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Piccolo cabotaggio (2). Venezia e Visconti

di Tano Pirrone

 

Oggi prima tappa del nostro viaggio da un’“ascella” all’altra della nostra Bell’Italia. In prima battuta affronteremo il film più “coriaceo” della dozzina programmata, che è anche, a mio vedere, uno dei film più complessi e che ha fatto scrivere fiumi d’inchiostro.
Ho cercato di essere “leggero”, non so se ci sono riuscito. C’è spazio nei commenti per dirmi, anche brevemente, la vostra.
Gute reise, bon voyage, buon viaggio.
T. P.

 

Alla Recherche dell’Isola perduta

Lido di Venezia: “Nome dato alle lunghe isole formanti il cordone litoraneo delle lagune venete, e particolarmente l’isola, o freccia litoranea, della laguna di Venezia, coi forti di S. Nicolò, Quattro Fontane, Alberoni e con Malamocco. Sono formate da detriti trasportati dal Brenta e dagli altri fiumi veneti, respinti dalla marea. Bei giardini, grandi stabilimenti balneari. Ab. 4000” (1).

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Grazie al favorevole clima estivo e alla purezza dell’acqua sin dalla metà del XIX secolo divenne località balneare. Nel 1857 fu costruito il primo stabilimento balneare, seguirono vari insediamenti e nel 1900 fu inaugurato il Grand Hotel des Bains, che fra tanti ospiti illustri annoverò Thomas Mann, lo scrittore tedesco, premio Nobel per la letteratura nel 1929.

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La vocazione turistica internazionale del Lido fu confermata e sviluppata dalla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, fortemente voluta da Mussolini e inaugurata nel 1932, e dall’apertura, qualche anno dopo, della sede del Casinò di Venezia.
Thomas Mann vi ambientò il racconto Der Tog in Venedig (La morte a Venezia) (2), che Luchino Visconti ridusse nel film di cui oggi parliamo: Morte a Venezia (1971) (3), secondo capitolo della “trilogia tedesca”, preceduto da La caduta degli dei (1969) e seguito da Ludwig (1973).

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Di nobili origini, Luchino Visconti di Modrone per alcuni suoi film scelse ambienti aristocratici e alto borghesi (fra questi, i tre citati). I contenuti, però, non sono mai aristocratici. Molto attento e sensibile ai temi sociali e psicologici, Visconti costruì i suoi film come testimonianze della sua convinzione che “il vecchio mondo dell’aristocrazia doveva tramontare perché solo pochissimi potevano partecipare ai suoi splendori e che la nuova democrazia borghese e la sua morale non fanno altro che legittimare una forma banale dell’individualismo del possesso.(4)

Il progetto di portare sullo schermo il testo di Mann Visconti lo accarezzava da tempo, ma l’ansia di realizzarlo divenne man mano più urgente con la crisi di un’incipiente vecchiaia e in sintonia con le tematiche del racconto. Non solo l’innamoramento senile del protagonista per un bellissimo adolescente, ma forse, ancor più il conflitto fra estetica e etica. Il racconto di Thomas Mann rispondeva perfettamente alle sue esigenze espressive. E rappresentava un ultimo passo per giungere alla rappresentazione della Recherche di Proust.
Il flusso del tempo che scorre lungo le pagine della Recherche è lo stesso che trascina Aschenbach verso l’ossessione e la morte. E con il soggiorno a Venezia del protagonista e di sua madre iniziava la prima stesura della sceneggiatura scritta con Suso Cecchi d’Amico. Nel 1971 se ne andarono assieme in Francia a cercare i luoghi in cui girare il film.
Visconti morì senza aver potuto portare a termine il suo progetto proustiano. Forse, dentro di sé, aveva sempre saputo che non l’avrebbe mai realizzato. Forse amava e conosceva troppo bene Proust per pensare realmente di poterlo traslocare sullo schermo.
Il tema che legava Morte a Venezia e la Recherche era chiaramente l’omosessualità e quello “di fare dell’omosessualità, dell’amore omosessuale, del desiderio omosessuale, della gelosia omosessuale, l’unico, formidabile motore che fa girare e accendersi di luci volta a volta esaltanti e sinistre l’immenso planetario della Recherche(5).

