Attualità

25 Aprile 2016: libertà fa rima con solidarietà

 di Sandro Vitiello

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Oggi in tutta Italia è stato festeggiato il 25 aprile.

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Immagini della manifestazione del 25 Aprile 2016 a Milano

I temi della lotta al fascismo e a tutte le forme di autoritarismo sono la ragione fondamentale di questo appuntamento eppure le parole d’ordine che sono state citate con maggiore forza nei tanti comizi che ci sono stati in giro per l’Italia hanno avuto soprattutto altri due richiami: la riforma costituzionale appena varata dal parlamento e il problema dei migranti che si allaccia anche alla domanda di cosa sia oggi l’unione europea.

Non è passata inosservata nei giorni scorsi la forte polemica tra l’Associazione Nazionale dei Partigiani d’Italia (ANPI) e il governo sul giudizio da dare alle recenti modifiche della costituzione, figlia della guerra di liberazione dell’Italia dai nazi-fascisti.

L’appuntamento referendario di ottobre sarà terreno di scontro molto pesante tra quanti danno un giudizio negativo sul nuovo dettato costituzionale e quanti vedono positivamente i cambiamenti apportati.

Oggi però si è parlato, e tanto, del “che fare” davanti alla tragedia di migliaia di persone che scappano dai loro luoghi di origine, per cercare di salvare la pelle prima e poi sperare in una vita dignitosa nei posti in cui cercano di arrivare.

La città di Milano ha invitato a parlare dal palco in piazza del Duomo – tra i diversi importanti relatori – la sindaca di Lampedusa: Giusy Nicolini.

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Giusy Nicolini – sindaca di Lampedusa – a Milano in occasione del 25 Aprile

E’ una donna forte che ha raccontato prima di tutto il suo mondo: l’acqua potabile, il depuratore, i collegamenti.
I problemi di un sindaco di una piccola isola italiana a sud di Tunisi.

Lampedusa è poco più grande di Ponza.
E’ lunga circa dieci chilometri ed ha una superficie di venti e passa chilometri quadrati.
Ha seimilatrecento abitanti -insieme a Linosa con cui forma comune unico- eppure negli ultimi venti anni quest’isola è stata punto di approdo per oltre trecentomila migranti.

Spesso si sono trovati da soli a compiere azioni di eroismo puro.

Nel 2011, in piena “Primavera araba” sulle coste dell’isola sono arrivati in pochissimo tempo più di undicimila tunisini.

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Immagini della manifestazione del 25 Aprile 2016 a Milano

Il ministro dell’interno Maroni pensò di abbandonare al proprio destino quest’isola, i suoi abitanti e i profughi che l’avevano raggiunta.
Dall’esterno non arrivò nessun aiuto e gli abitanti di Lampedusa dovettero far fronte da soli ad un numero di profughi che era almeno il doppio di quello degli abitanti dell’isola.
Ce la fecero, e dimostrarono che il dovere dell’ospitalità è un valore prezioso se si pensa che quanti arrivano alle nostre frontiere sono uomini e donne come noi, che hanno diritto a sognare un futuro per se e i propri figli.

Che senso ha – parole della sindaca – separare i migranti in profughi da luoghi di guerra e migranti per necessità economica?
Non è una guerra (quella alla miseria) per la quale anche questi uomini sono scappati?
Perché affidare a queste frontiere estreme, come Lampedusa, l’obbligo di censire se i migranti scappano da una guerra civile o dalla fame?
Dov’è quell’Europa che si era data valori ambiziosi?
Perché nel cuore del nostro continente sono apparsi con forza segnali di imbarbarimento che stanno portando i governi ad alzare muri e barriere e, peggio ancora, a dare in gestione a paesi terzi come la Turchia il compito di fare la sporca guerra ai migranti pagandolo in cambio cospicui risarcimenti?

Veder morire migliaia di persone nel mar Mediterraneo o nei campi di raccolta in Grecia e in altri luoghi ci chiama a valori che sono quelli della solidarietà.
Non possiamo guardare dall’altra parte.

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Immagini della manifestazione del 25 Aprile 2016 a Milano

Non possiamo rispondere che noi non siamo responsabili di queste tragedie.
Non possiamo credere di essere liberi e di esercitare i nostri diritti se poi non rivendichiamo per i nostri simili i nostri diritti e le nostre opportunità.

La sindaca di Lampedusa Giusy Nicolini dal palco di piazza del Duomo a Milano, oggi 25 aprile, ha tenuto un grande discorso di civiltà e di integrazione parlando della tragedia dei migranti.

