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A Munaciello’s Carol

di Silveria Aroma

 .

Ho sempre amato Canto di Natale (A Christmas Carol: A goblin story of some bells that rang an Old Year out and a New Year in) di Charles Dickens.

Nei racconti della mia infanzia non vi era, però, lo “Spirito del Natale Passato” bensì uno spiritello dal nome inquietante per la bambina che ero, ’u munaciéll’, e il solo evocarlo procurava brividi…

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Entrambe le mie bisnonne ponzesi avevano nome Raffaela, ma quella frontonese – Raffaela D’Arco – non l’ho mai incontrata.

Attraverso i racconti dei nonni ho comunque ideato un’immagine di lei, con tanto di modi sbrigativi e vocione. Fu proprio con quella sua voce ruvida che spedì mia nonna, sua futura nuora, a dormire a casa della figlia, Rosaria.

La futura cognata di mia nonna (e zia di mia madre) abitava in una casa di Frontone divenuta successivamente albergo; con lei vivevano suo marito, i figli e… ’u munaciéll’, tutti insieme appassionatamente.

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Questo è quanto accadde quella notte in cui io non c’ero, voi nemmeno.

La notte armata di buio ha il potere di amplificare i sensi e con essi paura e dolore.
La casa era immersa nel sonno, i lumi a petrolio freddi.
Il silenzio venne interrotto dal frastuono dei piatti che cadendo si frantumano. Prima uno, poi due, infine tutti; una sinfonia di cocci.
Mia nonna saltò dal letto come una molla e chiese spiegazioni alla cognata.
“Dormi”, le suggerì l’altra. “Non è niente”.
“Scassa, scassa!”, tuonò Rosaria, rivolgendosi al nulla.
Niente?! Pensa se ci fosse stato qualcosa di cui preoccuparsi…

La giovane donna provò a rimettere la testa sul cuscino, immaginando il focolare pieno di cràstule sparse.
Avrebbe preferito dormire ma il sonno non voleva tornare, l’inquietudine dominava il suo senso pratico.
La famigliola che abitava la casa, invece, riposava indifferente.

Pregò che l’alba giungesse in fretta.
E prega e prega, Morfeo la prese tra le braccia, guidandola verso il sonno.
Si assopiva dolcemente quando – nell’altra stanza – ’nu sacc’ ’i granone venne sversato sul pavimento.
“Rosa’!”, urlò mia nonna.
La cognata tentò ancora una volta di blandirla, parlando di normalità; l’indomani mattina avrebbero rimesso in ordine tutto, piatti e granone.

“E che vuoi dormire più…”, raccontava mia nonna.
Quella notte proprio non le riuscì di prendere sonno. Lei che aveva remato nella notte andando a pescare da sola, lei che passava sotto il cimitero con la barca nel buio (cosa che spaventava uomini grandi e grossi e che la rendeva fiera), lei che vestiva i morti, lei – proprio lei – quella notte incontrò la paura nella sua forma più astratta. Conobbe quel timore ignoto che divide le coscienze degli uomini, quel sentire che qualcuno spiega intersecando i suoi rami al paranormale.

Comme Dio vulètt’, ascètt’u sole e una tenue luce filtrò sotto la porta.
Il cuore della giovane donna trovò un attimo di pace. Durò poco, pochissimo.
Il saluto del sole venne arginato dal buio; come se qualcuno avesse infilato uno straccio sotto la porta, spingendo ben bene; lo spiraglio luminoso svanì.
La nonna si tirò il lenzuolo sugli occhi, stavolta non poteva vogare né correre o darsi da fare. Era impotente dinnanzi all’oscuro, come tutti noi, vaguli e blanduli mortali.

Al mattino la cucina era in perfetto ordine. I piatti erano integri ed il granone ben custodito nella sua tela. Invano ella cercò gli effetti e i frammenti di quel rumoreggiare notturno. Nulla era stato spostato.

Mia nonna non tornò mai più a dormire dalla cognata.
Rosaria, anni dopo, trovò una nuova casa in Argentina dove si trasferì con tutta la famiglia… con o senza munaciello!?

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Raffaela D’Arco. Classe 1875

Scrivere è raccontare, scrivere è ricordare, scrivere è viaggiare nel tempo.