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La Cisterna della Parata in giallo. (2)

di Rita Bosso

 

Visiteremo mai la Cisterna della Parata? Gli scettici sostengono di no: sono già trascorsi 52 giorni dal sopralluogo del Sindaco e non c’è stato alcun seguito. I fiduciosi sperano: “Sono trascorsi appena 52 giorni! Diamo tempo al tempo!”
Intanto, vi propongo un altro paio di pagine di un romanzetto giallo che, con la Cisterna della Parata, c’entra parecchio. Buona lettura.

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L’ingresso della Cisterna, nel muretto bianco (foto tratta dal blog Frammenti di Ponza)

 

Bianca risponde al primo squillo.
Stavo leggendo un romanzo che mi hanno regalato anni fa. Con dedica Sono un clown e faccio collezione di attimi”.
– Bella.
Sì, bella.  Sono un clown e faccio collezione di attimi”: pensa, il libro era caduto dietro un cassetto, l’ho ritrovato per caso. Si è nascosto per tanto tempo, almeno quattro o cinque anni.
– Vabbuo’ Bianca, continua a leggere, ci sentiamo dopo. 

Cammina, Cardone.
Sono un clown e faccio collezione di attimi. Il concetto è quello, mi fai ridere, da quando ci stai tu si ride, vivaddio; però una cosa è dire Bianca mi fai ridere e un’altra è sono un pagliaccio e faccio collezione di attimi. Calma Tomma’, lo sapevi, è acqua passata e vediamo di non intossicarci il presente. Lo sapevi che fino a quattro anni fa c’è stato il professore di latino e greco, che prima c’era stato quello che lavorava a Bologna però si vedevano tutte le settimane perché Bologna non è un’isola, tra Bologna e Napoli non c’è il mare, e dopo il professore c’è stato l’avvocato il quale doveva essere un cato di colla non indifferente e quindi non fa testo; e che, mo’ Tommaso Cardone si ingelosisce pure di un cato di colla?
Bianca è fatta come è fatta Tomma’, ricordati che tu sei l’ultimo arrivato nella sua esistenza affollata, ricordati che se c’è una persona che dovrebbe lamentarsi, quella persona non sei tu. E invece il marito si sta, fa finta di credere che il pomeriggio Bianca l’ha passato insieme alla collega che sta un poco esaurita e ha bisogno di svagarsi, fa finta di non sentire se il telefonino squilla a vuoto e campa quieto. Forse campa quieto.
Vabbuo’, mica mi sto lamentando! Non mi lamento, però un libro con la dedica Sono un pagliaccio e faccio collezione di attimi me le fa girare, vabbuono? Lo tengo il permesso di farmele girare? Sì, mi brucia, mi brucia perché non l’ho scritta io, vabbuono? Io non sono geloso, chiariamo. Non sono geloso del marito, il quale deve essere un brav’uomo ma, secondo me, è ‘nu poco pesante, dunque Bianca con lui non ride e non pazzéa. Pertanto non sono geloso. Invece uno che scrive Sono un pagliaccio e faccio collezione di attimi vuole intendere che insieme hanno riso, hanno acchiappato gli attimi e questo, scusate tanto, ma me le fa girare.

Cammina Cardone, cammina.
La strada è infuocata, arrostisce le suole delle scarpe che, a loro volta, grigliano le piante dei piedi. Non ne vuole sapere di andarsene, quest’estate.
Antonio sta seduto sotto il faro, appena mi vede scrolla la testa con aria sconsolata:
Le previsioni portano una perturbazione per la fine della settimana – mormora.
Magari fosse. Una bella tramontana siberiana, da far tirare fuori dagli armadi coperte e maglioni.
Magari, marescia’. Un levantuolo che nasce il venerdì, cresce il sabato e muore la domenica.
– Di quelli seri, che bloccano la nave in porto.
– Poco ci vuole, a non farla partire. Lo sciaraballo è quello che è.
– Certo – rispondo e proseguo verso la Caletta. Che cacchio è uno sciaraballo? Io credo che i paesani lo fanno apposta a usare termini che non posso capire; fanno vedere che ti salutano, che puoi partecipare ai loro discorsi, ai loro appiccichi e poi, quando ti avvii a sentirti di casa, zacchete e ti sparano la parola, il soprannome che rimette le cose a posto: niente da fare marescia’, tu sei furastiero, noi ci abbiamo provato ad accoglierti ma devi rendertene conto, non è possibile, non capisci le parole nostre, figuriamoci le usanze, la mentalità.
Ti schiattano in corpo con una parola, se vogliono.
Dice ma pure quando parti, mica ti senti a casa; in continente pare sempre che il mondo va troppo veloce e che tu sei rimasto indietro. Giro per dentro i centri commerciali come un marziano.
La verità è che io solo sopra al traghetto non mi sento forestiero; sopra la carta d’identità ci dovrei far scrivere “traghetto”, alla voce residenza. La verità è che io quando sto sull’isola non vedo l’ora di partire e, appena il traghetto ha mollato gli ormeggi, comincio a desiderare di ritornare.

[La Cisterna della Parata in giallo. (2) – Continua]