Aroma Silveria

L’amore ai tempi della scrittura (5). Per un figlio

di Silveria Aroma

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Siamo giunti al giorno di San Valentino e qui si conclude la serie di Silveria, dedicata ai modi di comunicare l’amore, prima delle faccette, dei cuoricini e dei TVB. Buone letture!
La Redazione

A chiudere la serie dedicata agli amori della letteratura è uno scritto filosofico destinato al figlio.
Non v’è amore più grande. Non v’è.

I figli sono le uniche persone capaci di farci perdere anche l’ultimo grammo di pazienza, senza che dentro di noi si sposti di un infinitesimo il sentimento d’amore che proviamo.

Sono loro le creature che più crescono più ci innamorano, dando un senso di pienezza alla nostra esistenza.
Da bambina non sapevo bene cosa avrei fatto (e continuo ad avere poche idee ma confuse), sapevo per certo che sarei divenuta una madre. Per gioco davo un nome al figlio del futuro, il nome che Lorenzo oggi porta.

Esiste una famosissima “Lettera al figlio” di Rudyard Kipling (meglio conosciuta come “If” – “Se”) datata 1910. Il padre ha come intento quello di insegnare al pargolo la distinzione tra il bene e il male.

La lunga lirica si conclude con questi versi:

Se riesci a parlare con le folle mantenendo la tua virtù
O a passeggiare con i re senza perdere il senso comune,
Se né nemici, né affettuosi amici possono ferirti;
Se tutti gli uomini per te contano, ma nessuno troppo,
Se riesci a riempire l’inesorabile minuto
Con un momento del valore di sessanta secondi,
Tua è la Terra e tutto ciò che è in essa,
E, quel che più conta, sarai un Uomo, figlio mio!

Molti anni fa, ben prima che diventassi mamma, mio padre mi regalò un libro che divorai con entusiasmo: “Etica per un figlio”, di Fernando Savater.

Savater è scrittore e filosofo spagnolo che non si è limitato ad una epistola, al figlio ha dedicato un intero libro di pensiero.

L’Opera è introdotta da una “nota anti-pedagogica” e, nella prefazione, l’Autore invita il suo ragazzo ad avere fiducia in se stesso, non nel padre, nel prete o nella polizia.

Ascolta figlio mio, disse il demonio poggiando la mano sopra la mia testa…”
Edgar Allan Poe

La prima cosa che bisogna mettere in chiaro è che l’etica per un uomo libero non ha nulla a che vedere con punizioni e premi distribuiti dall’autorità, umana o divina che sia fa lo stesso.

Colui che si limita a sfuggire alla punizione e cercare la ricompensa che gli altri gli offrono, in base a norme stabilite da costoro, non è che un povero schiavo.

Forse a un bambino bastano il bastone e la carota come guida di condotta, ma per chi è cresciuto è piuttosto triste continuare con questa mentalità. Bisogna orientare il comportamento diversamente.

A proposito: un chiarimento terminologico. Io utilizzerò le parole “morale” ed “etica” come equivalenti, però da un punto di vista tecnico (scusa se uso un tono più professionale del solito) non hanno lo stesso significato. “Morale” è l’insieme di comportamenti e norme che tu, io e alcuni di coloro che ci circondano consideriamo in genere come validi; “etica” è la riflessione sul perché li consideriamo validi e il paragone con altre “morali” di persone diverse. (…)

(…) bisogna lasciare da parte ordini e abitudini, premi e punizioni, in una parola tutto ciò che ti dirige dal di fuori; e che devi porti il problema da solo di fronte al tribunale interno della tua volontà. Non chiedere a nessuno come devi gestire la tua vita: chiedilo a te stesso. Se desideri sapere come impiegare al meglio la tua libertà, non perderla mettendoti al servizio di un altro o di altri, per buoni, saggi e rispettabili che siano: sul modo di usare la libertà interroga la libertà stessa.


Che bello aver trovato una ragione per rispolverare questo libro!

 

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