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La consapevolezza del nulla dà vita ad un cuore compassionevole

di Silveria Aroma

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Nei primi tempi in cui vagabondavo per l’isola, con il mio vecchio zaino e la macchina fotografica al collo, mi capitava di imbattermi in qualche sguardo sospettoso.
Sorridendo, anticipavo la domanda – A chi appartieni? – e mi presentavo.
– Vengo in pace, sempre. E vago alla costante ricerca di quiete, quella che solo la natura riesce a darmi.

La consuetudine crea normalità, ed ora riesco a peregrinare – fra clivi e colli – passando inosservata, o quasi.
Spesso mi fermo a raccogliere pensieri e brevi storie di chi incontro, immergendomi fino in fondo nei loro occhi, con interesse mai sopito.

Gli argomenti possibili sono i più disparati; partono dalla corriera con “quelli che non scendono mai a Ponza”, passano attraverso le leccornie di mammà, valicano i confini dei terreni coltivati dai nonni dei nonni, accarezzano ricordi e approdano alla rivelazione dell’Apocalisse che è sempre vicina, da secoli.

A tale proposito aprirei una breve digressione per consigliare la lettura di questa parte del Nuovo Testamento che merita di essere affrontata.
Leggere è allargare i propri orizzonti, e – con un po’ di fortuna – allagarli di nuove impressioni.

Tornando a casa, talvolta mi chiedo quale potrebbe essere la giusta via per spiegare che il senso dell’ecologia abita nella semplicità.
Essere ecologisti significa anche coltivare la terra, tenere aperti i sentieri, riciclare il più possibile dando nuova vita alle cose finite.
Attitudini che associo a mani segnate dalla fatica più che a bocche rigurgitanti teorie.
Non serve specificare quale sia il valore del rispetto per l’ambiente, e quanto sia importante l’educazione in genere. Ciascuno di noi è in grado di riconosce quasi istintivamente queste cose. E’ sufficiente accantonare per un solo attimo la nostra mera convenienza per ricordare la via di un buon equilibrio uomo-natura.

L’educazione in questo senso credo sia fondamentale, non un’educazione impartita con rigidità e contrasto bensì sviluppata attraverso la scoperta e l’avvicinamento alla bellezza della vita in tutte le sue forme.

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Nel 2012 si tenne a Ponza un corso di formazione per guide naturalistiche.
Le lezioni teoriche si tenevano al chiuso, stavamo seduti come a scuola, la parte pratica ci vedeva all’aperto, immersi nella natura. Trascorremmo un intero giorno in quella meraviglia che è Zannone, sistemati per terra, in una sorridente miscellanea di allievi ed insegnanti. Un altro modo di vedere e interpretare le cose diveniva possibile.

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Per decenni l’ecologia è stata propinata come una materia-castigo. Da qualche anno – per fortuna – ha una veste nuova, con un approccio più coinvolgente e comunicativo che prende anche il nome di Interpretazione Ambientale.

Questa nuova metodologia si sta diffondendo e fornisce risposte concrete ed efficaci a chi gestisce, amministra, dirige o lavora sul campo in aree protette, parchi naturali, fattorie didattiche… e a tutti gli appassionati che desiderano vivere l’ambiente in maniera più intensa. Lo scopo è quello di conoscere meglio, valorizzare e tutelare il patrimonio naturale e culturale di ciascuna area secondo le sue specifiche (talvolta uniche) caratteristiche.

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Avvicinarsi alla natura con gentilezza, con attenzione, può offrire nuove prospettive sensoriali. E sono tante.
Tenere una foglia tra pollice e indice, strofinare la superficie per riceverne l’essenza direttamente sulla pelle senza strappare la stessa può essere un piccolo inizio.
Abbiamo almeno cinque sensi da utilizzare per incontrare la vita, potremmo dimenticare il senso del possesso per un attimo.

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La grande amicizia nata tra me e uno dei professori del corso mi permise di proseguire le lezioni nei boschi d’Abruzzo. Dormire in tenda, lontano dal mondo, con il bramire dei cervi in amore ad ottobre e la fortuna – una ed una sola volta- di sentire l’ululato dei lupi, mi ha reso capace, almeno per brevi tratti, di cogliere il senso dell’ecologia profonda di Gary Snyder (*).

La storia umana, con i suoi linguaggi e le sue migrazioni, è come un’antica foresta di detriti, vecchi e nuovi, mescolati insieme, di vecchi risentimenti riciclati, di vecchie ricette riscoperte e di mitologie perenni che si mostrano, trionfanti, e impudenti, sul palcoscenico. L’’imperativo ecologico’ dev’essere provare a vedere, quale che sia la crisi attuale di cui siamo parte, come questa stessa crisi appartenga a dei meccanismi più ampi e più antichi. Si tratta altresì di un imperativo che onora la diversità della specie, dei linguaggi e delle tradizioni.”
Così Gary Snyder, poeta ispiratore della Beat Generation e Premio Pulitzer nel 1975, rilancia l’impegno alla protezione del pianeta attingendo direttamente all’energia interna dell’ecosistema.

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Il termine ecologia (l’etimo contiene anche casa, la nostra) venne coniato da Ernst Heinrich Haeckel (1834 – 1919) biologo, zoologo e filosofo tedesco, per definire l’insieme di conoscenze che riguardano l’economia della natura; correva l’anno 1866.

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Senza immergerci troppo nella nostalgia del tempo che fu, dovremmo compiere un passo indietro (o in avanti?) e prendere la via del non spreco, e del rispetto di chi verrà dopo.

L’economia difficilmente sposa l’etica, ma noi – per fortuna – siamo liberi di impalmare qualsiasi amore, compreso quello per Gaia.

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Questa terra viva
che scorre
è tutto quel che c’è
Noi siamo lei
lei canta attraverso noi.

“Come poeta coltivo i valori più arcaici che ci siano.
Risalgono al tardo Paleolitico: la fertilità della terra, la magia degli animali,
la visione di potere nella solitudine, l’iniziazione terrificante e la rinascita,
l’amore e l’estasi della danza, il lavoro comune della tribù”

(Gary Snyder)

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(*) – Gary Snyder (San Francisco, 1930 – vivente) è un poeta, ambientalista, saggista e conferenziere statunitense.
Contemporaneo e “compagno di strada” dei poeti e scrittori della beat generation, Keruac, Ginsberg,  Gregory Corso e altri. Lawrence Ferlinghetti lo definì come “il Thoreau della Beat Generation”.
Come raccontato da Kerouac ne I vagabondi del Dharma (in cui fu l’ispiratore del personaggio principale, Japhy Ryder), già all’età di venticinque anni Snyder sentiva di avere un ruolo nel futuro incontro tra Occidente e Oriente. Il primo libro di Snyder, Riprap, influenzato dalla sua esperienza di guardiano nella foresta e di costruttore di sentieri nello Yosemite Park, fu pubblicato nel 1959.

Il titolo del presente articolo riprende una frase di Gary Snyder [NdR – Notizie da Wikipedia, ibidem]