Ambiente e Natura

Quando le barche raccontano…

di Adriano Madonna
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Di solito, sono gli uomini che raccontano di barche, di navigazioni, tempeste, isole incantate, e la protagonista è sempre lei, la barca, che consente di lasciare le rotte normali per percorrere quelle della fantasia, perché il mare è soprattutto fantasia.

Ma accade mai che siano le barche a raccontare?
Certamente sì, anche perché una barca non è solo un pezzo di legno con una forma particolare in cui si indovinano una poppa e una prua, e una vela o un’elica per farla muovere.
La barca è molto di più! Ad esempio, ha un’anima, e soffre e gioisce, ma tutto ciò accade solo quando si stabilisce un certo tipo di rapporto tra un uomo e una barca.
Prima che avvenga tutto questo, la barca è solo quel pezzo di legno, una cosa morta, priva di ogni sentimento.
Si acquista una barca, che può anche piacere per com’è fatta e per come naviga, ma, niente di più.
Al limite, si può dire “Com’è bella!”, ma niente di più; “Come naviga bene!”, ma niente di più; “Com’è comoda!”, ma niente di più.

Prima, infatti, che la barca abbia un’anima e voi ve ne rendiate conto, deve passare del tempo.
Innanzitutto, la barca si deve conoscere a fondo, in ogni centimetro dello scafo e in ogni untuoso angolo della sentina.
Poi, è necessario metterci le mani sopra e le mani si devono sporcare, ma mentre si insudiciano di morchia e le scaglie di legno entrano nella carne, mentre diventano tremule per la fatica nel girare un bullone incancrenito o nel segare un pezzo di legno duro come la canna di una bombarda, quelle mani diventano mani benedette.
E allora, forse per premiare tanto amore e tanta devozione, la barca succhia la vita dall’aria e dall’acqua e diventa una cosa viva, con un’anima e… impara a voler bene al suo compagno che la porta in giro per il mare; e con lui sente le stesse emozioni che si avvertono al cospetto di un’alba e di un tramonto.
Poi, nel cavalcare la tempesta, cerca di dare il meglio di sé per non deludere chi l’ha scelta e l’ha amata.

Ecco, tutto questo avviene tra un uomo e una barca e tutto quanto avviene tra un uomo e una barca è l’effetto di una grande passione, ma, se gli uomini raccontano delle loro barche, le barche raccontano dei loro uomini? Anche qui la risposta è affermativa.

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Ma a chi raccontano le barche? Naturalmente, ad altre barche! E dove? Il dove l’ho scoperto per caso.
Pensavo che di notte, all’ormeggio, tra barca e barca si stabilisse un dialogo, ma credo che le barche all’ormeggio siano di poche parole.
Ci sono, infatti, lunghi mesi per parlare senza fretta: sono i mesi del rimessaggio, quando il freddo e l’inverno fanno il mare verde e bianco e le barche aspettano tempi migliori per riguadagnare il sole.
E allora, se accostate l’orecchio alla porta del capannone senza fare il minimo rumore, all’interno sentirete un leggero brusio, ma proprio leggero, tant’è che si devono avere orecchie buone per coglierlo: sono le barche che parlano.
Quelle più ciarliere sono le giovani barche, che da poco vivono l’emozione del grande mare: sono appena uscite dalle mani del mastro d’ascia e sanno ancora di legno fresco.
Le barche “vecchie”, quelle che magari nessuno sa dire quanti anni abbiano, sono più silenziose.
A loro, infatti, piace più ricordare che parlare, ma quando si lasciano prendere dall’estro e cominciano a raccontare, rivelano cose da restare a bocca aperta.
Tutti i vecchi, a prescindere se siano uomini o barche, hanno cose meravigliose da raccontare.
Quando, dunque, le barche vecchie raccontano, quelle più giovani stanno religiosamente ad ascoltare.

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E il tempo scorre tra le aperture sconnesse del capannone, s’intrufola il vento con aliti di mare, il freddo che ghiaccia il mondo, e la pioggia.
Poi giunge il nuovo sole che fa sorridere i fiori e le barche si scuotono gli anni che si portano addosso e sono pronte per cavalcare le onde di primavera.
Il borbottio del motore suona come una preghiera, una preghiera di ringraziamento che solo chi ama la propria barca sa sentire dentro.
Rivivono, così, le storie antiche, vecchie come il mondo.

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2 Comments

2 Comments

  1. Enzo Di Fazio

    20 Ottobre 2016 at 19:36

    Bellissimo questo tuo racconto, Adriano.
    Ti sono grato per averlo scritto e averlo proposto su Ponzaracconta perchè mi ha permesso di ricordare la barca, la prima, l’unica avuta da mio padre e da me utilizzata in tante estati della giovinezza. Una barca di legno uscita dai cantieri Porzio di Santa Maria, dalle prestigiose mani del mastro d’ascia Biagio.
    Ed è vero che con il passare degli anni si stabilisce quasi un rapporto di affetto con la propria barca per via delle tante storie ad essa legate.
    Ricordo che quando tornavo a Ponza agli inizi dell’estate o durante le vacanze era la prima cosa che andavo a vedere, dopo aver salutato i genitori, per verificare in che condizioni fosse. Quante volte sono corso, di notte, quando imperversava il levante, dietro la Caletta, ove era ormeggiata, ad accertarmi della tenuta dell’ancora e delle cime. Capitava così di restare lì per tanto tempo a controllare e “farle compagnia”, incurante degli spruzzi d’acqua che mi venivano addosso dai cavalloni che si infrangevano contro la scogliera.

  2. Luisa Guarino

    22 Ottobre 2016 at 16:23

    C’è sempre una barca nel cuore di chi come noi ama il mare ed è nato in un’isola. Nel mio ce n’è più di una. Quand’ero bambina ricordo la Rosanna di mia cugina Maria Conte e l’altra di mio cugino Silverio Guarino, sulle quali abbiamo trascorso tante ore belle, in famiglia e non solo. Dell’adolescenza e un po’ oltre ricordo invece quella di Franco Zecca. Se non sbaglio un anno che ero in Africa con Dante, mio marito, ci ha spedito (a quei tempi non c’era internet) una sua foto, rimessa a nuovo e coloratissima, nel mare di Frontone.
    Nella gioventù “matura” invece il mio ricordo è legato a uno scafo in plastica/resina di colore arancio, con un bel salvagente bianco montato sulla prua: si chiamava Fladalù, dai nomi della nostra piccola famiglia, Flavio, Dante, Luisa. Ne abbiamo solcato di mare a Ponza insieme, lui e noi tre.

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