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Il mare come un campo da arare

di Francesco De Luca
peschereccio [1]

 

“Prufessò … tu vuò sapé… eh?”
Biagino Pagano mi chiama ‘professore’ nonostante glielo abbia ribadito:“Biagi’ … tu m’hè chiammà Franco pecché ie nun songo cchiù prufessore”.
Sorride: “ Tu vuò sapé… eh ?”

Racconta: “Nel 1969 lasciai la pesca a merluzzi. Perché se no le cose sarebbero degenerate. A Portovenere, c’ero da due anni e la pesca fruttava non bene ma benissimo”.

“E allora ? ” – dico io.
Allora pensò di lasciare quel settore della pesca perché la conflittualità con le paranze era talmente alta che gli sviluppi sarebbero stati nefasti. Capitava spesso infatti che lì dove si gettavano le reti a merluzzi passasse sopra lo strascico della paranza. Il danno era sicuro perché la rete delle paranze è sorretta e trainata da un cavo d’acciaio.

Biagino incontrò il capitano della paranza per cercare un’intesa al fine di scongiurare inconvenienti. Il capitano fu perentorio: “Io percorro la mia rotta, se si trovano le reti, peggio per loro”.

Avvenne proprio così. Le reti vennero calate in un tratto di mare. Biagino per segnale aggiuntivo ci lasciò il barchino con due marinai. Lo fece perché in lontananza aveva visto la paranza. La quale, proprio quella rotta si accingeva a seguire. Biagino capì l’antifona e pensò di opporre una resistenza. Diede ordine che, a segnale convenuto fosse calata l’ancora. La paranza si avvicinò alla rete e se la trascinava dietro, ma intanto l’ancora, fatta gettare a poppa da Biagino incagliò il cavo dello strascico, e se lo trascinava nel lato opposto.

I due mezzi dovettero fermarsi, poi avvicinarsi, e districare chi la rete dal cavo e chi il cavo dall’ancora.
Non fu un incontro amichevole. Volarono parole e minacce. “Briganti del mare… non siete che briganti del mare!”
Biagino era sicuro d’aver agito nell’interesse della sua attività, l’altro era convinto d’essere stato sabotato.

Queste questioni, in un primo momento, le risolve la Capitaneria del Porto. All’attracco in porto Biagino fu raggiunto dai militari e invitato in Capitaneria. Nell’interrogatorio Biagino riportò il dire perentorio del capitano del peschereccio. “Io percorro la mia rotta, se si trovano le reti, peggio per loro!”. E si difese sottolineando che lui aveva disposto a segnale il barchino con i marinai.

Il Capitano del Porto chiamò a confronto anche il responsabile della paranza, appurò la verità dei fatti e invitò i due a non scontrarsi più in un modo così scorretto. Nel mare poi… così ampio e vasto per tutti.
“Ci si dette la mano, ma i rapporti erano ormai deteriorati – dice Biagino – Decisi di armare la barca per la pesca ad alici”.

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Cianciola per la pesca “a alici”

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“Fu dura, non tanto perché ogni pesca esige l’attrezzatura adeguata quanto perché richiede conoscenze appropriate. Io non le avevo. Della pesca ad alici non sapevo nulla: come comportarsi con le correnti, come scegliere i luciaiuole, come manovrare tenendo il cavo lontano dalla rete. Io dovevo dotarmi di queste competenze, con l’esperienza e con l’intelligenza. Me chiammeno crapone apposta, perché sono cocciuto, testardo”.

Lo guardo. Stiamo sul Corso e sotto ci sono attraccate le barche a pescespada. Non mi appare deluso e nemmeno rammaricato. E’ sereno.
“Tu vuò sapé… eh?” – mi dice.

Sì, è vero, sono colpito da queste storie che raccontano di uomini. Mi sembra di entrare più in empatia coi compaesani.
“Ma pure tu vuò parlà… eh?” – rispondo.

Ha fatto la vita che ha voluto.

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