Ambiente e Natura

Quando l’amore ha tre facce: San Felice Circeo, Sermoneta, Ponza (1)

di Luisa Guarino

.

Ho ‘pescato’ da una pubblicazione curata dall’Amministrazione provinciale di Latina, Settore Pari Opportunità, presentata nel marzo 2004 a Latina nell’aula consiliare della Provincia in occasione della Giornata internazionale della donna, un mio racconto intitolato “Quando l’amore ha tre facce”, dedicato rispettivamente a San Felice Circeo, Sermoneta e Ponza, i miei tre ‘luoghi del cuore’.
Il libro s’intitola “Con parole di donna. Racconti al femminile in Provincia di Latina” e raccoglie complessivamente venti racconti di autrici varie, selezionati per l’occasione. Qualcuno dei nostri lettori il mio racconto lo conosce già, e ha anche criticato all’epoca quanto ho scritto a proposito di Ponza. Voglio condividerlo ora, a distanza di dodici anni, con un pubblico più ampio, che potrà approvare o dissentire. Siamo qui anche per questo.
L.G.

parole-di-donna-fronte

Non so se esistono “parole di donna” diverse da altre, per raccontare il rapporto con questa terra in cui vivo e in cui sono nata. So che esistono queste mie parole, e non possono essere altre, per dire agli altri ma soprattutto a me stessa emozioni antiche e sempre nuove. I miei amici sostengono che sono stata fortunata. Da piccola ho vissuto a San felice Circeo, due anni. Dai sei ai quindici ho trascorso un’adolescenza straordinaria a Sermoneta. Inoltre sono nata a Ponza. Di tutto questo debbo ringraziare soprattutto mio padre, le sue scelte professionali e di vita.

Sarei potuta nascere sul lago di Como, dove i miei si trovavano per motivi di lavoro. Ma mamma e papà avevano altri programmi e hanno voluto che “vedessi la luce” proprio dove erano nati loro. A Ponza.
Ma andiamo con ordine. Cioè andiamo avanti. Di San Felice Circeo ho pochi ricordi ma molto nitidi. E il profilo di quel promontorio, che faceva da riparo ai primi bagni su quella che mi sembrava una spiaggia lunghissima, quando lo guardo ancora oggi mi sembra un amico caro, di quelli che mai ti abbandonano. Le foto con la classe, ho frequentato la prima da uditrice e poi ho sostenuto gli esami, allora si poteva, è conservata nella scatola dei ricordi di mia madre.

s-felice-circeo-ilcentrostorico_1

Eravamo tutte femmine, avevamo un grande fiocco al collo, e sorridevamo sulla terrazza della scuola. Anche nella casa in cui abitavo, nella zona di San Rocco, c’era un bel terrazzo da cui la vista spaziava verso il mare. Mentre i profumi della campagna erano lì a un passo, quando giocavo con gli altri bambini nella vigna sottostante. Era al ritorno dalle vacanze, e mi torna alle narici l’odore nauseabondo di certi impiastri che preparavamo come fosse cucina vera: un misto di foglie d’uva appassite, pomodoro e sabbia. In alto il paese era più antico, misterioso e ugualmente bello, anche se si allontanava dal mare. Che su me ha sempre esercitato un richiamo irresistibile. Lì ho trascorso due anni. Troppo pochi per provare vera nostalgia. Del resto anche i miei anni erano troppo pochi.

Ed eccomi a Sermoneta, in un panorama completamente diverso da quello della maga Circe. Non più all’ombra di un promontorio ma di una rocca medievale, il castello Caetani.
Casa mia era all’ingresso del paese, in Corso Garibaldi, sul lato opposto alla chiesa di San Giuseppe, quasi sempre chiusa. Ma di quel santo ci si ricordava, eccome, il 19 marzo, quando tutti i rioni di Sermoneta facevano a gara per innalzare il falò (i faùne) più grande.
Noi contribuivamo con l’abete di Natale (tagliato, ahimè senza radici, ma chi lo capiva allora?) conservato in cantina insieme ad altri rami e fascine. Io e mio fratello eravamo talmente fieri del nostro contributo.
Dalla parte posteriore della casa, finestre e balconi avevano di fronte le montagne. Pensate che le considerassi un ostacolo alla vista e alla fantasia? Tutt’altro. Bastava immaginare paesi, persone, mondi interi, al di là. E guardando le ombre che si allungavano su di esse non potevo fare a meno di pensare a quanto avevo letto su un libro di storia dell’arte a proposito di Leonardo da Vinci. Il quale affermava, e quanto aveva ragione mi andavo dicendo, che le ombre delle montagne sono viola, e non grigie o semplicemente scure.

sermoneta_vicoli

La casa era immensa. Vi si accedeva da un enorme portone di ferro con i batacchi ad anello. Si attraversava un grande androne, altre due grandi porte aperte a metà, e una scalinata. Di fronte all’ingresso di casa c’era un altro piccolo appartamento composto da due stanze e un lunghissimo balcone. Erano le cosiddette “stanze dei pappagalli”, più una sorta di “giardino d’inverno”. Mia madre infatti adorava piante e fiori e aveva diverse famiglie di coloratissime “cocorite”. Le avrei strozzate volentieri, anche se il solo pensiero oggi mi fa orrore, perché loro svolazzavano gracchiando tutto il giorno, mentre tenere un gatto proprio non mi era permesso.

Ma una volta finalmente mia madre si è intenerita e un gattino me lo ha concesso (da allora non ho mai smesso). Piccolo ma intraprendente, amava uscire anche di sera. E io, anche se ero piccola e un po’ incosciente come tutti i bambini, non riuscivo a dormire tranquilla se lui non rientrava. Mi capitava così di sentire il suo miagolìo anche se la mia stanza era dalla parte opposta: in pigiama, anche d’inverno, uscivo di casa, attraversavo androni e porte di quel palazzo che avrebbe messo i brividi anche a Harry Potter, socchiudevo l’enorme portone e portavo l’adorato batuffolo con i baffi al sicuro, nel caldo del mio letto. Quel portone, forse tra non molto, a Sermoneta non ci sarà più. Ristrutturazioni e lavori in corso lo cancelleranno. Ma Alessandro De Santis, che è un artista ed è anche mio amico, qualche anno fa lo ha riprodotto con la sua matita “miracolosa” insieme ad altri portoni e porte che vanno scomparendo. Quella riproduzione me l’ha regalata. E quella resterà sempre la porta di casa mia. Rimasta intatta anche nei miei sogni di oggi, dopo tanti anni.

Le corse per strade, vicoli e scale che mi sembravano enormi; i giochi all’ombra del castello con le cicale che in estate mi spaccavano i timpani; i cori nella chiesa, le funzioni di Pasqua e mio fratello con la cotta da chierichetto; gli amici, e tutte le persone care.
Ogni volta che salgo in paese è sempre come tornare a casa. E ringrazio il Cielo che mi ha dato la possibilità di trascorrere gli anni più importanti della vita proprio lì, in un posto che ancora oggi ha l’incanto delle storie raccontate.

Poi. Poi c’è Ponza. Anzi Ponza è prima e dopo tutto.

parole-di-donna-retro

[Quando l’amore ha tre facce (1) – Continua]

Clicca per commentare

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top