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Racconto d’estate… quando a Zannone c’era la marchesa Casati

di Enzo Di Fazio

Zannone con la scalinata e l'attracco (la preta) [1]

 

– Mi hanno detto che sei bravo a prendere le patelle, quelle grandi che stanno a fondo. Quando me ne fai assaggiare qualcuna?
Fui sorpreso da quella voce mentre sovrappensiero seguivo mio padre che andava a parlare con Silverio, il guardiano della villa dei Casati. Qualche secondo di incertezza, il tempo di elaborare la risposta e sicuro le dissi: – Presto, signora marchesa, la prossima volta che vado a farle, forse anche domani.

Alta, abbronzata, avvolta in una lunga tunica bianca che metteva ancora di più in risalto il fisico statuario la signora Anna Fallarino, per tutti la marchesa Casati, era sotto il porticato a pochi metri da me mentre agitava nella mano destra un lungo bicchiere con del liquido verde in cui tintinnavano alcuni  cubetti di ghiaccio.
Appoggiata ad uno dei pilastri del porticato della villa, gli occhi nascosti dietro un grosso paio di occhiali da sole a rendere ancora più misteriosa e sfuggente la figura, mi sorrise mentre io al di qua del muretto, due gradini più giù rispetto alla sua posizione, continuai a seguire per il sentiero i passi di mio padre. Un po’ imbarazzato alzai il capo e voltandomi quando ormai le ero già passato davanti incrociai con lo sguardo la sua mano alzata in un cenno di saluto.

Si era quasi al tramonto nell’ora in cui un leggero maestrale liberava nell’aria l’odore resinoso del lentisco e alzava dal mare l’essenza forte dell’ elicriso in fiore aggrappato agli scogli di cui Zannone è piena. Siamo in un’estate degli anni ’60 quando l’isola con la sua natura selvaggia apriva le braccia alla “buona” borghesia di Milano e dintorni cambiando volto.

Zannone-la-casa-del-guardiano [2]
In quel periodo la villa, pulita a nuovo e di un bianco accecante per via della calce data in primavera, si animava con la presenza dell’intera famiglia del guardiano e dello stuolo di servitù in livrea che i signori di Milano portavano con loro. Erano questi che vedevi circolare per i cortili, la grande cucina, gli ambienti di servizio ed il salone da pranzo.
Gli altri, i signori, non li vedevi in giro vivendo tra il mare e le ariose stanze della casa.
A volte apparivano all’improvviso, ma distanti, appoggiati al muretto del solarium del primo piano avvolti in asciugamani enormi gli uomini, vestiti di succinti costumi, di norma, le donne.

Tornammo giù al faro in tempo per avviare la lanterna. Lungo la discesa per il bosco di lecci, accompagnato dal monotono canto delle cicale, feci quasi tutto il percorso senza staccare il pensiero dalla figura della marchesa. Non mi era mai capitato di vederla così da vicino. Veramente una bella donna! Si diceva di lei di persona schiva, superba, dalle abitudini strane… eppure quel fugace incontro sembrava affermare il contrario.

Anna Fallarino, marchesa Casati [3]

Spesso vedevo i fanalisti parlottare, a bassa voce, tra di loro con sorrisetti ammiccanti ma nulla è mai trapelato dalle loro bocche per soddisfare la nostra curiosità.

A noi ragazzini capitava di rado fermarsi a parlare con i signori di Milano, ancor di meno succedeva con le signore quasi sempre a mare in barca o a prendere il sole sull’ampio terrazzo della villa.
I fanalisti, invece, avevano con tutti un buon rapporto fatto di saluti e di cortesie che si materializzavano a volte in qualche bella ricciola presa a traino o qualche grosso sarago catturato con le coffe, doni che servivano anche per ricambiare i regali (roba di città) che il marchese Casati ed il conte Marzotto immancabilmente ogni inizio estate solevano fare.

Quella sera, prima di addormentarmi, pensai spesso al luogo ove raccogliere le patelle. Dovevo usare maschera e pinne e scendere intorno ai quattro/cinque metri per trovare le più grandi. Giù sugli scogli, a ponente, dalla parte del faro non ce n’erano quasi più; è lì che andavamo a prenderle appena iniziava l’estate, posto comodo che potevamo raggiungere anche a piedi scendendo per la lunga scalinata che dal faro portava alla “preta”, il grande masso che fungeva da attracco.

faro-di-zannone-foto-di-giancarlo-giupponi [4]
Decisi che avrei chiesto a mio padre di accompagnarmi con la barca del faro altrove, sui fondali situati a mezzogiorno, ove c’erano degli scogli enormi e sicuramente poco esplorati.
E così fu. Non impiegai molto quel mattino a riempire il retino di grosse patelle.
Rientrammo poco prima di mezzogiorno dopo aver fatto qualche “calata a perchie” con il bolentino.
Salendo per la stradina che dal “varo”, il luogo ove tiravamo a secco la barca, ci conduceva al faro rappresentai a mio padre che avrei potuto portarle anche subito quelle patelle alla marchesa, belle fresche, vive avrei fatto un figurone.

