Archeologia

Una liburna per Ponza

di Vincenzo Bonifacio

 

Alcuni anni fa, nel 2001, fui incaricato dalla direttrice dell’Archivio di Stato di Latina, la dott.ssa Lucia Plojer, di scrivere un articolo su Ponza e di tenere una conferenza in merito.
In quel periodo avevo frequentato l’Archivio cercando testimonianze sull’utilizzo delle antiche risorse idriche e la ricerca si era soprattutto dedicata ai cosiddetti “usi civici”.
Optai per questo motivo di trattare le strutture idrauliche romane; il titolo della conferenza sarebbe stato “Approvvigionamento idrico a Ponza in epoca romana: un contributo dalla medicina”.
Quello che avevo potuto attingere dall’Archivio era poco e lo studio oltre alle conoscenze che avevo acquisito sul territorio ed alle mie considerazioni personali, riprendeva molti argomenti trattati nella pubblicazione di Leo Lombardi.
Ciò che soprattutto mi affascinava era la teoria che Ponza fosse una base navale della “classe” di Miseno; ancora oggi sono convinto che quelle teorie debbano essere caldeggiate ed approfondite poiché nelle pubblicazioni a carattere archeologico non ho mai visto fare menzione al ruolo importante dell’antico porto dell’isola.
Una parte di rilievo di quell’articolo riguardava uno studio medico sui rematori delle navi in quanto avrebbe potuto giustificare la necessità di un approvvigionamento idrico nel nostro porto.
In effetti volevo approfondire quello che avevo sperimentato in gioventù, quando a Ponza l’unico mezzo di trasporto sul mare era la barca a remi: ricordo ancora le sudate soprattutto durante le ore più assolate; in tempi più recenti mi aveva colpito un servizio su una gara di canoe disputata in Australia: gli atleti che partecipavano alla competizione attingevano l’acqua da bere tramite un tubicino collegato a un piccolo serbatoio sul fondo dell’imbarcazione, in questo modo era possibile scongiurare sindromi da disidratazione.
Per verificare queste situazioni e per comprendere le modificazioni sull’organismo umano indotte durante l’attività sportiva mi avvalsi anche della collaborazione di colleghi medici del CONI.
Certamente le osservazioni dedotte dall’ attività del canottaggio sarebbero state valide anche per i marinai delle navi “lunghe” (navi militari romane) che a differenza delle onerarie avevano una propulsione prevalente a remi.

Di seguito riporto uno stralcio dall’articolo:

“Ritengo che la quota più cospicua dell’utenza idrica (a Ponza) fosse destinata alle navi a remi, rappresentate per lo più dalle imbarcazioni della flotta romana. A questo proposito, considerando le modificazioni fisiologiche indotte nell’organismo umano da un’attività come il remeggio, per garantire delle prestazioni ottimali è necessario un buon livello di idratazione. Per questo bisogna far attenzione al reintegro dei liquidi e dei minerali persi con il sudore. Certo, per un calcolo preciso bisognerebbe considerare diversi fattori, quali l’altezza ed il peso degli individui, il ritmo di lavoro, la durata del viaggio, le condizioni di aerazione e la temperatura. Di notte, ad esempio, il consumo di liquidi è minore rispetto al giorno ed alle ore più calde; questo farebbe ipotizzare una maggiore attività dei rematori durante le ore più fresche della sera o del mattino. Anche per quanto riguarda le condizioni di aerazione, molti studiosi delle navi romane ritengono che il ponte delle stesse unità fosse aperto, mentre le zone chiuse riguardavano esclusivamente i castelli di poppa e di prora.

Considerando un consumo giornaliero di 5-6 litri di acqua, su una liburna con 52 uomini ai remi ed una quindicina di soldati sarebbe stato necessario imbarcare 300-400 litri al giorno. E’ possibile che ciò avvenisse, ma bisogna considerare che volumi di acqua eccessivi avrebbero finito per compromettere la stabilità, il dislocamento ed il pescaggio della nave. Pertanto, dovendo limitare le risorse umane, una logica conseguenza è che sfruttassero il più possibile la spinta del vento sulle vele. Probabilmente con l’uso del remeggio se la meta era vicina, il rifornimento era effettuato in giornata nel porto di arrivo, se invece era distante era frazionato con scali intermedi di approvvigionamento; se la distanza era maggiore e non vi era la possibilità di soste, insieme alla flotta si sarebbero mosse le navi onerarie con compiti di rifornimento. Quest’ultimo caso è documentato dalle testimonianze degli autori greci e latini”.

Ritornando a Ponza, i punti di approvvigionamento idrico sono diffusi non solo all’interno delle strutture portuali, ma anche in zone esterne o addirittura situate lungo la costa : Cala Inferno, Frontone, Cala dell’Acqua (oggi escluderei Frontone ed avrei dubbi anche su Cala Inferno – NdA). Questo fa supporre che l’isola fosse una “statio”, ossia una struttura intermedia per le navi della flotta (…navium stationi opportunae.., Strabone, Geografia,2).
È logico dunque immaginare che, oltre a base logistica per la flotta romana, Ponza si prestasse altresì ad un traffico di navi da guerra dirette, presumibilmente, ad Ostia, in Sardegna o al porto militare di Miseno. Rimane comunque confermato il principio che la costruzione delle strutture portuali ed idriche fosse finalizzata al supporto logistico della flotta romana.

Quasi in contemporanea all’epoca della mia pubblicazione fui colpito dalla notizia che a Miseno, nell’ambito di un importante progetto promosso dall’Università Federico II di Napoli, sarebbe stata costruita una liburna romana (*).
L’imbarcazione, realizzata rispettando i canoni progettuali dedotti dalle conoscenze del mondo antico, avrebbe solcato i mari ed avrebbe coperto, secondo le intenzioni dei ricercatori, un itinerario che toccava molte località costiere in direzione sud.  Purtroppo il progetto non andò a termine, ma ritengo che sarebbe stata una buona occasione per verificare i parametri organici dei rematori durante la navigazione; sarebbe stato inoltre bellissimo convincere i responsabili a dirigere la nave verso la nostra isola: avremmo ammirato una liburna romana nel porto di Ponza così come avveniva al tempo dei romani.

 
Note

(*) La liburna prende il nome dal popolo dei Liburni (pirati della Dalmazia, nella zona di Iader – attuale Zara). Utilizzata per la prima volta durante la battaglia di Azio ( 31 a. C., nel mar Ionio, sulla costa occidentale della Grecia) fu la battaglia navale che concluse la guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio. Fu adottata da Augusto come modello per le sue flotte, risultando la migliore tra le navi a disposizione.
Era una nave stretta, veloce e molto manovrabile, adatta agli inseguimenti, al supporto logistico e al rapido trasporto di truppe. Poteva essere a due, tre, fino a sei ordini di remi, almeno in epoca imperiale (sintesi da Wikipedia, a cura della Redazione)

Battaglia di Azio. 31 a.C. Dipinto di Lorenzo A. Castro. 1672

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