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Piccolo cabotaggio. (9). Dalle Tremiti a Isola Piccola (prima parte)

di Tano Pirrone

 

Lo sforzo di viaggiare nel Mare Nostrum fingendo di far poco caso alle tragedie epocali che in esso si svolgono è immane, e comporta inevitabile malessere. Ogni giorno ignoro o diluisco notizie e ricordi che con esse abbiano relazione nel tentativo di dare un tono più distaccato al tour che abbiamo intrapreso.
Credo che un atteggiamento garbato nei confronti della triste quotidianità rappresentata da guerre, esodi, morti e sofferenze possa far emergere una sensibilità più intima, meno spettacolare, che rifugga dalla gridata sensazionalità dei mass media: profluvi di esagitate notizie micronizzate, uperizzate, in confezione tetrapak multicolore.
Di conseguenza, l’incipit di questo capitolo è affidato ai versi di una poesia di Thomas S. Eliot [1], tratta dalla raccolta The Waste Land (La terra desolata), 1922, considerata la sua opera poetica più celebre, un capolavoro della poesia modernista:

[1]

La morte per acqua [2]

Phlebas il Fenicio, da quindici giorni morto,
Dimenticò il grido dei gabbiani, e il fondo gorgo del mare,
E il profitto e la perdita.
Una corrente sottomarina
Gli spolpò l’ossa in sussurri. Come affiorava e affondava
Passò attraverso gli stadi della maturità e della giovinezza
Procedendo del vortice.
Gentile o Giudeo
O tu che giri la ruota e guardi sopravvento,
Considera Phlebas, che un tempo fu bello, e alto come te.

È un pomeriggio mite quello che ci avvolge con tenerezza nel porto di Gallipoli, dove siamo giunti dopo aver viaggiato per tutto un giorno ed una notte.

[2]
Siamo ospiti di una nuova barca, la Capitan Koch. L’Albatros ed il suo equipaggio, cui ci eravamo affidati per la discesa dell’Adriatico, dal Lido di Venezia fino alle Tremiti, è tornata indietro con nuovi clienti, arrivati a San Nicola con la barca su cui noi proseguiamo per Jonio e Tirreno.
Era stato lo stesso Menigo, lo skipper [3] dell’Albatros a proporci lo scambio. Questa staffetta era stata sperimentata in precedenza con reciproche convenienze e soddisfazioni per armatori, equipaggi e passeggeri. L’opinione di S. e di G. fu determinante, avendo entrambi, soprattutto il primo, esperienza di navigazione.
Trasferimmo da una barca all’altra i nostri bagagli e la cambusa residua, da noi finalizzata ai nostri regimi alimentari di aspiranti ottuagenari. La cantina, però, era stata opportunamente rinforzata con un paio di dozzine di bottiglie dell’ottimo vino bevuto a sostegno e conforto della Tiella ’e mare, sacrificata alla nostra insaziabile curiosità nell’ottimo ristorante affacciato sul porticciolo di San Nicola.

Il nuovo equipaggio è composto da due marinai provetti, entrambi napoletani, più precisamente di Portici, da cui il mio amico Ciro afferma provengano i marinai migliori, più affidabili. Antonio, lo skipper, ha un curriculum di tutto rispetto e porta con indifferenza un casco di capelli ricci, che per un trio di pelati come il nostro, rappresenta una vera e propria provocazione. Carmine è un giovane di circa trent’anni, chiaramente di ceppo normanno: per complessi processi carsici, le inconfondibili caratteristiche dei popoli del Nord, che avevano conquistato la Sicilia ed il meridione d’Italia, erano riemerse in tutta la loro originalità, ritrovandosi in lui ben armonizzate. Alto, biondo-rossiccio, con la pelle biancastra ed un’ossatura potente, di poche parole, come ogni buon marinaio. Entrambi sapevano cucinare ed erano pratici di Jonio e Tirreno. Rassicurati da entrambe le qualità dichiarammo aperta la fase due del viaggio.

