Ambiente e Natura

Rosso corallo

di Francesco De Luca
Corallium_rubrum

 

Storie della marineria ponzese negli anni d’oro

La marineria peschereccia ponzese per diventare invasiva in tutto il Mediterraneo ha dovuto, per forza di cose, essere governata da persone che conoscevano il mare, le sue insidie e le sue possibilità. Lo avevano appreso attraverso l’esperienza. Iniziata in tenera età, in condizioni precarie, alimentata dalla necessità e dall’ambizione di affermarsi.

Negli anni ’80 a Ponza erano tante le barche che si cimentavano nella pesca. Con l’aiuto della Cassa del Mezzogiorno si erano attrezzate natanti per le alici, pel pesce spada, per il nasello, per il corallo.

Le condizioni economiche spingevano verso la crescita. Ad essa seguivano i consumi e i guadagni.

Le cianciole ponzesi, dall’Adriatico al Tirreno setacciavano il mare. Da marzo a ottobre.

I capibarca erano pescatori con patente di motorista o di capitano prese alla buona. Uomini privi di studi e ricchi di esperienza. Biagino Pagano (’i crapone), Portazero, i fratelli Feola, Girotto ’i Mosé, Bonarino.

Biagino, dopo aver goduto la festa dell’Assunta, anno 1981, preferì portarsi nelle acque della Sardegna. A Santa Teresa di Gallura incontrò una vecchia ’mburchiella ponzese, adattata alla pesca del corallo. Era stracolma di corallo tanto che i ponzesi in attesa di prendere il mare davano una mano a toglierlo dalla rete, posta nella stiva.

Si conoscevano col capitano e… – Addò avite pigliate tutto ’stu curallo?
– In Tunisia – fu la risposta.
Biagino faceva la sua pesca ad acciughe e la cosa finì lì.

L’indomani sulla banchina ci si incontrò con tutti, perché il mare non permetteva di prendere il largo. Si parlò, e Biagino ebbe modo di intrattenersi con un marinaio di quella ’mburchiella. Chi non si informa coi giornali e con i mezzi di comunicazione utilizza la strumento più antico: la parola. Si parla di tante cose e si cerca di controllare quello che si è sentito.
Ma in Tunisia, dove? – chiese Biagino.
L’altro rispose sincero: – Ma che Tunisia, il capitano ha detto una fesseria. Questo corallo lo abbiamo preso in Marocco. Se mi date una carta nautica vi indico il posto. Biagino, pronto, lo portò in cabina e l’uomo segnò il punto su una secca vicino ad Alboràn. Isoletta del Marocco, nel Mediterraneo.

Il cattivo tempo finì, si riprese la pesca e altre barche vennero da Ponza. Al mattino, fra una caffè e una passeggiata, nelle chiacchiere venne fuori che era conoscenza di tutti che per fare una buona pesca di corallo occorreva andare presso le coste africane. Chiuse alla pesca non autorizzata.

Il mare però non tollera transenne, così al pescatore non si possono imporre confini. È abituato a confrontarsi con gli elementi naturali verso i quali si rispetta una sola legge: quella del più forte.

Girotto aveva per carattere imprevedibilità e intemperanza. Biagino gli confidò il posto esatto dove cercare il corallo. Avevano un patto segreto fra loro: volevano chiudere col lavoro dopo aver effettuato un’impresa degna di ricordo. Si conoscevano da piccoli, Biagino e Girotto. Tutti e due di Le Forna, tutti e due intraprendenti. Amici per aver pescato insieme in Adriatico, per aver provato tutti e due le varie facce del destino, quella opulenta e quella magra.

Girotto si infervorò. Fece montare una grande croce di legno (’u ’ngegno) con le reti opportune. Abbandonò la pesca ad alici e partì per Alboràn. Lui e altre barche ponzesi.

