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Da Zara a Ponza

di Rita  Bosso

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Andrea e Paolina Mazzella tornano a Santa Maria a dicembre del ’42; hanno due figlie, nate a Lagosta, un terzo in arrivo, ‘ncriato a Zara, e l’intenzione di allargare ulteriormente la famiglia. La fame che trovano a Ponza è la più nera che si possa immaginare, i volti sono così emaciati da risultare irriconoscibili: è la fame di una guerra di cui si conosce l’esito ma non la data di conclusione.
Le vicende dei Mazzella sono un tessuto a trama larga attraverso cui scrutare la Storia; lasciamoli dunque riprendere i contatti col paese natìo, ingaggiare la lotta quotidiana con la bestiaccia famelica e poi imbarcarsi, attraversare l’Atlantico, approdare a New York, ricchi delle ricchezze dei poveri: sei figli e la capacità di faticare.

Braudel scrive che il Mediterraneo è solcato da rotte che hanno come unica motivazione la fame; povere sono le terre e poveri sono i mari, il destino delle genti è salpare, migrare, non aspettare ‘u cocco munnato e buono. La citazione non è proprio letterale, spero che Braudel non si rivolti nella tomba.

Il faro di Pelagosa

Il mio amico Admeto Verde – nonché amico di Ponzaracconta, a cui più di una volta ha fornito collaborazione-  a proposito delle isole dalmate passate all’Italia scrive: “Tra le isole acquisite dall’Italia nel 1920 c’era la disabitata Pelagosa, di fatto la più estrema delle isole Tremiti, che fino al 1861 era appartenuta al regno delle Due Sicilie, poi annessa al regno d’Italia, e che nel 1866, dopo la sconfitta di Lissa, era stata occupata dall’Austria. Nel 1947 Pelagosa passò, in base al trattato di pace, alla Jugoslavia.”

A questo punto la storia assume i toni del deja vu. Pelagosa è un piccolo arcipelago formato da tre isolotti e da alcuni scogli; attualmente ricade in territorio croato ed è disabitato. Nel 1843 Ferdinando II di Borbone, nell’ambito dell’azione di popolamento delle Tremiti, destinò alle isole Pelagose alcune famiglie di pescatori ischitani; gli isolotti passarono sotto il dominio asburgico dopo l’unità d’Italia.


L’isola di Pelagosa Grande

Riferendosi alle pagine tratte da Zì Baldone – che io ho ripreso pari pari in Da Lagosta a Ponza – Admeto osserva: Sostenere che il governo italiano a Lagosta “impone agli slavi la cittadinanza italiana, la frequenza di scuole italiane e la rinuncia alla loro lingua” è fuorviante: gli abitanti di Lagosta, nel 1920, fossero italiani o slavi, acquisirono ovviamente la cittadinanza italiana. Allo stesso modo come gli abitanti italiani di Spalato, di Ragusa (ribattezzata Dubrovnik) o della stessa Lissa acquisirono la cittadinanza iugoslava. Chi non voleva se ne andava, infatti ci furono due piccoli esodi incrociati tra le due nazioni. Chi rimaneva, purtroppo, doveva adattarsi alla nuova situazione. Non erano tempi da bilinguismo, né in Italia, né in Jugoslavia e neanche in democrazie più evolute come Francia e Inghilterra. Il fascismo in questo c’entra poco.

Anche su questo punto Admeto ha ragione. All’epoca le minoranze etniche non erano protette, venivano assimilate senza porsi problemi. Cosa questo significasse lo ha spiegato su questo sito Meta Stoka Debevec, figlia del confinato Franc: “Mio padre era Franc Štoka, nato a Contovello, vicino a Trieste, l’undici agosto 1901 e morto a Ljubljana il 24 agosto 1969. La sua famiglia di pescatori apparteneva alla minoranza slovena dei dintorni di Trieste e, come tutte le famiglie slovene, che in realtà formavano la maggioranza degli abitanti, ha subito una terribile persecuzione da parte dei fascisti. Era loro vietato, tra l’altro, di usare la lingua madre, lo sloveno. Il nome della mia famiglia, così come i nomi di tutti gli sloveni del litorale, era ufficialmente cambiato; la versione italiana del nome di mio padre è Francesco Stocca e così è stato registrato come confinato, a Ponza e a Ventotene”.
Anche questa è una storia dentro la Storia.

