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Memoria di Raniero da Ponza, eremita di curia e profeta del Papa

di Francesco De Luca

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E’ uscito, per i tipi di Vita e Pensiero – Milano 2015 il libro che ho summenzionato.

L’ho letto con l’interesse del Ponzese che vede all’onore degli studi il nome del monaco che ha portato Ponza all’apice della considerazione nella Curia vaticana negli anni intorno al 1200.

Il libro è l’esito di una ricerca effettuata dall’ Università Cattolica di Milano in merito alla storia del profetismo. Ragion per cui il mio entusiasmo di isolano è stato di gran lunga superato dalle argomentazioni specialistiche presentate, generando però delusione e vanto.

La delusione discende dal fatto che l’importanza di Ponza nelle vicende di Raniero è relativa al suo agognare una vita monastica solitaria. “Il Cisterciense (Raniero) si mostra in questo modo appartenente a una tradizione eremitica” (p. 29), che trovava soddisfacimento a Ponza. Nella lettera del cardinale Ugo da Ostia (futuro papa Gregorio IX ) è scritto: “e sebbene da monaco ogni giorno aumentasse l’asprezza della vita dell’ Ordine, grazie a una concessione, si trasferì nell’isola di Ponza” (pag. 30). Altrove scrive: “ Raniero, che ora riteniamo uomo santo, da allora acceso dallo zelo per la verità, istruito nelle arti liberali, efficace nel parlare, che venne dai confini del regno, dall’isola di Ponza, per ascoltare la sapienza del suo Salomone (il Salomone è Gioacchino da Fiore)” (lettera di Ugo da Ostia – pag. 30).

Il monastero di Santa Maria in Ponza nel libro non viene mai citato. L’abbazia in cui maturò Raniero è l’Abbazia di Fossanova..

Il vanto proviene dal fatto che il monaco Raniero godeva di tanta stima presso la Curia romana che papa Innocenzo III lo tenne come confessore, come confidente, e gli affidò incarichi da legato pontificio A lui proprio, identificato come Raineyrus de Pontio, ossia Raniero da Ponza. Eppure sull’ isola non è nato, giacché non si ha notizia di questo, così come si evince che non sull’isola si sviluppò la sua formazione. Allora, perché questa denominazione ? Nel libro questa domanda non compare. Si dice soltanto che il monaco interrompeva il suo soggiorno a Roma per recarsi lì dove la meditazione era facilitata e l’eremo favoriva le visioni profetiche. Raniero “avendone licenza, si trasferì nell’isola di Ponza, da dove però teneva contatti con i devoti, re, principi, prelati, da lì giungevano sante epistole, e lì ne venivano spedite” (lettera di Ugo da Ostia, pag. 60).

Questo gratifica l’approccio dell’isolano al libro. Ma, in aggiunta, ho potuto appurare che la figura di Raniero si evidenzia per altre interessanti novità.

La trattazione è dotta e molto specialistica. Da parte mia ho tratto questi due concetti. Sono espliciti nel titolo: Raniero, il profeta del Papa; Raniero eremita di Curia.

Profeta del Papa. Cosa significa? Per capirlo occorre calarsi nella realtà storica ed ecclesiale di quel tempo. L’Autore, Marco Rainini, disquisisce a lungo sul fatto che la speculazione apocalittica e l’interpretazione profetica avevano un’importanza, per noi profani, inaspettata.
Sottolinea l’Autore: “Come già rilevato la profezia e la presenza del profeta stesso a fianco dell’autorità religiosa, si evidenziano come un fattore legittimante e di rafforzamento carismatico dell’istituzione” (pag. 125).
In altre parole nel Medioevo centrale e poi tardo, la profezia era accreditata come “codice riconosciuto di saggezza”. Specie nelle situazioni di crisi, o comunque aperte a esiti incerti. Ed era proprio come si presentavano quei tempi per la Chiesa di Roma: l’Ordine Cistercense era trapassato da lotte interne e da dissidi sull’orlo della lacerazione; in Linguadoca gli Albigesi minacciavano scismi: il nord d’Italia era squassato dalle rivolte degli Umiliati.

Ora, quale attinenza aveva Raniero con le dottrine apocalittiche e profetiche? Tanta, ne aveva tanta, perché era stato sodale di Gioacchino da Fiore: colui che subissò di scenari profetici e apocalittici la storia della Chiesa di Roma, lo stato in cui versava e l’evoluzione cui tendeva.

Raniero in verità aveva diviso il suo destino da Gioacchino ma gli echi delle dottrine di Da Fiore influenzarono il suo pensiero tanto che Innocenzo III, quando cercò di gestire il movimento degli Umiliati, affidò a lui l’incarico di approvare il testo della loro Regola.

Sto cercando di dire, in modo succinto e sbrigativo che Raniero ebbe in vita (1130 -1207 (1209) fama di monaco dotto e sagace; in morte fu addirittura imitata la sua scrittura da altri che con l’appellativo Raniero (da Viterbo) facevano valere nell’ ambito della Chiesa le loro idee.

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Nel libro c’è ampia materia per approfondimenti. Che rivelano come nella curia di Roma per un certo periodo (fino alla metà del 1200), tutto quanto potesse essere rapportato al pensiero di Raniero da Ponza, era tenuto in grande considerazione. Da qui l’epiteto: eremita di Curia. Tanto apprezzato e tanto schivo. Fino ad abbandonare spesso Roma per ritrovare l’ispirazione di Dio nell’eremo di Ponza.

Altre suggestioni offre la lettura. Perché fu così conosciuto e poi così dimenticato ? Quale visione aveva dell’Ordine Cisterciense, in quei tempi, tanto potente e tanto odiato? La Regola degli Umiliati cosa rappresentò di innovativo nel panorama delle regole monastiche contemporanee?

Non ho elementi dottrinali per rispondere a tali quesiti. Per scrupolo li presento, e anche per puntiglio. Mi piace che il nostro monaco Raniero da Ponza sia figura così gravida di tesori concettuali ancora da esplorare.