U 'ngegno

Scene di vita dei pescatori e dei corallari. L’attrezzo che si sta tirando da mare è ‘u ‘ngegn’, una pesante croce di legno e ferro cui sono attaccati brandelli di rete, che veniva trascinata sul fondo e a cui rimanevano impigliati i coralli

Ritornarono carichi di corallo. Ottima pescata e ottimo guadagno. Senza evidenti penalità.

L’anno dopo (1982) l’euforia per la facile pesca a corallo nelle secche marocchine era ancora viva. Ne fu travolto anche Biagino: – E che songo ’u cchiù fesso!? – pensò.

Si ritornò in quel di Alboràn. Si pescò. Tanto che si pensò addirittura di forzare la mano delle Autorità costiere.

– Se facciamo qualche altra pescata ci mettiamo a sicuro un bel gruzzolo!
Ma il comandante non solo fu irremovibile ma anche paterno, consigliandoli di andar via perché decisioni severe dall’alto stavano prendendosi.

– Chi va per mare – disse il Comandante spagnolo – deve lottare contro il distacco dalla famiglia; la durezza del mare; il lavoro. Chi sta a terra invece se la deve vedere soltanto col lavoro. Perciò, accontentatevi e godetevi la famiglia.

Ogni parlare, si sa, rende nelle orecchie di chi ascolta. Se in esse non trova accoglienza le parole sono vento.

Girotto volle provare ancora. Fu catturato, portato in porto e sequestrato. Lui in carcere, la barca (la Isabella) ferma all’approdo. Occorreva una cauzione che garantisse il pagamento di una salata multa. Un ponzese galantuomo firmò come garante.

Questa la vicenda nella sua cruda cronaca. Ma a me in questi giorni, sulla panchina di Santantuono, è stata narrata condita con varie salse.
Intorno a noi si è venuto a formare un crocchio di vari personaggi. C’è il garante della cauzione che sottolinea il suo operato, c’è chi accentua la leggerezza di Girotto, chi giudica i comportamenti dei pescatori ponzesi come grossolani arraffoni.

Girotto fu tenuto in prigione per alcuni mesi. Quando ritornò in Italia era economicamente sul lastrico. Eppure ci fu chi mise in circolazione la chiacchiera che sull’Isabella era stato nascosto del corallo. In un vano segreto, tanto da sfuggire al controllo marocchino.

Biagino annuisce. Sorride sornione e annuisce: – Sotto l’albero maestro fu nascosto parte del pescato. Sotto l’albero maestro.

– Ma come fu possibile alla motovedetta raggiungere l’Isabella che aveva i motori più potenti fra tutte le cianciole ponzesi?

Biagino chiarisce anche questo punto: – Aveva sì motori potenti anzi, quando si vide scoperta, mise in funzione anche le pompe della benzina. Doveva essere d’aiuto e si manifestò un disastro, perché il motore fuse. La barca dovette fermarsi ed arrendersi.

– Ma fu il Marocco o la Spagna a sequestrare la barca?

“Furono i Marocchini, perché la pesca fu eseguita su un fondale di circa 150 metri in acque territoriali del Marocco”.

In quelle isolette erano presenti le Forze Armate della NATO, quelle spagnole e quelle marocchine. Fu proprio l’attrito fra questi tre contingenti militari a rendere difficoltosa la pesca fraudolenta in quelle acque. I Ponzesi furono avvertiti dal Comandante spagnolo. Chi recepì il consiglio tolse le ancore e ritornò in Italia. Ma ci fu chi volle proseguire.

– Perché, cosa li spingeva?

Quanno staie a mare t’hè sape’ ferma’. ’U mestiere nuosto va bbuono finché ’u viento è a favore… Quanno gira… he sarpa’ e t’he mette ’nsarvo – Biagino sentenzia.

Dall’alto della sua età e della sua esperienza può permetterselo. Non dà lezioni a nessuno, sta solamente illustrando la sua vita di pescatore.