Immagine di copertina: Andrea e Paolina Mazzella

 

8 Comments

8 Comments

  1. Paolo Iannuccelli

    14 Giugno 2017 at 05:00

    Interessante l’articolo di Rita Bosso sulla vicenda di Giuseppe Mazzella della pizzeria e della sua famiglia.
    Sulle questione adriatiche e balcaniche si potrebbe discuture ore. Io ricordo il grande campione di tennis Gianni Kucel che diventò Cucelli, Leo Weiczen si trasformò in Leo Valiani, Knez in Nesi, Sinkovic in Sicconi, Paulinch in Paolini.
    A Latina sono in tanti i profughi giuliani, dalmati, istriani e fiumani. Il ministro della salute Lorenzin, originaria dell Istria, è cugina del ministro croato del turismo, lui è Lorencin.
    Storie di terre di confine. Il grande scrittore Tomizza le poteva e sapeva spiegare.

  2. Rosanna Conte

    15 Giugno 2017 at 10:26

    Forse una piccola riflessione va fatta.
    E’ vero che il principio della tutela delle minoranze era di là da venire, ma il fascismo c’entra molto.
    Per quelle popolazioni che, all’interno dell’impero asburgico, per secoli avevano vissuto non solo col bi-linguismo, ma in un contesto multiculturale che aveva visto italiani, croati, slavi, convivere pacificamente nel rispetto reciproco, sarebbero state già abbastanza dure le imposizioni dello stato italiano per snazionalizzarle, figurarsi nelle forma violenta che il fascismo ha utilizzato (l’incendio del Narodni dom ne è diventato il doloroso simbolo per gli slavi triestini).
    La violenta sopraffazione fascista che faceva perno sulla nazionalità ha lasciato la sua impronta sulle vicende del confine giuliano-dalmato con risvolti fino all’esodo e alle foibe di vent’anni dopo.
    Ed è proprio la vicenda di Francesco Stoka, il pescatore di Contovello, a farci capire la rilevanza della violenza fascista nella storia successiva di quelle zone.
    La sua lotta non è quella per la nazionalità, ma quella per la giustizia, la libertà ed il comunismo.

