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L’amore ai tempi della scrittura (4). Per una sconosciuta

di Silveria Aroma
Lamp. Resized [1]

 

Prima di parlare d’amore, proporrei un quesito. L’amore può manifestarsi in accessi di rabbia legati alla gelosia, abbracci di possessività, slanci di morbosità e controllo… e, soprattutto, può esprimersi con la violenza?

Quattro lettere d’amore. Autori diversi, vite differenti, epoche e Paesi distanti fra loro. Ciascuna epistola contenente il suo proprio messaggio e una sua bellezza.

Il lettore non è fruitore passivo dell’autore né delle parole che questi sceglie e usa, no! Il lettore, vero e unico padrone della scrittura – in barba ad autori ed editori – regna sovrano e predilige libri nei quali possa intravedere il riflesso di quel sentire (e pensare) che gli è più congeniale e/o familiare.

I libri li usiamo, talvolta finendo con l’innamorarcene. Mi capitò così qualche estate fa.
La sera, finito di lavorare, mi ritiravo nella mia camera e aprivo gli occhi su di un Paese lontano, Israele.
Sera dopo sera, lettera dopo lettera, mi immergevo sempre più in un’altra realtà. Nomi diversi da quelli che udivo durante il giorno; non più l’attesa delle navi e degli aliscafi per calibrare arrivi e partenze bensì l’invocazione della pioggia per lenire un’insistente siccità. Acqua che mondasse il vecchio benedicendo cambiamenti profondi. Una scrittura intensa a tal punto da farmi venire sete leggendo alcune pagine.

Un meraviglioso romanzo epistolare quello di David Grossman, Che tu sia per me il coltello.

Le lettere non sono indirizzate alla donna amata (anche se infine lo diverrà) o alla vecchia madre e neanche vibrano degli ideali patriottici.

E’ una donna pressoché sconosciuta (appena intravista in mezzo ad altre persone) a ricevere la prima lettera che costituirà l’inizio di un’intensa corrispondenza fra due estranei che diverranno via via più intimi, legati indissolubilmente in una delicata catarsi.

Copertina. coltello [2]

3 aprile 

Myriam,

tu non mi conosci e, quando ti scrivo, sembra anche a me di non conoscermi. A dire il vero ho cercato di non scrivere, sono già due giorni che ci provo, ma adesso mi sono arreso.

Ti ho vista l’altro ieri al raduno del liceo. Tu non mi hai notato, stavo in disparte, forse non potevi vedermi. Qualcuno ha pronunciato il tuo nome e alcuni ragazzi ti hanno chiamato “professoressa”. Eri con un uomo alto, probabilmente tuo marito. È tutto quello che so di te, ed è forse già troppo. Non spaventarti, non voglio incontrarti e interferire nella tua vita. Vorrei piuttosto che tu accettassi di ricevere delle lettere da me. Insomma, vorrei poterti raccontare di me (ogni tanto) scrivendo. Non che la mia vita sia così interessante (non lo è, e non mi lamento), ma mi piacerebbe darti qualcosa che altrimenti non saprei a chi dare. Intendo qualcosa che non immaginavo si potesse dare a un estraneo. Inutile dire che questo non comporta obblighi da parte tua, non devi far nulla (sono quasi certo non mi risponderai). Ma se, malgrado tutto, un giorno vorrai farmi sapere che leggi le mie lettere, troverai sulla busta il numero della casella postale che ho affittato questa mattina e che è destinata solo a te.

Se mi devo spiegare, allora è tutto inutile: non sentirti in dovere di rispondere, probabilmente mi sono sbagliato sul tuo conto. Ma se sei tu quella che ho visto stringersi nelle braccia con un cauto sorriso, credo che capirai.

Yair W.