Ci sono nel film di Visconti altri richiami al libro di Proust, ma è l’atmosfera storica che si sovrappone con particolar forza.
Il 1911, l’anno in cui si svolge il film è, per esempio, lo stesso in cui sono scritte le prime pagine della Recherche. E in quei mesi Thomas Mann scrive il suo racconto, il cui protagonista è lo scrittore cinquantenne Gustav von Aschenbach, nominato conte dal Kaiser e autore tra gli altri di un romanzo Un miserabile, col quale intendeva additare ai giovani “la via della risolutezza morale”. Più che assomigliarsi a Nietzsche o a Strindberg – suoi contemporanei – appare uno dei tanti intellettuali borghesi a cavallo del ’900, che ignoravano di essere infetti di decadentismo. Così il dramma di Aschenbach rimane il dramma di valori non tanto intellettuali quanto etico-sociali. E il colera che scoppia in un’antica sede della cultura europea come Venezia simboleggia appunto lo scoppio mortale dell’estetismo in un animo attaccato ai valori tradizionali. Luchino Visconti ha colto la contraddizione e sostituito lo scrittore manniano con la figura di un intellettuale esteta, musicista famoso nel quale è adombrata la figura del compositore austriaco Gustav Mahler(6). Lo stesso Mann, profondamente turbato dalla morte di Mahler, avvenuta durante il suo soggiorno a Venezia, diede al protagonista il nome e la fisionomia del compositore, pur ponendo attenzione affinché le allusioni non diventassero esplicite.

L’altero protagonista (Dirk Bogarde), reduce da un periodo di crisi, si reca per una vacanza al Lido di Venezia, dove soggiorna all’Hotel des Bains. Subito è attratto da un adolescente “di una bellezza perfetta”, con una capigliatura “come quella dello Spinario capitolino(7)”.
Tadzio(8), questo è il nome del fanciullo fa parte di una famiglia polacca alto borghese o nobile e la cui madre è una straordinariamente bella e regale Silvana Mangano.

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Il professore comincia a seguire l’adolescente con lo sguardo, nell’albergo e sulla spiaggia, e ne è ambiguamente ricambiato. Turbato da questa passione e oppresso da uno scirocco senza fine, Aschenbach si decide a ripartire, ma un contrattempo lo fa desistere. Riprende il giuoco degli sguardi e degli inseguimenti. A Venezia, intanto, emergono segni di un’epidemia di colera. Gustav rinuncia ad avvertire la famiglia di Tadzio, ricade in una profonda depressione, e cerca di riparare ai guasti del tempo e della depressione con un trucco pesante, che lo rende ridicolo alla vista. Stremato, sulla sdraio, segue il giovane efebo sulla spiaggia e muore, il trucco disciolto sul viso, come una maschera grottesca.


La tendenza a rappresentare il grottesco, è molto presente nella trilogia tedesca non tanto per una particolare predilezione estetica (in quanto spirito radicalmente ottocentesco Visconti rimarrà fedele ad altre tendenze artistiche), ma soprattutto perché l’espressionismo tedesco, meglio e più di altre, esprimeva quella inquietudine che attraversava la società tedesca del primo Novecento e che il regista voleva rappresentare.

La puntigliosissima preparazione di ogni particolare e la raffinata capacità di ricreare ambienti, costumi, atteggiamenti non poteva trascurare questo aspetto. La figura del vecchio gitante allo sbarco dal battello, il direttore dell’Hotel des Bains (ricalcato sull’omologo di Balbec in Proust), il suonatore girovago, che sembra preso in prestito da Fellini; lo stesso Aschenbach dell’ultima parte, che si fa imbonire dal barbiere e scivola in un grottesco umiliante, ributtante. E l’ultima scena della morte, in cui senza pietà, i coloranti ed il cerone lo imbrattano e gli tolgono l’ultima parvenza di dignità.

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I luoghi in cui si svolgono tanto il racconto che il film sono ben conosciuti dal regista, che vi trascorreva fanciullo (e se in Tadzio abbia voluto raffigurare se stesso adolescente?) le vacanze con la madre; e prima da Thomas Mann che vi soggiornava nel 1911 e maturava l’ispirazione del racconto. Ma anche Mahler vi soggiornò. Venezia e il suo Lido.

Tutto il film è segnato dalla presenza autorevole e dinamica dei luoghi. Il Lido, la sua spiaggia, il magnifico Hotel des Bains sono gli scenari straordinari che fanno da palcoscenico anche alla sfilata di personaggi che provengono dalla memoria di Visconti. La società, gli eventi, gli stessi luoghi rimangono sullo sfondo ed il protagonista rimane costantemente in primo piano, osservato in tutte le sue componenti etiche e intellettuali. Si affievolisce il profilo umano e sociale della sua personalità e un’analisi critica della sua condotta in rapporto alla società e alla storia, riducendosi, come sottolineato da alcuni critici ad una specie di “narcisismo”, di autocompiacimento formale. Visconti commenta la storia di Gustav, completando un unicum di rara qualità, con la musica di Mahler: il Quarto Tempo della Terza Sinfonia, l’Adagetto della Quinta Sinfonia, che ricorre nei momenti salienti del film; e brani di altri autori: la Ninna Nanna di Modest Mussorgski, cantata senza accompagnamento musicale, Per Elisa di Beethoven, suonata al pianoforte in due scene, Chi vuole con le donne aver fortuna di Armando Gil, suonata e cantata dalla piccola banda di girovaghi nella veranda dell’Hotel, La Vedova allegra di Franz Lehár (il valzer e l’aria della Veljia).