Siamo partiti verso le 9 da San Nicola e con una media di circa 8 M orarie e viaggiando anche la notte abbiamo doppiato Capo Santa Maria di Leuca [4] verso le 7 di questa mattina. Non ci fu stanchezza o rèuma che ci impedì, ben imbacuccati, di goderci lo spettacolo dell’alba. La luce bruciata del Levante incorniciava il Faro, opera dell’Ing. Achille Rossi [5], bianca torre, abbacinante visione, maestoso minareto.


Il fascino dell’estrema frontiera, ove termina ogni terra ed inizia il Mare, il Finibus Terrae dei romani, è richiamato in versi con visionarietà straordinaria da Vittorio Bodini [6], traduttore e poeta salentino, in questa bellissima poesia:

[3]

Finibusterrae [7]

…e tornerà
il bianco per un attimo a brillare
della calce, regina arsa e concreta
in questi ultimi luoghi dove termini, Italia, in poca rissa
d’acque ai piedi d’un faro.
È qui che i salentini dopo morti
fanno ritorno col cappello
in testa.

[4]

Sostiamo a Gallipoli per ripartirne domattina in direzione della punta meridionale della Sicilia, trascurando per ragioni esclusivamente di tempo ogni sosta in altri porti continentali. La parte della giornata che ci aspetta la dedicheremo ad un visita della lucente perla dello Jonio, ricca di monumenti ed architettura barocca, chiese e palazzi, castelli e fortificazioni, testimonianze di un passato di ricchezza e di dominazioni, dal lontano neolitico ai Messapi, dai Romani ai Bizantini, dagli Arabi ai Normanni, dagli Angioini ai Borboni. Difficile non resistere a tanta offerta, sapendo, fra l’altro, che avevamo prenotato un tavolo in un ottimo ristorante, dove notoriamente ci si leccano i… baffetti!
Il nostro lento peregrinare in questo scrigno ricolmo di bellezze, suggestioni e memorie, come da tradizione termina nel noto ristorante posizionato lungo i bastioni.
Non siamo soli, ci accompagnano anche Antonio e Carmine. Comodo tavolo per cinque con vista sulla baia. Dopo breve attesa cominciano ad arrivare polpettine di polipo, cozze gratinate, lu purpu a’ pignatta [8], la scapece [9], scorfano all’acqua pazza e due dolci tipici, il gelato spumone gallipolino [10] e i pasticcini di mandorle divini amori.
La scelta dei vini è indirizzata del proprietario, gentile e competente sommelier: la Puglia trabocca di vini rossi e liquorosi, mentre ha pochi e non molto conosciuti bianchi.
Dopo l’iniziale, inevitabile disputa in cui ha la peggio G., il quale, riservandosi comunque le parti civili, imprime a sangue nella nostra coscienza il suo ormai famoso «C’è qualcosa che non mi convince!» che cade nel vuoto assoluto generato dalla nostra scelta fiduciosa. Beviamo, subito soddisfatti, un bianco Castel del Monte, le cui uve maturano sotto l’occhio vigile del metafisico castello di Federico II e sono vinificate con raffinata sapienza. Il risultato è un vino giallo paglierino gradevole e delicato, che si sposa perfettamente con i crostacei ed i piatti di pesce. Chiudiamo, dopo lo spumone e i dolci, con un Passito Ambra Bianco, che preso subito il comando, mette in fila indiana i cinque del Capitan Koch, portandoci tutti fino alla barca.

