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Fatti e misfatti del Mediterraneo del XXI secolo

di Adriano Madonna
la-presentazione-della-cubomedusa [1]

 

per Ponzaracconta, in condivisione con Latina oggi edizione odierna

Il fenomeno del riscaldamento del nostro mare non è una novità: è iniziato diversi anni fa e attualmente è una realtà ben evidente in ragione delle numerose specie marine che da mari caldi come il Mar Rosso e i Tropici continuano a giungere in Mediterraneo.

Il Mare Nostrum, quindi, sembra che debba tornare ad essere un mare tropicale come era in origine, quando, circa 250 milioni di anni fa, si formò dal Golfo della Tetide, durante i grandi movimenti della Pangea causati dalla deriva dei continenti.

Guardare con attenzione, oggi, sul banco del mercato ittico, significa trovare spesso qualcosa di esotico: un barracuda, magari un pesce grugnitore, un granchietto rosso e azzurro noto come Percnon gibbesi, una specie fortemente invasiva che sta colonizzando le nostre coste rocciose con incredibile velocità, etc.

barracuda [2]Barracuda

Niente di grave sino a che non cominceranno ad arrivare in numero significativo le specie pericolose, come il pesce palla, ormai già presente da qualche anno nelle nostre acque, il pesce scorpione e organismi poco simpatici, come le meduse Caribdea marsupialis e Physalia phisalis, quest’utima nota come caravella portoghese. Entrambe, infatti, sono pericolose poiché in grado di provocare addirittura il decesso.

Pesce-palla-comune [3]Pesce palla comune (Fam. dei Tetraodontidae, varie specie di “pesci palla”)

pescescorpione [4]Pesce scorpione o lionfish (Pterois volitans della famiglia Scorpaenidae)

Phisalia phisalis [5]La Physalia physalis o ‘caravella portoghese’

Alla luce dei fatti, quindi, molte specie alloctone stanno migrando in Mediterraneo da altre acque. Stiamo assistendo ad una veloce colonizzazione del nostro mare che certamente ne altererà l’identità. La domanda ovvia, a questo punto, è la seguente: “specie autoctone e specie alloctone divideranno senza problemi il nostro mare oppure ci sarà competizione per le risorse?”

La seconda ipotesi è la risposta giusta e proprio a causa di queste inevitabili competizioni si può ipotizzare che il Mediterraneo in un prossimo futuro attraverserà un momento più o meno lungo di scarsità ittica.
Il Principio di Esclusione di Gause (sul sito leggi qui [6]la relazione di Enzo Di Fazio sulla Conferenza del prof. Madonna del 20 ottobre 205 a Gaeta) insegna che due specie diverse non possono condividere la stessa nicchia ecologica e una delle due deve necessariamente soccombere. In ogni caso, un’invasione da parte di specie alloctone e una resistenza all’invasione da parte di quelle autoctone genererà una situazione di stress in entrambe, con conseguenze tipo scarsa riproduzione, scarsa crescita e scarsa resistenza alle patologie. Tutto ciò si traduce facilmente in scarsità ittica a danno dell’industria della pesca.

Già oggi si assiste a qualche caso di supremazia di una specie su un’altra: specie che hanno scacciato altre specie dai loro abituali areali. Si tratta di cose ancora episodiche, ma che confermano le leggi dell’ecologia. Pochi anni fa, ad esempio, in diverse aree al largo del Golfo di Gaeta normalmente frequentate dalle strascicanti per la pesca del gambero rosso, si registrò un fenomeno singolare: quando, infatti, si recuperavano le reti e si riversava sul ponte il contenuto del sacco, in luogo dei gamberi rossi si trovavano altri crostacei del genere Galatea. Era sin troppo chiaro che su quelle porzioni di fondo marino la Galatea aveva soppiantato il gambero rosso per sovrapposizione di nicchie ecologiche, con un danno economico importante.
Ci si può quindi aspettare che altre specie pregiate tipiche del nostro mare possano essere sostituite da altre non native di scarso valore commerciale.

Galatea rossa [7]Il crostaceo Galatea rossa

Oltre a ciò, si deve segnalare che l’attuale presenza in Mediterraneo di specie alloctone pericolose, come il pesce palla e altre, ci trova assolutamente impreparati: nessuno, infatti, tranne i biologi marini con una certa pratica sul campo conoscono queste specie, poiché sono nuovi arrivati nel nostro mare, e maneggiarle o mangiarle (a seconda delle specie) può essere letale. Mancano, dunque, incontri di aggiornamento, magari presso le Capitanerie di Porto, in cui si facciano conoscere ai pescatori professionisti e ai rivenditori del mercato ittico queste nuove specie la cui scarsa conoscenza costituisce un rischio serio. Forse tutto ciò si farà quando ci sarà il primo morto.

