Ambiente e Natura

Sotto l’ombrellone

di Francesco De Luca

 

Io a Formia e Dino pure. Io liceo scientifico e Dino istituto tecnico. Terzo anno. Risultati soddisfacenti, perciò in estate nessun impegno lavorativo. Le nostre due famiglie seguono la stessa procedura e con noi adottano lo stesso patto. Ci tengono agli studi se noi facciamo progressi. I loro sacrifici devono essere compensati dai nostri successi.
Il tutto percepito e seguito con semplicità, senza ampollosità. Normale prassi familiare.

Oggi decidiamo di andare alla scoperta della nostra isola. Ci accomuna questo spirito di conquista del nostro mondo isolano.

I faraglioni della Madonna. Sono lì da sempre. Ricchi di ricercatezze naturali. Il passaggio in mezzo agli scogli, ma anche la grotta di Circe dove si aprono finestroni nella roccia: uno sul Calzone Muto e uno sul Cimitero. Eppoi la grotta di Ulisse dove l’acqua, per l’effetto della luce filtrata da una apertura sotto la superficie del mare, si mostra argentea se agitata.

Oggi è martedì, non c’è tanta gente per mare e quindi non daremo né subiremo troppi fastidi dalle barche da diporto.

Ancoriamo vicino al secondo scoglio e ci tuffiamo. Rasentiamo la parete. Immancabili i rossi pomodori di mare. Dino da una parte e io dall’altra.

Procedo e mi accorgo che la roccia si incurva in dentro, facendo un cavo. Mi immergo. E’ vero, c’è come una grotticina. Riemergo e soppeso che fare. Non rifuggo. Ritorno sotto e vedo, dal basso, che l’acqua fa come da specchio.

Sono incuriosito, ma un poco di timore lo provo. Cosa è che dovrei fare ? Andare sotto ed emergere dove vedo l’acqua che riflette la roccia. E se mi sono sbagliato? L’aria a disposizione non è tanta. In fondo potrei trovare un cavo come ce ne sono tanti. Vale la pena ?

Mi faccio risoluto, prendo un grosso fiato – come se fosse utile! -, mi immergo e con cautela, seguendo la parete con le mani, mi rivolgo verso il cavo.

Ci sono i ricci. Le mani non posso usarle. Il cavo che mi sembrava evidente prima ora non si distingue più tanto. I guarracine mi girano intorno e mi distraggono. Il fiato scarseggia. Non posso mantenermi più tanto prudente. Punto in alto e… il tubo tocca. Ma non c’è acqua. Lì sotto, nell’incavo, c’è una bolla d’aria. L’acqua mi arriva al naso per cui riesco a vedere la consistenza di questa grotticina davvero minuscola. Sotto il livello del mare, nel secondo scoglio dei faraglioni della Madonna.

Rimango qualche minuto, l’aria che respiro, la sento in bocca, è calda e satura di umidità. Poi, mi rivolto come un’anguilla, perché lo spazio è angusto, e riconquisto l’aria.

Non sto nella pelle. Vado in cerca di Dino per dirglielo. Incontro due sub con respiratore in cerca del presepe, giacente sul fondo. Dino non c’è. Forse sta esplorando il versante dello scoglio che guarda la Parata. Ci rinuncio. Mi dirigo verso la barca.

Quando sono vicino vedo che Dino è già su. Salgo anche io e gli dico la novità. Non ci crede. “Come? Vai là sotto e la vedrai! – ribatto.

“Ma non può essere, eppoi… da dove entra l’aria se non ha aperture verso l’esterno?”
“Non lo so… ci entrerà quando il mare è in burrasca e lì staziona fino al…”
Mi interrompe: “Mah… ci andremo domani”.

S’è fatta l’una. Dino deve ritornare a terra perché suo fratello Peppe va al mare con gli amici. La barca è la stessa. Di legno, quattro metri e mezzo, con fuoribordo da 15 cavalli. Se la devono dividere senza litigi se no il padre la toglie ad entrambi. Il fratello frequenta l’università, ma se la piglia abbastanza comoda. Un po’ d’attrito c’è perché hanno caratteri diversi. Peppe è opportunista e sfrutta la bontà del padre, e anche il suo portafogli. Nel negozio non ci va mai. In estate fa venire amici e amiche, li ospita e se la spassa. Il padre si lamenta e si confida con Dino ma non ha la forza di costringerlo al lavoro. È affetto dalla malattia di quasi tutti i ponzesi: esigenti con i manovali, specie se extracomunitari e sbrodolosi con i figli.

Dino non è della stessa pasta e perciò va d’accordo con me.

Oggi la giornata si presta anche per andare a Palmarola. Ma a noi è presa questa mania qui. Cerchiamo tutti gli anfratti, sopra e sotto il mare, per divenire possessori dell’isola. Non fruitori dell’isola ma padroni. Nel senso di conoscitori speciali.

La nostra isola ce la vantiamo in ogni occasione. Lo dicevo l’altro giorno a Dino. Col professore di latino ho fatto accenno a Ponza e alla sua stretta colleganza con i Romani, e lui si è illuminato. Pontus – ha detto – ossia terra nel mare.

“Sì, professò – ho ribadito – ma non è del tutto sicuro che Ponza derivi da pontus”.

Mi ha guardato prima indispettito e poi ha esultato: “Bravo, cominci a trovare interesse nella conoscenza classica”.

Gli avrei voluto rispondere: “Ma professò, guarda che io studio come si deve…”, poi ho desistito. Si sa che ai professori bisogna dare sempre ragione per poterne godere i favori.

Dino ha annuito. Pure lui ha sempre ricevuto risposte bonarie ogni volta che ha messo in causa Ponza. Perché l’isola gode di una considerazione privilegiata. L’isola è la terra che c’è ma non si sa come è! Come si vive in un’isola? Come ci si organizza in un’isola?
La gente comune, quella del continente, non sa cosa pensare. L’isola disorienta, destabilizza, l’isola mette alla prova.

Ne siamo consapevoli. Ecco perché vogliamo passare le vacanze alla maniera isolana non alla maniera dei turisti. Ne vogliamo scoprire i lati nascosti, quelli che danno risalto alla sua unicità. Ponza non è Capri, non Ibiza, ha una ricchezza di particolarità naturali nelle coste che ne esaltano la bellezza. Su di esse la comunità degli isolani ha costruito la sua esistenza. Oggi messa in mostra ma ieri essenziale alla vita degli isolani.

Questa coniugazione fra la sussistenza e la bellezza è il retaggio che ci viene dalla storia e che va esaltato da noi. Giovani isolani.

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