In chiusura, sono “costretto” ad utilizzare, per debito di riconoscenza, stima e amicizia, le parole conclusive del saggio ‘Morte a Venezia’ secondo la critica, di Francesco Bono e Gianni Sarro; saggio che ho letto a scrittura ultimata, ad ormeggi ormai sciolti: “…In primo piano era già apparso più volte il particolare di una macchina fotografica, che ora chiude Morte a Venezia.
“Una propria cifra simbolica”, suggerisce Sergio Frosali, una “chiara allusione al fatto che quello che per Mann era la letteratura e per Mahler la musica”, è stato per Visconti il cinema; “una sigla autografa apposta in calce all’opera”.

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Spinario. Palazzo dei Conservatori, Musei Capitolini; figura intera e (sotto) particolare del viso

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Bibliografia

(1) Dizionario di Cognizioni Utili (Vol. 3, H-M, pag. 509), nuova edizione stereotipa del 1925. Il dizionario fu pubblicato a partire dal 1905. Le informazioni riportate si riferiscono pertanto proprio al periodo in cui sono ambientati racconto e film.

(2) Einaudi editore, ET classici, a cura di Marino Freschi, traduzione di Anita Rho

(3) Regia di Luchino Visconti. Sceneggiatura: Nicola Badalucco e Luchino Visconti. Fotografia: Pasquale De Santis. Montaggio: Ruggero Mastroianni. Scenografia: Ferdinando Scarfiotti. Con: Dirk Bogarde (Gustav von Aschenbach), Björn Andrésen (Tadzio), Silvana Mangano (madre di Tadzio), Romolo Valli (direttore dell’albergo).
Il DVD del film è uscito in edicola il 17/12/2016, nella collana “Il cinema di Luchino Visconti” edita da “Il Cinema di Repubblica – L’Espresso. La Warner Bros Entertainment lo ha pubblicato nella collana I Grandi Registi.
Riconoscimenti:
1971 David di Donatello
Migliore regista a Luchino Visconti
1971     Nastro d’argento
Regista del miglior film a Luchino Visconti
Migliore attrice non protagonista a Silvana Mangano
Migliore fotografia a Pasqualino De Santis
Migliori costumi a Piero Tosi
Nomination Migliore attore non protagonista a Romolo Valli
1971     Globo d’oro
Miglior film a Luchino Visconti
1971     Festival di Cannes
Premio del 25° anniversario a Luchino Visconti
Nomination Palma d’oro a Luchino Visconti
1972     Premio Oscar
Nomination Migliori costumi a Piero Tosi
1972     Premio Bafta
Miglior fotografia a Pasqualino De Santis
Migliore scenografia a Ferdinando Scarfiotti
Migliore colonna sonora a Vittorio Trentino e Giuseppe Muratori
Migliori costumi a Piero Tosi
Nomination Miglior film
Nomination Migliore regia
a Luchino Visconti
Nomination Migliore attore protagonista a Dick Bogarde

(4) Bernd Kiefer (in: “Die Sehnsucht nach dem Schönen”, tradotto da Wolfgang Pruscha).

(5) Giovanni Raboni, Introduzione alla sceneggiatura definitiva, Mondadori, Milano, 1986

(6) Entrambi, Aschenbach nel film – e possiamo dire anche nel racconto (che è del 1912) – e Mahler muoiono nel 1911.

(7) Lo Spinario è un’opera ellenistica di scultura, raffigurante un giovane seduto mentre, con le gambe accavallate, si sporge di fianco per togliersi una spina dalla pianta del piede sinistro. Ne esistono varie versioni sparse nei musei di tutto il mondo. Quella forse più antica, in bronzo (73 cm di altezza), si trova ai Musei capitolini a Roma.

(8) Nel 1970 Visconti effettua i provini per la ricerca dell’attore che deve interpretare il ruolo del fanciullo polacco. Frutto della ricerca il documentario “Tadzio” diretto dallo stesso Visconti e prodotto dalla Rai per la rubrica Cinema 70. Il documentario è disponibile al seguente indirizzo: http://www.raiscuola.rai.it/articoli/visconti-e-thomas-mann-il-personaggio-di-tadzio/8188/default.aspx [11]

 

[Piccolo cabotaggio (2). Venezia e Visconti – Continua]
Per l’articolo di presentazione, leggi qui [12]