Un problema importante sarà l’attività della pesca nel Mediterraneo del XXI secolo, che dovrà vedersela con le nuove situazioni ambientali che si stanno presentando.
Tra i parametri che stanno cambiando, dunque, prima fra tutte le temperatura, a cui si legano molti fenomeni, come una nuova idrodinamica dovuta a diverse stratificazioni di masse d’acqua di densità differenti, e, di pari passo, anche una diversa stratificazione dei nutrienti, che, direttamente o indirettamente, si ripercuote in maniera importante sulla piramide alimentare.

A queste variazioni abiotiche e biotiche le varie specie acquatiche rispondono in modi diversi, poiché non tutti i phyla biologici, così come non tutte le specie di uno stesso phylum sono uguali, ma hanno ognuno le proprie peculiarità. Ad esempio, ogni specie ha il proprio ciclo biologico e una particolare modalità di accrescimento della popolazione. Alcune sono caratterizzate da un accrescimento esponenziale seguito da crolli parimenti importanti. Sono, queste, le specie soggette alla cosiddetta selezione r. Appartengono a questa categoria quelle specie influenzate in particolare da variabili come la temperatura, il pH, la salinità. Le specie soggette a selezione r sono molto prolifiche (come i merluzzi): producono una numerosa discendenza per far fronte a quelle eventuali variazioni ambientali che potrebbero distruggere l’intera popolazione.

Le specie soggette alla selezione k, invece, si trovano all’estremo opposto: producono pochi discendenti ma spendono quantità enormi di energie per assicurare la loro sopravvivenza (cure parentali).

A differenza delle specie r, le k hanno popolazioni più o meno stabili, con un numero di individui vicino alla capacità portante. Si definisce capacità portante il numero massimo di individui di una specie che un ambiente può contenere in funzione della disponibilità delle risorse. La selezione r gioca sui grandi numeri ed è soggetta a grandi oscillazioni, la selezione k dà più garanzie di stabilità, ma le popolazioni costituite dalle specie soggette alla selezione k sono molto meno numerose e la pesca professionale nella maggior parte dei casi si pratica sui grandi numeri.

Il concetto di selezione r e selezione k è un sistema scientifico che serve a schematizzare una situazione, ma in natura (non solo in mare e in ambiente acquatico in generale) le specie formano un continuum tra le due categorie, tant’è che a volte non è facile classificare alcune specie in una categoria o nell’altra. In ogni caso, considerando sia i cicli biologici sia le caratteristiche di riproduzione dei vari gruppi animali, possiamo affermare che molti sono caratterizzate dalla “strategia del numero” e altri dalla “strategia delle cure parentali”.

Riassumendo, è certo che, direttamente o indirettamente, la distribuzione e la densità delle popolazioni sono limitate dagli effetti che l’ambiente fisico esercita sugli individui.

Nal 1913, l’ecologo americano Victor Shelford, elaborando la “legge del minimo” del chimico tedesco Justus Von Liebig, affermò che una quantità troppo piccola o una quantità troppo grande di un fattore ambientale è capace di limitare la densità di una popolazione, tendendo verso i limiti di tolleranza degli individui o superandoli.
In altre parole, un animale ha limiti di tolleranza per valori estremi di temperatura (troppo bassa o troppo alta), pH (troppa acidità o alcalinità), luce (troppa luce o poca luce = fotoinibizione), ossigeno (ambiente ipossigenato o iperossigenato) etc.

Esistono specie più tolleranti alle variazioni ambientali, dette eurìecie, e sono quelle caratterizzate da maggiore distribuzione, e specie meno tolleranti, dette stenoecie, con minore distribuzione.

Abbiamo comunque imparato, che, nel tempo, in natura spesso avvengono aggiustamenti ad hoc, là dove questi aggiustamenti si chiamano evoluzione. Con molta probabilità, proprio come è avvenuto sin dal primo mattino del mondo, quando la vita si è aperta alla luce e ha subito mille trasformazioni in funzione di innumerevoli cambiamenti dell’ambiente, questi problemi potranno essere risolti grazie a mutazioni genetiche ad hoc che ogni specie metterà a punto nel proprio DNA.
Noi, però, non ci saremo.

 

Dott. Adriano Madonna, Biologo Marino, EClab Laboratorio di Endocrinologia Comparata, Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Napoli “Federico II”

 

Articolo presente anche su Latina Oggi, 4 maggio 2016, come intervista di Brunella Maggiacomo al prof. Madonna: Latina Oggi del 4 apr. 2016. p.32 [8]