Il faro di Zannone [5]

– No – disse mio padre – Enzu’, a chest’ora ‘a marchesa sta a mmare e po’ cu chistu sole fai sule ‘na sudate, ci vaie cu’ frische verse ‘i sette.
A quell’ora effettivamente era un piacere salire al convento (così chiamavamo la villa dei Casati per essere stata costruita vicino ai ruderi dell’antico monastero cistercense): quasi tutto il percorso veniva fatto all’ombra del fitto bosco di lecci tra i quali spesso si faceva strada una gradevole brezza proveniente dal mare sottostante.
Arrivai sul pianoro che il sole era abbastanza distante da Palmarola, forse ancora un’ora di buona luce. Sbirciai oltre il panno che copriva le patelle sistemate in un cestino di vimini e le vidi ancora belle luccicanti che si muovevano.

le patelle [6]
Sul cortile interno della villa da cui si accedeva alla grande cucina incontrai, “vestita” del suo abituale sorriso e dell’immancabile grembiule bianco da lavoro da cui non si separava mai, zi’ Alena, la cuoca.
– Uagliò che ffai a chist’ i parte? – e senza attendere che rispondessi – Vien’acca’ bìvete ‘nu belle bicchiere d’orzata fresca.
– C’è la marchesa? – le chiesi – Le ho portato delle patelle – e lei, di rimando – Me pare ca so’ turnate da poche ‘a mare, va, sotto ‘u purticate e dumanne a Luca, ‘u cameriere.
Incrociai Luca prima che arrivassi al porticato, aveva sentito e mi disse: – Seguimi, è di sopra a prendere il sole sul terrazzo
D’improvviso cominciai a sudare… Luca mi disse di attendere nel salone mentre lui sarebbe andato ad annunciarmi alla marchesa.
Pochi istanti e venne a dirmi che potevo andare.
Nell’uscire sul terrazzo fui un po’ infastidito dai raggi del sole che, in quell’ora prossima al tramonto, avevo proprio di fronte; scorsi al centro del solarium Anna Fallarino distesa nuda su un lettino telato con solo un asciugamano che le copriva il fondoschiena. Non c’era nessun altro.

1_-Ponza-e-Gavi_-Vista-da-Zannone [7]

Avrei voluto tornare indietro, sentii in quel momento tutto l’imbarazzo dell’età adolescenziale, quella della confusione mentale, quando non sai se ostentare o nascondere la prima peluria che compare, quando a volte preferiresti stare zitto perchè la voce, ancora indefinita, è più simile al gracidare di una rana che a quella umana.

Sembrarono momenti lunghissimi, ero fermo irrigidito appena varcata la soglia con i battiti del cuore che mi arrivarono fino in gola.
La marchesa si alzò con la schiena poggiando i gomiti sul lettino e, voltandosi verso di me, disse:
– Dai vieni, cosa fai lì impalato. In quel gesto, che probabilmente era abituale fare, scoprì il seno con naturalezza e senza alcun imbarazzo.
nudoacquarellato [8]
Rimasi di stucco non sapevo ove dirigere lo sguardo… se verso Ponza alla mia sinistra appena offuscata dalla calura, se verso il grande vaso con l’albero di limoni che era in fondo al terrazzo o verso quel seno di colore bronzeo come tutto il resto del corpo.
Combattuto tra una sorta di autocensura e il piacere di una scena unica da godere e da raccontare porsi timidamente il cestino di patelle alla marchesa. Fu quello il momento in cui lei prese un grande asciugamano da una sdraio che le era accanto e lo avvolse intorno al corpo.
– Che belle! – esclamò, e ne prese una per portarla alla bocca.
– Non così, signora marchesa – le dissi ancora frastornato aiutandomi con un cenno di diniego della mano.
– Le faccio vedere –. Ne presi due e servendomi di quella più piccola cavai il frutto da quella più grande porgendogliela.
– Che buona! Si sente l’odore del mare – disse con soddisfazione e continuando – Grazie, sei stato proprio bravo! – mentre tirò fuori da un sacchettino di raso una banconota da mille lire.
Scossi la testa in segno di rifiuto ma insistette e me la consegnò stringendomi la mano con tutte e due le sue.
Sarò stato lì cinque minuti ma mi sembrò un’eternità, tra momenti di imbarazzo e di piacere…

Zannone-Le-mura-del-Convento-di-Zannone-e-la-Casa-del-Guardiano_-Sfondo-Ponza-e-Palmarola1 (2) [9]

Scesi di corsa al faro passando e ripassando col pensiero su quell’immagine del seno nudo quasi a volerne cogliere e fissare i particolari che potevano sfuggirmi; ciò che era appena accaduto mi provocava delle sensazioni strane, ma non morbose. Confesso d’esserne rimasto in qualche modo turbato… forse per le fragilità proprie dell’età adolescenziale, quell’età di mezzo che di certo ha solo l’incertezza.
In ogni caso l’incontro con la marchesa Casati rese quell’estate unica; divenne in seguito spesso scenario dei miei racconti e per diverso tempo fece parte dei miei sogni e delle mie fantasie…

tramonto a Palmarola [10]

Il dopo è noto ed è squallore e cronaca nera.

Il 30 agosto 1970 – era di domenica – nel suo appartamento ai Parioli il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, succube delle sue ossessioni erotiche, pose fine alla triste parabola esistenziale di questa donna tanto affascinante quanto misteriosa uccidendola con tre colpi sparati con una delle sue carabine, volgendo poi l’arma verso il giovante amante Massimo Minorenti e, infine, verso se stesso.

delitto casati [11]

Subito dopo si spalancarono senza pudore le porte ai racconti dei vizi e delle trasgressioni di cui Anna Fallarino ed il marchese avevano riempito miseramente le loro vite.