Racconti

L’esperienza e la memoria (4). L’istruzione

di Pasquale Scarpati l'istrruzion

 

con dedica a Franco De Luca

L’isola offriva solo la scuola avviamento professionale e pertanto molti di noi affrontarono quest’ulteriore ostacolo strappati, o per meglio dire letteralmente svèlti (da svellere), da una realtà che era un po’ troppo differente da quella della terraferma: sbattuti davanti ad insegnanti che non si conoscevano e che, soprattutto, non conoscevano l’alunno.
Costoro erano deputati a valutare il candidato attraverso tre semplici prove: due scritte (tema e problema) ed una orale. Ed anche in questo caso vi erano tre alternative: o essere ammesso o essere respinto o essere rimandato a settembre in qualche materia.
Il bambino, già all’età di dieci anni, doveva quindi affrontare una prova molto impegnativa che avrebbe potuto influenzare tutta la sua vita. Prova dura e selettiva anche perché chi giudicava non poteva far altro che applicare il solito metro poiché o non conosceva l’ambiente di provenienza oppure a lui di questo non importava nulla.

La “buona scuola”
Noi, quindi, bambini isolani ed isolati, fuori contesto nella terraferma, privi di mezzi di comunicazione, di giornali e tutto ciò che potesse servire alla crescita, catapultati all’improvviso fuori dal nostro “piccolo mondo antico”, abbandonavamo il pantaloncino corto ed il grembiule che le bambine, però continuavano ad usare. Esse indossavano ancora calzini corti e vestitini, ma non usavano più il nastro colorato.

A loro, tra l’altro, oltre alle nuove e vecchie discipline veniva insegnata la cosiddetta “economia domestica” antenata dell’odierna educazione tecnica.

Non voglio descrivere come fossero quelle lezioni poiché tutti lo sanno. Né voglio parlare dei testi che avevano più disegni che foto. Lo studio era inteso come acquisizione di contenuti e nozioni (da cui il termine nozionismo usato in modo dispregiativo nel ’68 ed oltre), che richiedono continua esercitazione, applicazione, nessuna distrazione e memoria… tanta memoria.
Per questo mio padre, prima che affrontassi la scuola media, forse consigliato dal maestro Totonno, volle comprarmi il dizionario “Novissimo Melzi” della Vallardi editore.
Era composto di due volumi: uno detto ‘scientifico’ ed uno ‘linguistico’. La copertina era di colore rosso scuro quasi bruno. Mi piacque soprattutto quello scientifico, forse perché in esso vi erano i fatti ed i personaggi della storia.

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Come gli antenati di don Rodrigo erano emblemi del terrore – il generale terrore dei subalterni, l’abate terrore dei monaci e così via – così una triste fama precedeva alcuni insegnanti…
“Quello di storia” terrorizzava perché aveva il pallino delle date: data di nascita e data di morte dei personaggi, date delle battaglie, date degli eventi, nomi di re, imperatori e papi in ordine cronologico. I rapporti tra gli Stati in contemporanea, i nomi degli esploratori e le date delle scoperte geografiche e così via.
“Quello di geografia” terrorizzava perché chiedeva non solo i nomi dei monti e dei fiumi ma anche rispettivamente la loro altezza e lunghezza ed anche gli affluenti e sub affluenti. Come se ciò non bastasse faceva usare, anche come punizione, la cosiddetta cartina muta dove erano disegnati solo i confini degli Stati.
“Quello di italiano” aveva il pallino per tutti i verbi irregolari e faceva imparare a memoria, oltre a tutte le poesie, anche passi dell’Iliade o dell’Odissea o dell’Eneide, tradotti rispettivamente dal Monti, dal Pindemonte, dal Caro, autori dal linguaggio non semplice, anzi astruso, perché non adeguato ai tempi e che pertanto andava non solo commentato ma anche “tradotto e decifrato” nella lingua corrente. Non mancava poi il famoso passo dell’Addio ai monti dei Promessi Sposi. A nulla valsero le proteste; l’insegnante affermò che quella era “pura poesia”.
La versione di latino doveva essere tradotta in breve tempo e bisognava saper leggere metricamente l’Eneide ed eventualmente mandare a memoria alcuni passi, ma in latino.
La versione di francese era zeppa di “eccezioni” come se nella lingua dei “cugini d’oltralpe” non vi fossero altro che quelle.
Chi non ricorda le radici quadrate e quelle operazioni di aritmetica zeppe di virgole e decimali, da svolgere, come già detto, senza l’ausilio di calcolatrici?

