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“Ponza”? …A chi?! Dissertazione semiseria sull’etimo di Ponza e su altre cose

di Enzo Di Giovanni
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Di Ponza sappiamo quasi tutto. Si fa per dire, ovviamente, ma possiamo dire che, tra fisiologiche lacune ed inevitabili vuoti storici, bene o male l’ossatura della storia del nostro arcipelago è stata tracciata.
Ormai tutti fanno sfoggio di sapienza, dal barcaiolo che illustra le coste, al ristoratore che svela qualche segreto sulla conservazione e preparazione del pesce, al contadino che, a chi si avventura dove osano i falchi pellegrini, spiega l’ingegno e l’arte delle parracine.
Fin qua ci può stare; ma poi si va ben oltre, con decine e decine di blog ed improbabili taccuini di viaggio di chi, magari dopo una sola giornata trascorsa sul nostro arcipelago, narra di fenici e saraceni, tufi e trachiti, con l’aria di chi la sa lunga.
Il problema è quando l’improvvido viaggiatore sprezzante del pericolo approda su YouTube, e, in un eccesso di confidenza, sfida la fonetica a colpi di Ponza.
Aspra e sorda – la zeta – o dolce e sonora?
E la “o”… chiusa o aperta, di passaggio o fortemente accentata?
E qua casca il foresto, perché davanti all’essenza i virtuosismi di facciata crollano implacabili: nove volte su dieci i ponzesi per caso falliscono la prova, e con essa i copia-incolla da Wikipedia

Del resto, mica è solo un problema di pronuncia: la questione è seria, antica, ed irrisolta.
Il perché è abbastanza ovvio: non avendo Ponza avuto una continuità residenziale, ma piuttosto a singhiozzo fin dal neolitico, non è nemmeno riuscita a conservare una continuità storica memoria da tramandare.
Ed infatti lacunosa è persino la ricostruzione etimologica del nome Ponza.
Lacunosa… e di parte, come la zeta e la o”!
Perché non bastando le difficoltà ad inventarsi un’etimologia, ci scontriamo anche in questo campo tra indigeni e foresti…

Si parte infatti dall’omerico Eea:
…perciò fu cacciata dal trono e fuggì sull’Oceano e dopo aver occupato un’isola deserta, vi si insediò con le donne che erano fuggite con lei; però, secondo alcuni storici, dopo aver lasciato il Ponto, si spostò su un promontorio in Italia, che ancora porta il nome, derivato dal suo, di Circeo…
…così Diodoro Siculo, tra gli altri, ad avallare la tesi di una Circe che dall’Oriente si sposta… dove?

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Circe. Giovanni Benedetto Castiglione, 1653 (collezione privata)

Sul Monte di Circe (Kirkes), oppure sull’isola di Circe (kirkeion) di cui il promontorio è solo un riferimento?
Disputa ancora aperta che schiera da una parte un esercito di estimatori del promontorio e dall’altro qualche stoico difensore della Circe ponziana, come il nostro Tricoli.

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Scene di scorrerie di pirati saraceni. Murale a Sperlonga

Ma lasciamo le suggestioni epiche, ed approdiamo al rassicurante Pontiae, cioè di mare, marina, derivante da pontos, mare.
Rassicurante?
Ma neanche per sogno! Più di un autore ha rilevato che ha poco senso dare nome ad un’isola in riferimento al mare. Tutte le isole sono marine, ovviamente; per quale motivo questa avrebbe dovuto esserlo più delle altre?
Una possibile scappatoia, citata dal Tricoli, potrebbe essere l’esistenza a Ponza di un culto ad una Venere Epiponzia, cioè marina, talmente rilevante da aver fornito nome proprio all’isola stessa.
Ma – ahi noi! – di tale culto al momento non è stata rivenuta traccia alcuna, ed ecco che allora avanza la tesi che il nome pontos vada riferito alla costa, cioè pianura marina, e da lì le nostre isole identificate come isole davanti alla costa marina, perciò isole marine. Insomma Ponza non come nome primario, ma derivante per estensione dalla pianura pontina.