Lui, insieme ad altri, con Girotto, hanno tutti sfidato il mare. Talora lo hanno vinto, talora ne hanno subìto i colpi.

’U mare se iastemma quanno pogne, se benedice quanno te fa signore.

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3 Comments

3 Comments

  1. polina ambrosino

    23 Giugno 2016 at 14:51

    Quest’anno siamo stati in gita scolastica in costiera amalfitana e a Torre del Greco. Proprio in quest’ultima tappa, avevamo scelto di visitare un antico cantiere navale, il cantiere Palomba, dove fu costruita la barca italiana che per prima riuscì a raggiungere il Polo Sud a dispetto di tutte le altre barche europee che si infransero miseramente sui ghiacci, e dove è tenuta attualmente la barca di Lucio Dalla, con il suo carico di musiche nate sulle onde. Accanto al cantiere c’è un luogo meraviglioso che i Torresi hanno attrezzato con semplicità ma con molta cura: un museo della marineria locale. E lì i nostri ragazzi hanno potuto vedere le fasi di lavorazione per costruire una barca in legno, e ammirare le barche da pesca al corallo in miniatura, con tutti i loro attrezzi: anche i più tremendi si sono finalmente ammutoliti e interessati, finchè la guida ha mostrato un documentario RAI degli anni 60, probabilmente, girato in acque sarde su una barca corallina torrese. Una vela senza cabina, dove ragazzi di 14, 15 anni, vestiti di un solo pantaloncino , muovevano un grosso marchingegno a forma di ruota con tanti raggi, dove era attaccata una rete che era stata mollata in precedenza proprio con l'”ingegno”. Uno sforzo immane per tirarla su, perché il corallo è durissimo da estirpare dal fondo: su quei volti si vedeva la fatica e il sacrificio… finchè non veniva su il corallo… I nostri ragazzi hanno così compreso cosa voleva dire per quei giovani non andare a scuola ma andare a lavorare, lontani da casa, dalle comodità, dagli affetti… e hanno appreso quanta fatica c’è dietro un oggetto di corallo.
    I torresi ci hanno accolto chiamandoci cugini, poiché tantissimi Ponzesi, di Le Forna specialmente, sono torresi di origine, e per la nostra storia di pescatori e maestri d’ascia in comune.
    Qui a Ponza dobbiamo darci da fare per avere un nostro museo della marineria perché non solo i nostri ospiti estivi possano visitarlo, ma soprattutto perché le nuove generazioni sappiano chi erano i veri ponzesi, quanto è costato rendere l’isola più ricca, quanto le case dove viviamo siano il frutto del lavoro durissimo di pescatori e marinai in tempi difficili.

  2. Silverio Guarino

    24 Giugno 2016 at 15:44

    E’ mia personale opinione che quanto riportato non possa proprio ascriversi ad un “orgoglio” ponzese, se si riferisce alla “pesca” non regolamentata, né regolamentare di corallo rosso in acque straniere.

    Ma l’avete vista l’isola di Alboràn (spagnola della provincia di Almeria)? E’ a malapena uno scoglio con tanto di faro e di presidio militare (ora), con tre militari e una motovedetta, uno spazio per gli elicotteri, un piccolo cimitero (sembra per tre sepolti soltanto), 15 metri sul livello del mare, della superficie di 0,0712 km2, con un altro piccolo scoglio accanto.

    Oggi non è possibile avvicinarsi e bisogna dare fondo oltre il miglio.

    Allora era piccola, solitaria ed indifesa (1982) e il corallo abbondava nelle sue profondità.

    E se pescatori marocchini o spagnoli fossero venuti a strappare con fatica e con “coraggio” il corallo dai nostri fondali e si vantassero ora delle loro gesta?

  3. vincenzo

    24 Giugno 2016 at 17:39

    Sono perfettamente in sintonia con Silverio: questa storiaccia mette in luce una parte della cultura imprenditoriale isolana di cui non bisogna essere fieri.

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