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L’albero della libertà (6). Ovvero: benedizioni a chi ce vo’ male

di Francesco De Luca
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Vado da zi’ Ntunino per un saluto fuggevole e vi trovo Totonno ’u poeta, Veruccio saccapanna, Totonno l’ormeggiatore e Franchino.

Costui è compagno fisso di zi’ Ntunino e va bene, ma gli altri ? Gli altri vi sono convenuti per un rito annuale irrinunciabile: l’assaggio del vino nuovo.

Mi sono ritrovato così nel mezzo di un cerimoniale. Il boccione di vino troneggia nel mezzo del tavolo, i bicchieri fanno da alfieri, una scodella di fave fritte e salate da regina, olive nere da un lato e olive verdi dall’altro, come cavalieri. Le bevute sono obbligatorie.

Non mi sottraggo e, fatto lucido dal vino, noto che sono presenti tre Antonio. Secondo la tradizione le tre presenze danno adito al battesimo d’u ciuccio. Tutti convengono con una ulteriore alzata di bicchieri.

E’ stato allora che zì Ntunino dà inizio alla ‘liturgia della parola ’.
“In sintonia con questo vino ognuno ’i nuie ha dda fa’ na benedizzione pe chi vò isso. ’U primme songo ie e dongo sta benedizzione a chi cummanna: Signo’, ca tutto vide e tutto saie, falle schiatta’ ’i salute”. E giù tutti a beneaugurare tracannando vino.

Di chi? Il vino di chi? Non di zi’ Ntunino perché non ne produce, ma si rifornisce da Michele, vicino di contrada. Vino genuino e tonico: boccata asciutta, colore ambrato e profumo d’erica. Vino che s’accompagna all’allegria.

Colgo l’attimo e noto che anche Assuntina sorseggia. La donna è fugace mentre Veruccio saccapanna tracanna di continuo con gli occhi chiusi. Prende ispirazione.
“Benedico a chi me vo’ male: tanta abbunnanza pe’ ncoppo e pe’ sotto. Tanta famme e tanta sciorda”.

Totonno ’u poeta si fa ardito e inizia coi versi di Archiloco: “che il giorno trovi con gli occhi chiusi te, che hai la notte nel cuore”. Ma poi, i versi gli hanno ricordato il suo vicino che di notte gli ruba gli ortaggi e allora: “Puozza murì ’i subbeto, accussì… senza patemiente… doce doce”.

Tocca a me. Tutti guardano me, per la mia benedizione.
Travolto dai bicchieri trangugiati mi è uscito un flebile: “Amen”. Più volte: “Amen”.

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