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Rita Parisi: l’amore e la coscienza civile

di Rosanna Conte

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– Che bella coppia che era! Lei bellissima col ricciolo che le scendeva sulla fronte, come si portava allora, lui con gli occhialini che la teneva abbracciata… Quanto le voleva bene!

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Rita Parisi dopo il 1939 a Pescopagano

Adele Conte ricorda così Rita Parisi e Mario Magri dopo il loro matrimonio, avversato da tutti.
Certo non era facile la vita per le famiglie ponzesi che avevano ragazze fidanzate con i confinati. Su ognuna di esse si abbattevano le persecuzioni fasciste che vedevano in quegli innamoramenti il fallimento dell’idea del confino come strumento per colpire la dignità di quegli individui che col loro antifascismo erano assimilati agli antinazionalisti, ai traditori della patria.

Era impensabile che delle ragazze potessero innamorarsi di persone allontanate dalla società, anche a dispetto delle proprie famiglie. Invece, a Ponza, accadeva un po’ di tutto, e quando c’era anche il sostegno familiare, le ammonizioni e la perdita dei posti di lavoro venivano dispensate facilmente.

Rita era orfana e viveva con lo zio prete, don Luigi Parisi, che, al di là del sentito rispetto verso tutte le autorità istituite, svolgeva un’attività particolare: preparava con grande competenza giovani residenti sull’isola agli esami di scuola media per affrontare gli anni del liceo o del tecnico. Ciò gli consentiva di vivere con una certa agiatezza, visto che da semplice sacerdote non poteva accedere al congruo guadagno di un parroco. Una storia come quella che stava nascendo fra la nipote e Mario Magri, un confinato non da poco, metteva a rischio la sua principale fonte di guadagno minacciando di gettarlo nella miseria. Probabilmente il dotto sacerdote temeva anche la fine di un’attività dilettevole quale poteva essere per lui trattare e trasmettere la cultura.

D’altro canto Magri, come aspirante marito, non godeva nemmeno di una buona nomea. Il socialista Arturo Amigoni confida al giornalista Mino Maccari, che nel 1929 è a Ponza per un reportage sul confino, Io e M[agri] (conosce M.?) siamo i dongiovanni del confino. E questo è proprio il periodo in cui fra i due giovani scatta la scintilla.

Così, quando fu chiaro che la ragazza era decisa a mantenere vivo il suo affetto per Mario, la mandò via di casa e Rita fu costretta a rifugiarsi presso una parente a Napoli.
Silverio Corvisieri, in Zi’ Baldone, ne parla diffusamente, dall’inizio del loro incontro, al matrimonio, avvenuto il 7 novembre del 1935, fino alla tragica fine di lui alle Fosse Ardeatine e non trascura di rilevare che ben presto dall’amore Rita passa alla militanza antifascista.

Adele ebbe modo di vedere la coppia tra gli undici e i quindici anni, l’età in cui le bambine diventano adolescenti e cominciano a sognare lasciandosi trasportare da tutto quanto sfiora l’amore.

Spesso i due, passeggiando per il Corso, si fermavano davanti alla vetrina del fotografo Pacifico, ai piedi della salita degli Scarpellini.

Era per lei l’occasione di vederli da vicino.

Ricorda ancora la sua curiosità ed il piacere che provava a far finta di guardare anche lei le foto in vertrina , pur di osservare da vicino quella bella giovane donna e il suo innamorato marito. Le sembrava di assorbire una parte della loro felicità.

Le brillano gli occhi e sorride: – Lui la teneva abbracciata stretta… Quanto si volevano bene!

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Giunse al punto di informarsi dove abitassero.
Non era prudente chiedere informazioni sui confinati e sulle loro famiglie, ma Adele (come ormai sappiamo tutti) era curiosa e, se poteva, cercava di soddisfare le sue curiosità.

Così andò a chiederlo ad una cara amica di sua madre, Titina int ‘i palette, che abitava sugli Scotti, e poteva conoscere la zona da cui lei vedeva scendere la bella coppia.

Titina, con tutte le raccomandazioni del caso, in particolare di non parlarne con nessuno, le disse che stavano nella casa accanto a quella di Salvatore Sandolo, Tatore ‘u cecato. Era una casa di emigrati in America parenti dei nonni di Luigino Conte, il figlio di Rosina e Giosuè Conte, che la davano in affitto.

Silverio Corvisieri ci riporta la massiccia presenza di guardie che si alternavano giorno e notte fuori quella casa. Non poteva sfuggire a chi passava l’importanza di chi vi abitava, ma non era sano chiedersi chi fosse.

Adele non andò mai a controllare perché quella zona era fuori dalle strade sicure da lei frequentate. Se l’avesse fatto, chissà che reazione avrebbe avuto nel vedere una così forte sorveglianza davanti al nido d’amore dei due sposini?

Adele Conte giovanissima [3]

Di sicuro in questa foto di qualche anno più tardi, nei suoi occhi sognanti, nel suo sorriso e nel vezzo del fiore tra i capelli, rimane l’impronta della visione di quella coppia felice.

Per la povera Rita la felicità durò poco.  Il 24 marzo del 1944 il suo Mario fu trucidato alle Fosse Ardeatine, avendone conferma un mese dopo.

Nel 1956, in appendice al libro di memorie di Magri, scriverà: Auguro che il Suo sangue non sia stato invano e che gli Italiani, quelli di vera e sincera fede democratica, traggano ammonimento ed esempio da Lui per non far risorgere un periodo così nefasto per la nostra Italia! (…) ma, purtroppo, nell’ambiente in cui lavoriamo, viviamo fianco a fianco con elementi che, lungi dall’apprezzare il nostro diuturno sacrificio, continuano ancora, dopo dieci anni dalla Liberazione, a svalutare i morti della Resistenza Nazionale.

Noi compiangiamo questi incoscienti, quando non sono in malafede, e li disprezziamo come i veri nemici della nostra Patria, quando esaltano un passato che va, invece, sepolto e dimenticato per la stessa dignità che ogni uomo dovrebbe sempre custodire gelosamente in sé.

A me piace ricordare Rita Parisi in ambedue le vesti, quella felice della giovane donna innamorata e quella della addolorata e matura cittadina antifascista.

E vorrei riproporre il suo augurio ricordando che le libertà conquistate col sangue di molti non sono date una volta per tutte. Tanti piccoli e grandi interventi nel corso degli ultimi trent’anni le hanno modificate e le hanno ristrette. Stiamo attenti a mantenerci ben salde le possibilità di ampliarle nuovamente.

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I nostri padri costituenti nella Costituzione repubblicana hanno messo paletti, contrappesi e varchi per evitare che si potessero verificare facilmente situazioni irreversibili, ed è l’unica difesa che abbiamo dalle conseguenze della decadenza della nostra classe politica.

Per quasi settant’anni hanno ben funzionato. Controlliamo che restino efficienti anche per il futuro.

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