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La Cisterna della Parata, bene pubblico a uso privato

di Rita Bosso

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In rosso le tre cisterne citate nell’articolo: la cisterna della Dragonara (a sin), la cisterna della Parata (a dx in basso), la cisterna del Comandante (a dx in alto)

Ieri Francesca Iacono ha pubblicato sul suo blog Frammenti di Ponza un post che merita di essere letto e diffuso; meritano attenzione soprattutto le foto che corredano l’articolo (leggi qui [1]).
Francesca interviene sullo stato della cisterna di Via Parata non per la prima volta.

E’ indubbio che, sul fronte archeologico, l’amministrazione Vigorelli ha fatto tanto, anzi ha fatto tutto, considerata l’inerzia in tale ambito delle amministrazioni precedenti. L’aver reso visitabili le due cisterne della Dragonara e di dietro il Comandante è un risultato importante, anche dal punto di vista turistico; ho visitato la prima in un giorno feriale di settembre, nel pomeriggio, e ho contato non meno di venti visitatori interessati e attenti; hanno posto domande per nulla scontate a cui la bravissima guida Annalisa ha risposto con prontezza e competenza.

Veniamo al punto “recupero”: la cisterna della Dragonara era già in buone condizioni e visitabile, tant’è che Adalgiso Coppa vi conduceva chi gliene faceva richiesta; l’apertura al pubblico ha richiesto la ripulitura, la messa a norma e non è poco. In condizioni simili si trovava la cisterna del Comandante.
Tutt’altro discorso vale per la più grande delle cisterne di Ponza, quella di via Parata, che è anche quella in cui si rinvengono più sedimenti storici: è stata ricovero dei coatti nella seconda metà del Settecento e rifugio  durante l’ultima guerra.
Scrive a tal proposito Giovanni Maria De Rossi:
“Nella grande cisterna, ubicata oggi in via Parata, fu ricavato l’alloggio per i forzati, con la creazione ed il ripristino delle antiche prese di luce e aria, al fine di rendere meno disagevole il soggiorno. Nella pianta del Winspeare si dice espressamente “quartiere per i forzati con i suoi lucernaj”. E’ probabilmente questa la cavità indicata in una pianta del secolo XVII come “grotta di Pilato” (da non confondere con il toponimo “grotte di Pilato”, che indicava il complesso delle peschiere sotto la torre borbonica).

Oggi la cisterna versa in uno stato pietoso: è stata utilizzata come discarica, come terra di nessuno in cui costruire bagni e ambienti vari, estensioni delle abitazioni adiacenti di via Umberto. La cisterna di via Parata è, a rigore, l’unica da “recuperare” e, successivamente, rendere visitabile e fruibile; il recupero avrebbe un significato non solo in termini archeologici e storici ma anche in termini di legalità.

Si spera che l’amministrazione Vigorelli avvii il recupero di questo importante bene pubblico, oramai in uso ai privati. Sarebbe la degna prosecuzione di un’azione lodevole.