanto un progetto autentico può essere quello in cui si realizza un’app per la gestione dell’orario di lezione in un istituto, come anche la realizzazione di un evento di beneficenza per una raccolta fondi;
  • Il punto di vista dello studente: gli studenti devono necessariamente fare le loro scelte, esprimere le loro opinioni, rivedere scelte già fatte e rivelatesi non adeguate, quando partecipano ad un progetto di questo genere. In questo modo il loro senso di appartenenza al percorso didattico intrapreso evolverà parallelamente alla sua realizzazione;
  • Riflessione: c’è bisogno che un progetto di questo tipo preveda dei momenti strutturali dedicati alla riflessione, la quale deve essere intesa come parte integrante della costruzione dell’attività stessa. Solo riflettendo su quanto vissuto e realizzato, gli studenti potranno acquisire piena consapevolezza del valore dell’esperienza di apprendimento vissuta;
  • Critica e revisione: parte della riflessione, ma distinta da essa, è quella di critica e revisione che gli studenti devono ricevere come feed-back sul loro lavoro. Tale feed-back sarà tanto più di valore quanto più assume le forme di giudizio espresso dai vari attori che intervengono nella realizzazione del progetto: ad esempio, gli insegnanti, i pari oppure gli esperti del mondo del lavoro coinvolti;
  • Pubblicità: avendo creato un “prodotto tangibile”, gli studenti devono poterlo presentare al di là delle quattro mura di una classe o di quelle della loro scuola. Infatti, l’aggiunta di questa dimensione sociale più vasta, accresce necessariamente il livello di qualità dell’apprendimento stesso, oltre a riconnettere direttamente la scuola alla comunità più ampia del territorio circostante. Quando uno studente presenta il suo lavoro all’esterno, inoltre, a guadagnarne è lo stesso istituto, il quale ha così l’opportunità di dimostrare di non essere soltanto creatore di un sapere unicamente finalizzato al voto scolastico.

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