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Per quanto riguarda i compiti scritti, poi, alcuni docenti si divertivano a mettere i compiti in ordine crescente o decrescente dei voti. Così, quando questi venivano posti all’attenzione dei ‘discenti’, se si cominciava dal voto più basso (che poteva essere anche uno o due oppure, nelle elementari, anche “zero spaccato”), a mano a mano che il voto saliva si traeva un sospiro di sollievo e viceversa si era presi dall’angoscia se il docente aveva deciso di iniziare dal voto più alto.
Non mancavano i cosiddetti ‘mezzi voti’ e i ‘meno meno’ posti vicino ai voti. Qualche docente, in questa numerazione docimologica, scivolava, come il termometro che scende repentinamente a causa del freddo, anche… sotto zero e, pertanto, come nel freddo siberiano, arrivava a scrivere sul compito anche ‘meno 16’ o ‘meno 20’ (!): un brivido gelido percorreva la schiena del povero discente che già avvertiva i brividi della bocciatura in quella disciplina, specialmente se ciò accadeva nel terzo ed ultimo trimestre.
I docenti valutavano annotando e semplicemente sommando i voti ottenuti e poi dividendo la somma per le interrogazioni. Cosicché bastava un quattro perché la media dei voti scendesse e, per “ripararlo” ci voleva o un otto oppure una sfilza di sei. Cosicché il voto massimo, che era dieci, era un… miraggio per la stragrande maggioranza degli alunni.

Per non parlare poi del famigerato tema. Errori, anzi ‘orrori’ ortografici, puntualmente sottolineati in blu, errori di forma, contenuto puerile, ma soprattutto forma… dialettale. Il dialetto aborrito, bandito, appestato, scacciato in malo modo dalle aule come cane rognoso con la coda tra le gambe.

la correzione dei compiti

Se nei compiti scritti, dopo un po’ di tempo si veniva a conoscenza del voto, per quanto riguarda la valutazione dell’orale, questa rimaneva un segreto tra l’insegnante ed il suo registro personale. Ad alcuni insegnanti, poi, non bastava porre la mano davanti al registro nel momento in cui apponevano il voto su di esso, ma ponevano un libro o un quaderno in verticale in modo da nascondere la ‘malefatta’. Ma il compagno che sedeva al primo banco si sollevava leggermente e cercava di capire, anche dal movimento della mano, quale voto avesse apposto. Poi sottovoce cercava di comunicarlo al poveretto che era in ansia.

Era una scuola in cui tutto restava segreto fino all’esplosione trimestrale sulle pagelle o a quella finale affissa nei ‘quadri’ posti sulle vetrate dell’entrata dell’edificio scolastico.
D’altronde non poteva essere diversamente perché anche gli insegnanti erano sottoposti a valutazioni, dette “note di qualifica”, da parte dei presidi o direttori didattici per la scuola elementare (oggi dirigenti) che, alla fine di ogni anno scolastico, da soli e nelle “segrete stanze” comminavano ai singoli docenti senza chiedere il parere a nessuno.
L’anno scolastico 73/74 fu l’ultimo in cui le suddette “note” furono comminate. Furono abolite perché si disse che non era possibile valutare né il metodo di insegnamento (che dipende da molteplici fattori) né soprattutto i contenuti, perché ciò avrebbe potuto inficiare la libertà di insegnamento, bene prezioso per la democrazia.

Oggi, a quanto pare, si ritorna al passato sia pur, come diceva G. B. Vico, con qualche variazione. Si vuole cioè equiparare il docente ad un agente di marketing, o immobiliare o assicurativo che deve “ piazzare sul mercato” vari e/o nuovi prodotti. Questi ultimi, però, avendo la peculiarità di essere totalmente inanimati, sono sottoposti pedissequamente all’abilità dell’uomo. Le persone invece, non solo hanno peculiarità ed interessi differenti le une dalle altre ma possono cambiare nel corso degli anni se non dei giorni. A loro, pertanto, si deve rapportare, quotidianamente, il docente quasi sempre privo di mezzi (materiali e morali) sufficienti per svolgere al meglio la sua attività se non armato della sua buona volontà.
Cosicché, mentre per tutte le altre professioni si è giunti ad una certa distinzione o per meglio dire polverizzazione delle competenze, nella persona dell’insegnante, al contrario, si concentrano e si sommano tutte le competenze.
Diviene, così, una sorta di padreterno: onnisciente perché deve conoscere non solo la propria disciplina, la metodologia sue prerogative) ma, da sé stesso e senza il supporto di nessuno, anche “vita, morte e miracoli” degli alunni: la loro psicologia, l’ambiente di provenienza ed altro (tra cui anche chi è l’autista dei pullman che trasportano i ragazzi in gita); ed inoltre deve essere anche onnipresente perché, ad esempio, durante una gita scolastica non solo non può dormire o può appisolarsi solo nei corridoi dove si affacciano le camere tenendo un occhio chiuso e due aperti, ma deve vigilare anche sui balconi e cornicioni come se avesse il dono dell’ubiquità. Così a scuola, al cambio degli insegnanti, deve stare con un piede nella classe che lascia e con un altro in quella in cui si dirige che si può trovare anche su un piano diverso.
Siccome ciò è impossibile e siccome deve lasciare persone che il più delle volte non stanno ferme (non sono, infatti, cose inanimate!), deve sperare soltanto che fili tutto liscio e soprattutto nella buona sorte; altrimenti…
Insomma è divenuto il famoso vaso di coccio che viaggia in mezzo ai vasi di ferro di manzoniana memoria.
E non voglio scavare più a fondo perché anche la sua dignità spesso viene calpestata, ma questo è un altro discorso.

ieri-e-oggi

La maggior parte delle ore è dedicata a lezioni teoriche con pochi o scarsi supporti (queste lezioni, tra l’altro, a mio parere, hanno un costo inferiore rispetto a lezioni in cui sono previsti i laboratori). Pertanto alunni che amerebbero agire attraverso la manualità sono costretti a stare ore ed ore inchiodati in banchi che spesso sono vetusti, annoiandosi per lezioni teoriche che a loro poco interessano. E a nulla valgono gli sforzi degli insegnanti per attirare la loro attenzione – sempre piuttosto instabile – sia perché essi non hanno strumenti adeguati se non la loro voce, sia perché nella variegata classe non tutti amano lo stesso argomento.