In fede a questa tesi, nasce con forza il partito dell’arcipelago pontino, invece di quello ponziano, arrivando a vere e proprie partigianerie, come quella autorevole di Apollonj Ghetti, che nel suo “L’Arcipelago Pontino” sentenzia:
“Non è forse da trascurare l’ipotesi che tale aggettivo… (Ponziano)… sia stato adoperato con particolare frequenza nell’Ottocento fino al ’60 – e cioè quando l’arcipelago faceva parte del regno delle Due Sicilie – proprio perché il vocabolo pontino sottolineava, in modo allora probabilmente poco gradito, l’evidente nesso geografico e storico che collegava le isole all’antistante litorale romano.”
Insomma, queste isole sono romane, è inutile che cercate di creare una vostra autonomia culturale…

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Meno male che non tutti i foresti la pensano allo stesso modo, ed ecco che viene Gin Racheli a nostra difesa nel suo “Le Isole Ponziane” (per l’appunto!), che riguardo al testo di Apollonj Ghetti dice:
E’ curioso che l’arcipelago sia erroneamente chiamato Pontino da moltissimi autori per una traslazione del toponimo della pianura Pontina, iniziata nel secolo scorso e poi ufficializzata dagli interventi di bonifica del regime fascista. Anche il geografo Baldacci cercò in apertura di un suo studio di correggere l’errore, ma nel 1968 un libro di Apollonj Ghetti, ottimo sotto il profilo della ricostruzione storica, recava ancora il titolo “L’Arcipelago Pontino”. L’autore arriva a dire di aver optato per il toponimo “Pontino” tra l’altro perché inoltre foneticamente più gradevole ed elegante dell’altro, “Ponziano”. Sarebbe come dire: io trovo foneticamente più gradevole “Romula” piuttosto che “Roma” e scelgo questo toponimo a mio arbitrio.

Anni fa lessi su un quotidiano romano un articoletto secondo il quale sarebbe stato opportuno modificare, armonizzare, la nomenclatura di Ponza per essere al passo con i tempi. Della serie: Calzone Muto? …ma dai! Bagno Vecchio? …ma su!
Che dire?! Noi siamo d’accordo con la Racheli, ci mancherebbe altro!

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Ma, a riprova che la questione è ancora aperta, ecco la più recente tesi di Raffaele Castrichino, che nel suo “Grecità toponomastiche delle isole Ponziane, delle paludi Pontine, del Circeo e di Terracina” (1988; prefazione di Paolo Cerilli) chiude le dispute attorno a pontos-mare e, pur d’accordo con l’origine greca dell’etimo, ne dà una lettura del tutto nuova: la costa paludosa si trovava dopo la quinta (pempte) isola delle Ponziane, riferimento questo ad uso dei naviganti. Cinque isole: Ponza Palmarola Zannone Ventotene S. Stefano.
Per cui, per traslitterazioni successive assunte dai diversi popoli che hanno dimorato a Ponza a partire dai Volsci, da Pente a Ponties, si sarebbe arrivati ad indicare la maggiore di tali isole come Pontia.

Bè, una cosa l’abbiamo capita.
Che in questa confusione si nun ci stamm accort ci fregano pure il nome. Sang’ ‘i Rutunne e Giggino sono avvisati.
Ed allora, per diletto, tento un’altra strada, gli accademici perdoneranno il mio ardire…

In arabo Ponza è Bun-sah. Ce ne dà contezza il celebre cartografo-narratore Al Idrisi, che nel XII secolo ci dedica queste poche note:
“Da Ventotene alla città di Gaytah (Gaeta)
[corrono] venti miglia. A trenta miglia [dalla stessa
isola] tra ponente e mezzogiorno sono due isole che
appellansi l’una Mùnisah (Palmarola?) e l’altra
Bùnsah (Ponza) abitate entrambe.

Bunsah è indubbiamente trascrizione esatta di Ponza. Ma siamo sicuri che derivi da Pontiae?

 

C’è un roccia magmatica, molto diffusa in natura, la pomice. In questo caso l’etimo non è incerto: viene da spuma, schiuma, ed è legato alla caratteristica porosità della sua struttura.
A Ponza la pomice non c’è, non in percentuale tale da giustificare il nome. Ma tutto quel tufo grigio/bianco che caratterizza gran parte della costa isolana in effetti potrebbe trarre in inganno.
E sapete come si dice in turco pietra pomice?
Basta cercare su un traduttore italiano-turco: si dice proprio Ponza!
Pari pari, senza alcun equilibrismo fonetico-lessicale.
Vuoi vedere che abbiamo trovato la quadratura del cerchio, con buona pace dei tanti continentali armonizzatori, nella speranza che ad Erdogan non venga in mente di accampare pretese territoriali?

P.S. – Magari è poco in linea con l’armonizzare (che, curiosamente è l’anagramma di romanizzare), ma la “o” di Ponza è aperta e insistita, a differenza della “a”, e la zeta è aspra e sorda, come il nostro carattere.

Chest’è!