  3. Admeto Verde

    19 Giugno 2017 at 14:58

    Dopo essere stato citato più volte dall’amica Rita, credo che sia doveroso intervenire di persona. Chiedo scusa ai ponzesi e ai lettori di Ponza Racconta se dovessi contribuire a trascinarli in una diatriba su argomenti da cui si sentono lontani.
    Il mio primo commento è sulla questione dei cognomi: così come essa è stata esposta, farebbe pensare a un accanimento italiano contro i cognomi slavi. Non sembra che sia stato così. E’ verissimo che molti abitanti delle regioni istriane e giuliane, dopo l’annessione all’Italia, ebbero il cognome italianizzato, ma il cognome d’origine non era solo sloveno o croato: c’erano cognomi tedeschi, specialmente nelle zone di Trieste, Fiume e Abbazia, e cognomi ungheresi, in particolare a Fiume. Lo stesso Leo Valiani, citato da Iannuccelli, era di famiglia fiumana di lingua tedesca. Il fatto poi che alcuni ebbero il cognome italianizzato, altri no, sia che fossero slavi, tedeschi o ungheresi, farebbe pensare a un’iniziativa “dal basso”, cioè volontaria, e non imposta dall’alto. Ma questo è un aspetto che andrebbe indagato senza preconcetti ideologici.
    E comunque il cambio dei cognomi era pratica diffusa sia tra le nazioni democratiche che tra i regimi assolutisti. Gli abitanti dell’Alsazia-Lorena, regione al confine tra Francia e Germania, e da esse contesa, vedevano i propri cognomi cambiare a secondo di chi conquistava il territorio. La stessa Francia modificò alla francese i nomi e i cognomi degli abitanti di Briga e Tenda, due cittadine piemontesi cedute alla Francia dopo la seconda guerra mondiale (gli abitanti di quelle zone accolsero di buon grado il cambiamento, in fondo andavano verso una Francia libera e democratica mentre in Italia l’avvenire era incerto, col pericolo di una presa del potere da parte del Pci). E non si comportò diversamente la Jugoslavia, che cambiò il nome di molti italiani rimasti in Istria e a Fiume dopo il trattato di pace del 1947. La famosa produttrice cinematografica Rita Rusic sostiene che il cognome originario della sua famiglia, originaria di Fiume, fosse Rossetti, poi modificato dalle autorità di Tito. Cognomi italiani come Cosulich (i cognomi terminanti in “ch” erano tipici delle popolazioni dalmate di lingua italiana) furono slavizzati in Kozulĭc, il pallanuotista Curtini diventò Kurtini, e così via. Il ministro della salute Lorenzin, figlia di un esule istriano, porta un cognome veneto tipico del litorale istriano. E’ il ministro croato Lorencin, che non so quanto effettivamente sia cugino della Lorenzin, a portare la versione croatizzata del cognome veneto. Questo per dire che, al di là delle colpe del fascismo, tutta la questione del cambio dei nomi andrebbe studiata con serenità.
    L’intervento di Rosanna Conte, scritto col tono di chi non ammette repliche, è viziato da un grave pregiudizio ideologico, che non può trovarmi d’accordo, anche perché ritengo di non aver bisogno del suo “la” per riflettere. E’ stato ed è fin troppo ovvio, per una certa parte politica, prigioniera della propria ideologia e di un tipico manicheismo, prendere per oro colato le affermazioni derivanti dal vittimismo sloveno (c’è anche il vittimismo altoatesino, che consente di vivere da nababbi a spese dell’Italia…) e dalla propaganda antitaliana, entrambi prodotti del terribile nazionalismo slavo che ha portato, in anni recenti, a ripetere gli orrori, stavolta all’interno della ex Jugoslavia, che si erano già visti al termine della seconda guerra mondiale nei confronti degli italiani. Dubito che da parte sua ci sarebbe stata tanta attenzione nei confronti del pescatore sloveno Franc Stoka (un pescatore nato sul Carso?) se la Jugoslavia non fosse stato un paese comunista. La stessa affermazione di Meta Stoka, giustamente riportata tra virgolette da Rita Bosso, si presta a essere messa in discussione: «come tutte le famiglie slovene, che in realtà formavano la maggioranza degli abitanti». Di Contovello, forse, uno dei tanti piccoli borghi del Carso abitati da sloveni, non certo di Trieste o della sua provincia.
    Sostenere che italiani, slavi e altre etnie vivessero in pace in quelle zone è un po’ un azzardo, non dimentichiamo che stavano sotto il tallone dell’assolutismo asburgico, e non credo che ci fosse spazio per aperte manifestazioni di “nazionalismo”. Addirittura il bi-linguismo, ma se la lingua ufficiale era il tedesco! Senza dimenticare che, come hanno sostenuto recenti autorevoli studi, le mire italiane sulla costa orientale avessero inizialmente ragioni strategiche e non nazionaliste.
    Il fascismo è stato duro con tutti, italiani e non, con oppositori interni ed esterni, non solo con sloveni e croati. Proprio a Ponza si dovrebbe saperlo, con la memoria del confino ancora viva. Noi italiani, in fondo siamo stati fortunati, ci siamo liberati del fascismo dopo venti anni, altri popoli meno fortunati hanno dovuto attendere settanta anni per liberarsi dal terribile giogo comunista… Ciò conferma la felice intuizione di Saragat nel 1947…
    Esilarante poi il finale di Rosanna Conte: la lotta di Francesco Stoka era «per la giustizia, la libertà ed il comunismo». Come si possono mettere insieme dei termini così contraddittori? Se il suo amico lottava per il comunismo non era certo a favore di giustizia e libertà, come la storia fortunatamente ci ha dimostrato.

