Attualità

Aiuto… ho perso la lingua!

di Francesco De Luca
rollingstones-tongue

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Ce aggio ditto =   gli ho detto;

C’ aggio ditto   = cosa ho detto.

Propongo a tutti i cultori del nostro dialetto di riflettere sulle espressioni proposte e manifestare il loro parere. Perché la soluzione di scrittura che presento può non essere condivisa. Ed è nella scrittura che le divergenze si presentano più palesi e più forti.
Le mie soluzioni si riportano:
– alla dizione della c col suono dolce, quando è vicina alle vocali e, i;

– alla dizione della c col suono duro, quando è vicino alle vocali a, o,u.

So che altri danno soluzioni diverse alle scritture proposte. Prego di presentarle e di darne le spiegazioni (se lo vogliono ).

Vediamo di trovarla questa lingua!

4 Comments

4 Comments

  1. Sandro Russo

    19 Ottobre 2016 at 19:00

    Ringrazio Franco per l’opportunità che mi dà di chiarire alcune modalità della scrittura del dialetto e insieme di fare qualche esempio pratico di come il nostro modo di muoversi in questo labirinto si modifichi nel tempo, confortati dall’esperienza e da un sano pragmatismo.
    Ma sulla necessità di regole condivise siamo d’accordo.

    Riprendo la proposta e la traduzione di Franco, cui aggiungo la mia:
    Ce aggio ditto = gli ho detto – Ci’aggie ditte
    C’ aggio ditto = cosa ho detto – Ch’aggie ditte

    Per la prima frase. L’assunto di una trascrizione “fonetica” del dialetto mi porta a ripetermi mentalmente quel che leggo… e quel che si avvicina di più al suono che voglio riprodurre è senz’altro la versione che propongo.

    Per la seconda. Chi mi dice, leggendo, se quella ‘c’ è dolce o dura, secondo la definizione data prima da Franco? In mancanza di indicazioni potrei pronunciare indifferentemente ciaggio ditto oppure caggio ditto. Il problema è risolto invece con la versione proposta: Ch’aggie ditte

    Ma vorrei raccontare uno stimolante episodio vissuto durante la preparazione del libro di Sang’ ’i Retunne “Venerdì pesce”.
    Che cosa ho scritto? …Sang’? E chi mi dice se la “g” è dolce o dura? Si leggerà (al buon cuore del lettore) sangiretunne o sanghiretunne?

    Nel corso dei due anni e mezzo che è durata la pubblicazione dei pezzi su Ponzaracconta ci siamo resi conto, l’Autore ed io, più modesto aiutante, che non si poteva mantenere l’equivoco; non subito… ci sono voluti diversi mesi, ma poi la consapevolezza si è fatta strada: la versione corretta avrebbe dovuto essere Sangh’ ’i Retunne.

    …Ma comme se fa? …pe’ mise e mise me so’ firmato Sang’… ’ncopp’a tutt’i manifèst’…! pure Rita me scrive “Caro Sang’… e mica ’u pronunciarrà Sangiretunne!?
    – Allora che facciamo, rinneghiamo tutto? Come cambiare un nome che è ormai un brand di Ponza nel mondo?
    E qui soccorre il genio ponzese dell’ittico…
    E’ iust! S’adda scrive accussì: manch’ p’a capa! …Tengh’ a che ffa’ …Mo’ te dongh’u riéste!
    – E Sang’ allora? È sbagliato?
    No! …chille fa eccezzione!

  2. Alessandro Romano

    20 Ottobre 2016 at 10:12

    Quando asserisce Franco è giusto da punto di vista della grammatica italiana, ma, come più volte ho avuto modo di far notare, un’altra cosa è una lingua parlata come il ponzese. infatti, essendo quella nostra una lingua priva di una regola prestabilita, può essere scritta liberamente, però nel modo più idoneo per essere poi letta secondo la giusta pronuncia.
    In merito alle spesso invocate consuetudini individuate nella lingua napoletana, va osservato che il ponzese non è napoletano, ma una sua derivazione e, quindi, ha le sue consuetudini ed i suoi suoni.
    Con tali premesse, appare chiaro che è opportuno scrivere seguendo la sola regola della giusta pronuncia. Pertanto, riassumendo, a parte le “gigginate”, dal mio punto di vista la regola di Franco è corretta, ma quella indicata da Sandro è la più idonea per ottenere una giusta pronuncia.
    Chest’è! (L’avrò scritto bene?)

  3. Francesco De Luca

    21 Ottobre 2016 at 13:22

    Rispondo ai commenti di Sandro e di Alessandro. Altri due con la lingua appesa..!

    C’aggio ditto può essere pronunciato ciaggio ditto oppure caggio ditto.
    Non mi pare plausibile. Perché la “c” seguita da “a” si pronuncia ca, mentre la “c” seguita da “i” si pronuncia ci.
    Questo sia in italiano sia in dialetto (napoletano o ponzese).
    Questo lo suggerisce l’unione della “c” con la vocale seguente. Per cui, secondo me, c’aggio ditto non si presta ad essere letto ciaggio ditto.
    Lo steso vale per sang’ i rutunne (sangirutunne) o per sangu’ i rutunne (sanguirutunne).
    Perché scomodare l’”h”? La sua funzione è superflua.
    E’ finita qui? Certamente no. Definire regole per ciò che è fluido come il linguaggio parlato è come costruire sulla spiaggia.
    Abbiamo scherzato? No. Abbiamo fatto prove di avvicinamento. Solo prove.
    Intanto… siamo sicuri che la lingua c’è, un po’ ammaccata ma c’è.

    Risponde Sandro per le vie brevi:

    Vero! la “c” seguita da “a” si pronuncia ca, e la “c” seguita da “i” si pronuncia ci.
    Però in c’aggio ditto la “c” non è seguita né dalla “a”, né dalla “i”, ma da un apostrofo… che azzera i giochi (…ergo per sanare l’equivoco la “h” è necessaria e come!)

  4. Barbara Musella

    27 Ottobre 2016 at 20:07

    Scusate se mi intrometto nella conversazione ma volevo segnalarvi che per ovviare a questo problema si potrebbe ricorrere al sistema di scrittura ideato dal professor Francesco Avolio, figura molto importante nel campo della dialettologia e linguistica italiana.

    Il sistema si avvale di lettere facilmente reperibili nella sezione “simboli” di Word.
    Vi segnalo di seguito i simboli con trascrizione fonetica (che ne indica la giusta pronuncia) e degli esempi per farne un uso corretto:

    ë [ə] vocale “indistinta”, “neutra” o “centrale” (nirë «nero»);
    č, ǧ [tʃ], [ʤ] la c e la g palatale dell’italiano cera e gelo (čerasë «ciliegia»);
    š [ʃ] la sibilante palatale sorda dell’italiano sciare in posizione iniziale (šulià «scivolare»).

    Per segnalare l’apertura e la chiusura delle vocali, invece, si può ricorrere alle convenzioni ortografiche dell’italiano: accento grave per suoni vocalici aperti (tèrra) e accento acuto per quelli chiusi (céna).

    Per chi volesse approfondire l’argomento mi permetto di segnalare il libro “Lingue e dialetti d’Italia” di Francesco Avolio (2009), Carocci.

    Statëvë buonë! 🙂

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