Facciamo colazione cazzeggiando sulla serata precedente e dando fondo alle batterie dei cellulari per leggere i numerosi messaggi che erano pervenuti con l’ingombrante bagaglio di foto, Gif [11] e battute, quando: «Ma in questa tappa non parli di film?» la butta là G. con un sorrisetto beffardo messo a punto in lunghi secoli di schermaglie col mondo intero, certo di avermi preso in castagna: «Possibile che da Gallipoli non dobbiamo portarci via il ricordo almeno di un film
Aspettavo la domanda e quindi fui, secondo un rituale accreditato, prontissimo a ribattere. Ben ancorato alla sèggiola e con la mano destra, che aveva mollato immediatamente la tazzina del caffè, tesa e coll’indice dritto verso di lui, untuosamente replicai: «Ti ringrazio per la domanda. Mi dai l’opportunità di parlarne, ché di scriverne avevo intenzione di farlo dopo, durante la navigazione».

Gallipoli, punto di partenza per la tappa che ci porterà in Sicilia, è stata punto di arrivo del viaggio allucinante di Aldo, Giovanni e Giacomo nel film Tre uomini e una gamba (1997), diretto da loro e da Massimo Venier [12]. È un divertente road movie da Lodi a Gallipoli, dove Giacomo deve sposare la terza figlia di Eros Cecconi (Carlo Croccolo), trucido e irascibile proprietario della ferramenta “Il Paradiso della Brugola”, in cui tutti e tre lavorano. Aldo e Giovanni sono sposati con le due altre figlie di Cecconi. Trasportano, da Milano a Gallipoli, molto attesa dal suocero, un’opera d’arte, una gamba, che la morte reputata prossima dell’artista farà enormemente aumentare di valore. Una serie di eventi esilaranti fa maturare nei tre il desiderio di affrancarsi dalla schiavitù. Arrivati alla villa di Gallipoli decidono di lasciare davanti al cancello la gamba e di conquistare la libertà.

[5]

Naturalmente a Gallipoli non è stata girata neanche una scena: tranne una girata a Milano, Roma e la campagna romana hanno offerto tutte le location necessarie. Il film, che contiene alcuni dei loro corti ed altri numeri fatti in Tv o in teatro, ebbe un’ottima accoglienza di pubblico e di critica. Passa spesso in tv. I soliti patiti del ce l’ho possono acquistarlo su Amazon, Ibs ecc. ad un prezzo inferiore ai 10 €.

Salpiamo con calma verso la Sicilia, vedendo Gallipoli allontanarsi pian piano, con la promessa di tornarci, magari con i necessari rinforzi. Ci aspettano due isole, anzi una, anzi sei. Il viaggio sarà lungo. Parleremo, leggeremo e vedremo dei film.

[6]
Le schiere vocianti dei ragazzini che vengono portati in visita al Bioparco di Roma in file interminabili sono lontane e potremo godere di quel silenzio-non silenzio che solo il mare sa garantire.

[7]

 

Note

[1]    Thomas Stearns Eliot (Saint Louis, 26 settembre 1888 – Londra, 4 gennaio 1965) è stato un poeta, saggista, critico letterario e drammaturgo statunitense naturalizzato britannico. Premio Nobel per la letteratura nel 1948.

[2] Dal canto IV La morte per acqua. Ringrazio il caro amico Fulvio per avermela fatta conoscere, suggerendomene la citazione.

[3] Nel mastodontico idioma burocratico italiano si traduce in padrone marittimo, il comandante, cioè, colui che ha la piena responsabilità anche civile e penale dell’imbarcazione e il comando assoluto dell’equipaggio, cioè, in estrema e chiarificatrice sintesi, nel nostro caso, dell’altro marinaio.

[4] L’estremità SE dell’Italia, punto estremo della penisola Salentina, sul mar Jonio, 32° 46’ di lat. N.

[5] Il Faro di Santa Maria di Leuca, progettato dall’ing. Achille Rossi e fatto costruire nel 1864 al posto di una torre anticorsara voluta da Filippo II su punta Meliso, fu fatto funzionare per la prima volta la sera del 6 settembre 1866. Si erge fino a 47 m dal suolo e a 102 m dal livello del mare, con all’interno una scala a chiocciola di 254 gradini.