  4. Rosanna Conte

    21 Giugno 2017 at 09:18

    Non credevo che una semplice puntualizzazione potesse farmi considerare ideologicamente di parte.
    Ho solo voluto precisare che l’aggressività fascista ingenerando scontri violenti fra etnie e culture diverse, contrapposte fino ad allora per motivazioni prevalentemente socio-economiche, aveva gettato le basi per i fenomeni delle foibe e dell’esodo istriano vent’anni dopo.
    Un personaggio come Stoka, che aveva vissuto in pieno questa trasformazione di rapporti sviluppò accanto all’aspirazione alla giustizia e alla libertà anche l’aspirazione al superamento del nazionalismo inteso appunto come falso elemento dirimente: solo con l’unione di tutti i lavoratori appartenenti a paesi diversi si poteva pensare di arrivare ad ottenere una vita dignitosa. E questo, in quel momento storico, appartenenva al pensiero comunista.
    I socialisti giuliani furono il gruppo forte della scissione di Livorno del 1921 e nel nuovo partito confluirono sia le sezioni socialiste italiane che quelle jugoslave senza problemi di nazionalità.
    E’ per questo che indicare il comunismo come un ideale di Stoka non è inneggiare ad una ideologia
    Purtroppo qualsiasi ideologia, pura e limpida nelle sue forme astratte, si può deformare nel momento in cui scende nell’applicazione umana.
    E questo vale per il comunismo come per il liberismo capitalista.
    Io non amo la polemica: la considero sempre sterile. E’ per questo che non aggiungo altre considerazioni se non la domanda: le guerre distruttive che nell’ultimo secolo hanno mietuto milioni di vittime in aree ben individuabili del mondo non sono forse l’esito di quel liberismo capitalista che è ancora decantato come l’unica via esistente per giusti rapporti socio-economici?

  5. Admeto Verde

    27 Giugno 2017 at 10:34

    Visto il quesito posto da Rosanna Conte, la quale chiede una precisa riposta, torno a farmi vivo sulle colonne di Ponza Racconta, scusandomi ancora una volta con i lettori per il tema che, per quanto interessante, sicuramente esula dagli scopi di un sito che dovrebbe girare attorno a ciò che è ponziano.
    Sono sinceramente dispiaciuto se Rosanna Conte, per una “semplice puntualizzazione”, si sia sentita considerata ideologicamente di parte. Non credo che sia un’offesa, è nella realtà delle cose essere di parte. Che qualcuno lo sia per motivi ideologici, può essere un dato di fatto…
    Prima di rispondere all’interrogativo, credo che sia necessaria, anche da parte mia, una precisazione: la mia interlocutrice, con una prosa degna della più tipica sinistra parolaia, cerca di giustificare il fenomeno delle foibe e l’esodo istriano dando la colpa alla violenza fascista. Ciò è INACCETTABILE, innanzitutto perché la violenza non può essere giustificata da altra violenza. Ma è un ragionamento tipico delle sinistra più intollerante, che, messa di fronte all’evidenza, non ha potuto più negare il fenomeno delle foibe (come aveva fatto ostinatamente per tanti anni) e ha cercato di giustificarlo, se non di approvarlo, presentandolo come una legittima reazione alle violenze dei fascisti contro gli slavi. Nulla di più sbagliato: gli “scontri violenti” non avevano matrice etnica o culturale, ma semplicemente politica. Il fascismo perseguitava gli oppositori (che fossero comunisti, liberali o socialisti): se ha agito con violenza contro sloveni o croati lo ha fatto perché essi erano agitati da pulsioni comuniste. Con questo non voglio giustificare la violenza, quando c’è stata, del regime fascista. Dico semplicemente che i soggetti di madrelingua slava, perseguitati dal fascismo, hanno avuto le stesse attenzioni riservate agli oppositori italiani.
    Invece la violenza anti-italiana che si scatenò da parte slava verso la fine del conflitto, e subito dopo, aveva una matrice fortemente nazionalista accompagnata dalla durezza tipica dell’ideologia comunista.
    Ovviamente poi non posso essere d’accordo con quanto espresso a proposito della vicenda politica di Stoka: se vogliamo tutelare i diritti dei lavoratori, come è giusto, dobbiamo partire dal primo e fondamentale diritto, la libertà. Se non c’è libertà non ci sono gli altri diritti, e la libertà è incompatibile col comunismo. Faremmo bene tutti a rileggerci le cose meravigliose che ha scritto sul lavoro John Locke, il filosofo inglese del ‘600 al quale dobbiamo molti dei nostri diritti: dal lavoro discendono i diritti fondamentali e individuali, quali la libertà, la dignità e il diritto alla proprietà privata. Quindi è sbagliatissimo affermare, a mo’ di giustificazione, che la lotta per il comunismo fosse l’unica per ricercare l’unità e la tutela dei lavoratori: questa tutela andava e andrebbe cercata all’interno del liberalismo e della socialdemocrazia.
    Vedo che si sta sopravvalutando la figura di questo Stoka (solo perché la figlia è venuta a Ponza a blaterare contro gli italiani), che con tutto il rispetto per la sua vicenda umana, è stato e rimane un personaggio marginale della storia politica italiana e delle persecuzioni. In fondo a Stoka è andata bene, perché a Ponza se l’è cavata, ha potuto fare ritorno a casa, avrà mangiato un po’ di pesce in un ambiente tutto sommato accettabile.
    Non così è andata per i «monfalconesi». I monfalconesi erano gli operai comunisti dei cantieri di Monfalcone, tutti italiani, che, in una sorta di controesodo, dopo il 1945 si trasferirono in Jugoslavia per rimpiazzare gli operai dei cantieri navali di Fiume e di Pola, che erano fuggiti tutti in Italia. Essi erano accecati dall’ideologia, e, ligi alle direttive del partito comunista italiano, erano di stretta osservanza staliniana. Quando Tito ruppe con Stalin, i monfalconesi continuarono a fare gli stalinisti, forse perché credevano di avere le spalle protette da Togliatti, che invece li scaricò. Tito li spedì subito, assieme ad altri oppositori interni, al lager di Goli Otok («Isola Calva»), un’isola prigione al largo della Dalmazia, dove le condizioni di vita erano atroci. Molti di loro non fecero più ritorno. A proposito di confino, quindi, tutto il mondo è paese…
    Veniamo infine al quesito finale, dove, non vorrei infierire, ma siamo di nuovo nell’esilarante. La mia interlocutrice dà la colpa di tutte le guerre al “liberismo capitalista”: brutta locuzione di stampo marxista per indicare la libera economia, che è parte del mondo libero. Guardando la storia con un po’ di pragmatismo si noterebbe che guerre scoppiano, purtroppo, per i motivi più disparati, dai più futili ai più seri. Ci sono ordini di motivi strategici, nazionalistici, ideologici, e anche economici. In passato vi erano anche ragioni dinastiche. La seconda guerra mondiale fu dovuta alla follia hitleriana, ma vi contribuì, non poco, il cinismo sovietico, che con il patto di spartizione della Polonia, vi diede il via libera all’invasione nazista. La guerra mossa dall’Unione Sovietica alla Finlandia nel 1939, piccola anticipazione del secondo conflitto mondiale, era l’esito del liberismo capitalista? Erano esito del liberismo capitalista l’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956 e della Cecoslovacchia nel 1968? E la guerra dell’Unione Sovietica contro l’Afghanistan del 1980, causa della ben nota instabilità della regione? Potrei continuare con infinite argomentazioni, ma mi fermo qui.
    Stia tranquilla Rosanna Conte, perché il mondo libero, con la libera economia (chiamiamolo pure “liberismo capitalista”, se preferisce), è l’unica via esistente per giusti rapporti socio-economici.

