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Ninna nanna… Ninna oh…

proposto da Gabriella Nardacci
Immagine dal film Terraferma di E. Crialese [1]

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Ho ascoltato, tempo fa, questa ninna nanna perché, solitamente, seguo i miei artisti preferiti ed Eugenio Bennato è tra questi. Non rimasi molto colpita dalle altre canzoni presenti sul cd “Che Mediterraneo sia”, 2002 (recentemente ricordato sul sito: leggi qui [2]), ma questa ninna nanna, cantata da Pietra Montecorvino, mi colpì in maniera particolare.

Ninna nanna pe ‘sta criatura
che va per ‘mmare dint’a notte scura
duorme ca si t’adduorme presto
nun vene la tempesta…

Non è una ninna nanna antica, né conosciuta. È un canto che una madre inventa in un momento che racchiude un’alternanza di emozioni e sentimenti.

Un barcone colmo di persone solca il mare nero come la notte. Non si può mai sapere cosa può succedere nel silenzio della notte. Tutto è nascosto intorno. Il buio fa paura ma due occhi aperti nel buio vedono mostri e fantasmi che afferrano il tempo e lo trattengono presso di loro.

Migranti. Notte [3]

E la si immagina questa madre che racchiude tra le sua braccia la sua creatura sperando che il sonno possa proteggerla dalla paura. Il suo canto è una ninna nanna lenta che quasi sembra cullarsi in quel movimento del barcone stracolmo di persone e spera che il sonno arrivi presto quasi che il pianto del bambino potesse in qualche modo provocare disturbo e rabbia.

Duorme duorme ca ‘sta carretta
si duorme po’ naviga’ cchiù in fretta
naviga naviga tutto ‘o mare
ch’avimmo attraversare

La mamma continua a cantare e ancora si rivolge al suo bambino esortandolo dolcemente a dormire quasi lo vedesse tenere a fatica gli occhi aperti. È per questo che ripete due volte alcune parole e pare sintonizzarsi con il dondolio di quella precaria carretta che dovrebbe attraversare tutto il mare che nella notte sembra un oceano. Ma lei continua il suo canto perché il silenzio aiuta la concentrazione di chi “guida” il barcone che, in tal modo, scivola più in fretta sull’acqua.

Naviga naviga e nun se stanca
Si sta criatura viene da Sri Lanka
Naviga naviga e nun se sperde
Si vene ‘a Capoverde

Così concentrato, chi” guida “ penserà solo ad andare avanti senza guardare indietro alla strada già percorsa. La mamma teme che l’uomo possa stancarsi nel pensare a quanto mare ha navigato e il suo canto si trasforma in una preghiera.

Include le sue paure in questi versi ma più che cantare al suo bambino parla con se stessa dirigendo quell’incitamento al “marinaio” a non stancarsi nel navigare e a non perdere la rotta che è rappresentata da una terra diversa e migliore di quelle lasciate.

Dorme e sonna tutte e giardine
’e chesta terra ca s’avvicina
chesta terra ca t’appartiene
se ce sta chi te vo’ bene

All’improvviso accade qualcosa. La mamma ha la sensazione che quella terra tanto desiderata si stia avvicinando e allora la speranza occupa il posto della paura e di nuovo guarda il suo bambino e la ninna nanna diventa un canto colorato pronto a trasformarsi in un sogno dove il bimbo possa vedere giardini pieni di fiori e non più fango e terra.

E nel guardare suo figlio si sente orgogliosa di lui e quasi certa che quella terra possa appartenere anche a lui quando qualcuno imparerà a volergli bene. Forse questa madre teme che non ci sarà posto per tutti. Sarà di certo lei a ritornarsene nella povertà qualora le fosse imposto di fare una scelta o forse è solo un pensiero nero che presto passa.

Ninna nanna perché ‘stu munno
chillu dio che l’ha criato l’ha fatto tundo
e ce posto pe’ tutte quante
si l’ha fatto accussì grande
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E qui la ninna nanna diventa un capo d’accusa a un “dio” che se ha creato il mondo rotondo e grande, è per permettere a tutti di entrarci. Un “dio” che sarà minore fin quando non verrà permesso a suo figlio, a lei e a tutti di vivere e non sopravvivere, sperare e non disperare, sorridere e non piangere.

Il viaggio e il mare. Il percorso della vita e l’abbraccio rotondo… in una ninna nanna attuale e, ahimè, che molte madri continuano a fare.

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Ascolta qui Pietra Montecorvino in Ninna nanna di Eugenio Bennato da YouTube:

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Note
– Immagine di copertina: dal film “Terraferma” (2011), di Emanuele Crialese
– Sul tema, con un’altra poesia, leggi qui [5] l’articolo di Rosanna Conte per la ricorrenza dell’8 marzo 2016