[6] Vittorio Bodini (Bari, 6 gennaio 1914 – Roma, 19 dicembre 1970). Traduttore di molte opere in lingua spagnola, fra cui una decantata versione del Don Chisciotte di Cervantes. Autore di poche preziosissime raccolte di poesie. Ciò che caratterizza principalmente le opere, le poesie, e più in generale il pensiero di Bodini è la sua concezione del Sud, con le mille contraddizioni, le tante difficoltà, i molteplici limiti, ma anche con l’irresistibile fascino ed il fortissimo richiamo; una sorta di attrazione-avversione, di odi et amo, una denuncia tanto sincera quanto dolorosa della situazione del Sud e della sua gente.

[7] Dalla raccolta postuma Poesie, 1972, Mondadori. Oggi disponibile nella raccolta onnicomprensiva delle opere di poesia di Bodini Tutte le poesie, a cura di Oreste Macrì edita da Edizioni mediterranee (Amazon, € 17,00):

Vorrei essere fieno sul finire del giorno
portato alla deriva
fra campi di tabacco e ulivi, su un carro
che arriva in un paese dopo il tramonto
in un’aria di gomma scura.

Angeli pterodattili sorvolano
quello stretto cunicolo in cui il giorno
vacilla: è un’ora
che è peggio solo morire, e sola luce
è accesa in piazza una sala da barba.

Il fanale d’un camion,
scopa d’apocalisse, va scoprendo
crolli di donne in fuga
nel vano delle porte e tornerà
il bianco per un attimo a brillare
della calce, regina arsa e concreta

in questi umili luoghi dove termini, Italia, in poca rissa
d’acque ai piedi d’un faro.
E’ qui che i salentini dopo morti
fanno ritorno
col cappello in testa.

[8] La pignatta è recipiente di terracotta, usato come padella in molti piatti locali. Gli ingredienti sono: un polpo a pezzetti, cipolle, aglio, alloro, origano, olio evo. L’insieme si fa cuocere a fuoco lento per un’ora. Il risultato è un polpo in umido con tutti i sapori del mare e della campagna salentina (mailto:www.gallipolionline.com/scopri-lacitta/la-cucina-tipica/ [8]).

[9] Quando Gallipoli, che per lunghi periodi era assediata da potenze straniere e subiva la fame, l’ingegno del popolo pensò un modo per conservare il pesce. Il risultato di questa ricerca è la gustosa scapece, cioè un pesce di piccole dimensioni (boghe o zerri, ad esempio) fritto e fatto marinare tra la mollica di pane imbevuta di aceto e zafferano (da cui il colore giallo del piatto) all’interno di tinozze (mailto:www.gallipolionline.com/scopri-lacitta/la-cucina-tipica/ [8]). La boga (il nome deriva dal greco e significa occhio di bue) ha una caratteristica inusuale: nasce femmina e invecchiando diviene maschio.

[10] A Gallipoli ha preso piede una versione del celeberrimo spumone, specialità di gelato presente in tutto il Meridione, a base di gelato alla nocciola o al cioccolato con un ripieno di quella che viene chiamata crema Plombières aromatizzata con Marsala o Benevento, cioccolato fondente a pezzetti e croccante di mandorle tostate e tritate.

[11] Il GIF (Graphics Interchange Format) è un formato per immagini digitali di tipo bitmap molto utilizzato nel web. L’estensione GIF viene usata per i file di grafica memorizzati secondo uno standard definito da CompuServe e divenuto molto diffuso grazie a Internet.

[12] Massimo Venier (Varese, 26 marzo 1967) è un regista e sceneggiatore italiano. Collaboratore della Gialappa’s Band (autore di Mai dire… dal 1990 al 1997), è noto per aver diretto e scritto molti film con il famoso trio di comici italiani formato da Aldo Baglio, Giovanni Storti e Giacomo Poretti. Con il trio è anche autore in teatro di Tel chi el telùn, Potevo rimanere offeso! e della trasmissione televisiva Aldo Giovanni e Giacomo Show.

 

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