  6. Admeto Verde

    27 Giugno 2017 at 22:50

    Concordo: è meglio chiudere qui, anche perché, dopo aver letto cose tanto abominevoli sulle foibe, non riesco ad andare avanti. Ma come si fa a dire che l’argomento delle foibe serve per bilanciare l’Olocausto? Come se le vittime delle foibe fossero tutti nazisti (certo, per la vulgata comunista, gli italiani d’Istria erano tutti fascisti)… E come si può pensare che un’immane tragedia, come l’Olocausto, possa essere bilanciata in qualche modo?
    E poi il solito ricorso a riferimenti storici di una sola parte, per tentare di sminuire il fenomeno, di ridurlo a pochi morti. Questo è l’uso politico della storia… Leggendo un tale contributo, sembra di stare su “Pyongyang Racconta”, non “Ponza Racconta”…

  7. Rita Bosso

    29 Giugno 2017 at 13:53

    Gli interventi di Rosanna Conte e Admeto Verde sono scaturiti da due mie chiacchierate ponzesi nate per caso, rispettivamente con Santina Spignesi e con Giuseppe Mazzella. Ben vengano i toni accesi, la contrapposizione netta purché si metta da parte l’approccio pedagogico e ultimativo, del tutto fuori luogo. La storia di Ponza appassiona, gli apporti sono molteplici, talvolta stimolanti e tanto c’è ancora da fare, per conoscerla e valorizzarla.

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