Le scuole, poi, sono deficitarie non solo di laboratori attrezzati di tutto ma spesso anche di semplici planisferi, cartine geografiche e mappamondi in relazione alle classi e agli alunni. Pertanto all’insegnante non resta altro che “arrangiarsi” alla meno peggio. Il metro di valutazione verrà rapportato anche alle strutture deficitarie ed al grado di “sapersi arrangiare” dei docenti?

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Per non parlare di quelli che con una o al massimo due ore settimanali devono valutare oltre 200 ragazzi ed hanno a che fare con 400 genitori (questi docenti , a mio avviso, sono ultra-bravi!). In particolare mi riferisco agli insegnanti di religione e delle cosiddette aree delle educazioni (educazione fisica, artistica e tecnica). Pertanto penso sia oltremodo difficile valutare metodi d’insegnamento e contenuti. A meno che non si voglia imbrigliare o ingabbiare il tutto (cose che mi sembrano già dette e fatte in un passato non molto lontano… Ah, la memoria!).

Le uniche cose che, a mio avviso, possono essere valutate sono quelle derivanti dalla puntualità: puntualità nell’orario di servizio, nel tenere in ordine i registri, nella partecipazione alle attività programmate dal Collegio docenti, nel rapporto con i genitori dei discenti. Valutare tutto il resto mi sembra sia molto pericoloso per la democrazia.

L’ultimo voto posto sulla pagella era quello sulla condotta. Era l’ultimo ma il più importante perché bastava l’insufficienza per azzerare tutti gli altri voti e pertanto si era inesorabilmente “respinti”. Ciò accadeva se si era allontanati dalle lezioni o come si diceva si era “sospesi da tutte le scuole del regno”.

5 in condotta

Non so come avrebbero potuto essere “riparate”, nell’arco di due mesi, per di più estivi, quattro “materie” importanti come, ad esempio: italiano, latino, matematica e francese.
Nell’isola, poi si aggiungeva dramma a dramma perché vi era carenza di docenti di scuola media o peggio ancora di scuola superiore. Al termine della scuola media ecco l’esame di licenza media che a quei tempi aveva la valenza di un diploma. Se introdotti al ginnasio, dopo due anni, ecco un ulteriore esame per accedere alle tre classi del liceo classico ed infine l’esame di stato che aveva la stessa valenza di una odierna laurea di primo livello e oltre ( della serie “gli esami non finiscono mai” come scriveva Eduardo De Filippo).

E’ risaputo come si svolgessero quegli esami di stato. Duravano per tutto il mese di luglio. La commissione era composta da tutti membri esterni; soltanto un insegnante era ‘membro interno’ e uno ogni due classi. Il programma verteva su tutte le discipline dell’ultimo anno (ad eccezione della religione) ed anche sui riferimenti degli ultimi due anni! E posso garantire che alcuni di questi insegnanti volentieri ‘spaziarono’ nell’ultimo triennio!
Si iniziava con i compiti scritti per tutte le discipline che prevedevano lo scritto e poi si proseguiva con l’esame orale suddiviso in due giorni: uno per le materie letterarie ed un altro per le materie scientifiche. Cosicché accadeva che una volta conclusi i compiti scritti, si aspettava alcuni giorni prima dell’inizio degli orali e poi ancora altri giorni per concluderli.
Al termine, verso la fine del mese, uscivano i soliti ‘quadri’ con i risultati finali e i voti nelle singole discipline, al che poteva anche succedere che si poteva essere “rimandati” agli esami di settembre. Pertanto si aveva appena un mese (agosto) per potere “riparare” oppure, a causa di un quattro o di un sei, vedere la media dei propri voti abbassarsi vertiginosamente.

La beffa fu quando questi voti furono equiparati (come punteggio in eventuali graduatorie) a quelli derivanti dagli esami di stato in cui i voti andavano da 60 a 100 e gli esami orali vertevano soltanto su due discipline di cui una a scelta del candidato e l’altra… pure cioè nominalmente a scelta della commissione in cui vi era un membro interno per ogni classe! Cosicché, ad esempio, chi era valutato con 85 superava di gran lunga chi negli anni precedenti aveva conseguito 7 ma in tutte le materie (e quello già poteva essere considerato un ottimo voto!). Ma spesso così va il mondo!

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[L’esperienza e la memoria (4). L’istruzione – Continua]

nota: tutte le immagini inserite nell’articolo sono state scelte dalla Redazione

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