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Il recupero di Palazzo d’Avalos. Un percorso dal bene comune al bene relazionale.

di Rosanna Conte

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E’ questione di DNA o di limitazione dei confini propria delle isole?

Sembra che il tasso di litigiosità più alto in Campania sia appannaggio di Procida e Ischia. E noi ponzesi che pensavamo di essere gli unici!

Per essere veramente ponzese bisogna avere la casa a Ponza, la grotta a Palmarola e almeno una causa in corso!”.
Non ricordo più chi fosse solito esprimere questo concetto e non so nemmeno se il nostro tasso di litigiosità sia il più elevato del Lazio o superiore a quello delle due isole partenopee, ma è opinione diffusa fra noi che a Ponza ci siano troppe cause civili. Forse è una tara ereditata dai nostri avi ischitani?
E non è solo questo.

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Ieri, il giovane sindaco di Procida, Raimondo Ambrosino, come premessa al suo intervento durante la presentazione del libro Procida, il Palazzo d’Avalos, di G. Di Gennaro Sclano e P. Lubrano Lavadera, presso l’Archivio di Stato di Napoli, si è lamentato del fatto che tra i suoi concittadini molto spesso il bene comune coincide col bene personale e che deve ancora farsi strada il concetto di bene relazionale come valore esponenziale del benessere di una comunità.
…Tu guarda un po’!

Mi è sembrato un discorso che, ovviamente con tutti i distinguo legati a storie e luoghi diversi, non fosse tanto distante da quanto si dibatte fra noi a Ponza.

Sono ormai decenni che anche gli economisti parlano di voci del PIL che non riguardano beni materiali, ma relazionali perché anch’essi incidono, anzi forse più di quelli materiali, sul benessere dei cittadini elevandone il livello di vita.
E cosa c’entra il recupero di una struttura architettonica ed urbanistica col bene relazionale?
C’entra, visto che il sindaco l’ha posto in premessa, e per due ordini di motivi.
Il primo è il legame fra il Palazzo d’Avalos e i procidani.

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Rovine di Palazzo d’Avalos

Se dalla sua costruzione fra il 1560 e 1570 fino alla fine del ‘700 era il luogo in cui si rispecchiava una continuità nel rapporto degli isolani con il potere statale, dalla controrivoluzione borbonica del 1799, che provocò le decapitazioni dei giacobini anche procidani, alla sua trasformazione a mo’ di punizione in carcere nel 1830, il luogo, diventato simbolo di una forte cesura, ha assunto una valenza negativa tale da provocarne la rimozione.

Per i procidani è diventato un luogo-non luogo, un corpo estraneo da non considerare più come proprio, come appartenente al proprio sé.

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Resti del Palazzo costruito in stretta connessione con la Terra murata

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Il Palazzo divenuto carcere come si vede dal mare

Il suo recupero, allora, può essere strumento di riappropriazione del luogo e della parte negativa della storia che lo riguarda, puntando a risanare la ferita nella memoria storica procidana e a ricostruire un rapporto di fiducia e collaborazione con chi, oggi, gestisce il territorio secondo una visione democratica della funzione amministrativa.

E’ a questo punto che risulta chiaro l’altro ordine di motivi del rapporto bene relazionale-recupero del Palazzo.
La nuova amministrazione intende procedere con la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini. E’ convinzione del giovane sindaco che solo un percorso collettivo possa dare vero significato ad un intervento che richiede un grandissimo impegno culturale ed economico, perché nella partecipazione emotiva e operativa la comunità tutta può sperimentare l’utilità e la bontà della costruzione di beni relazionali

E’ un bene relazionale, infatti, la formazione della capacità della comunità non solo di procedere in maniera collaborativa  nelle fasi iniziali della progettazione e dell’individuazione delle future funzionalità del Palazzo, ma anche  di sorvegliare che i grandi capitali che saranno chiamati ad investire le loro risorse non si approprino del bene comune né lo gestiscano stravolgendone il suo rapporto naturale di recente recupero con la cittadinanza.

Sarebbe inconcepibile un domani vedere elicotteri atterrare nei cortili del Palazzo per deporvi ospiti miliardari: sarebbe una nuova ferita per Procida, un nuovo esproprio, sarebbe il fallimento dell’azione di recupero.

Con tutte le grandi opere progettate e progettabili a Ponza, non sembra che il tema della preoccupazione del sindaco Raimondo Ambrosino sia estraneo a noi ponzesi.