Con le sue parole ha dato il senso più alto a questa giornata .

Grazie sindaca, grazie Giusy!

 

Fuocoammare-poster-locandina-2016

Fuocoammare. La Lampedusa di Gianfranco Rosi
Nota di Sandro Russo

In appendice al bell’articolo di Sandro Vitiello sulla presenza e sul discorso della ‘sindaca’ di Lampedusa Giusy Nicolini alla manifestazione del 25 aprile a Milano, vorrei segnalare questo film che proprio dell’isola parla, di Gianfranco Rosi, ‘Orso d’Oro’ a Berlino 2016 come miglior film. Con gli attori -personaggi che sono la gente stessa dell’isola…
Attraverso il trailer su Youtube

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…e la recensione di Goffredo Fofi: Fuocoammare racconta Lampedusa con pudore e rispetto

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È che mi sono trovato a guardare il film con la mia conoscenza/esperienza di Ponza, come se quei paesaggi, quei personaggi fossero la mia isola; se gli eventi che vi accadevano stessero accadendo a Ponza…

Orso-d-oro-a-berlino-per-fuocoammare-il-documentario-girato-a-lampedusa

2 Comments

2 Comments

  1. Sandro Russo

    26 Aprile 2016 at 06:34

    Fuocoammare. La Lampedusa di Gianfranco Rosi

    In appendice al bell’articolo di Sandro Vitiello sulla presenza e sul discorso della ‘sindaca’ di Lampedusa Giusy Nicolini alla manifestazione del 25 aprile a Milano, vorrei segnalare questo film che proprio dell’isola parla, di Gianfranco Rosi, ‘Orso d’Oro’ a Berlino 2016 come miglior film. Con gli attori-personaggi che sono la gente stessa dell’isola…
    Attraverso il trailer del film su Youtube e la recensione di Goffredo Fofi: tutto nell’articolo base.

  2. Sandro Russo

    20 Aprile 2017 at 12:01

    Quando il potere arruola il suo dio

    Ci avviciniamo alla ricorrenza del 25 aprile. Me l’ha ricordato una lettera alla rubrica giornaliera di Corrado Augias, su Repubblica di ieri 19/4.
    Scrive il lettore:

    Caro Augias,
    quanto ci vuole a perdere la democrazia? Pochissimo. In Turchia, c’è voluto meno di un anno. Eppure sembrava un paese ormai avviato al consolidamento della propria modernizzazione, tanto da immaginare un suo futuro ingresso nell’Europa, seppure con un percorso non breve, per via delle tante scorie del passato. Il primo segnale di involuzione non è il fallito golpe del luglio 2016, ma si era già avvertito nell’aprile precedente, quando Kahraman — politico dello stesso partito di Erdogan (Akp) — cominciò a mettere in discussione la laicità del paese.
    Quando qualsiasi religione invade la sfera politica, finisce la libertà. Il potere arruola il suo dio, strumentalizzandolo come superstizione del comando.
    Poi, si inizia a picconare la costituzione depotenziando i suoi pilastri. Primo fra tutti, la divisione dei poteri, da sostituire con l’uomo solo al comando.
    La Turchia è una lezione tragica. Ci ricorda che la democrazia va vigilata. Ogni giorno. Perché è preziosa per quanto è fragile. È noiosa con la sua normalità a bassa voce, per quanto invece è esaltante un capo che urla “fidatevi di me”.
    Chi ci invita alla pigrizia civile, ci sta già sottomettendo.
    Massimo Marnetto – Roma

    La risposta di Augias
    Le osservazioni del signor Marnetto sono impeccabili ma la vicenda turca, che ho potuto seguire da vicino nelle sue fasi preliminari, ha qualche connotato in più che va ricordato per capire meglio quanto è accaduto. Volendo si può dire che la sua fragilità democratica comincia con la nascita stessa della repubblica, nel 1923. Mustafà Kemal, poi detto Atatürk, è stato un valoroso ufficiale e un uomo illuminato che, sulle ceneri del crollato impero ottomano, impose la forma repubblicana contro la volontà dei circoli più reazionari, dei religiosi musulmani, delle masse analfabete dell’Anatolia, le stesse che oggi hanno dato (se davvero gliel’hanno data) la vittoria a Erdogan.
    Al di là dei probabili brogli, è un fatto che la repubblica presidenziale, in pratica una dittatura appena mascherata, domenica scorsa è stata rifiutata dagli elettori delle grandi città: Ankara, Istanbul, Smirne. Per dare un’idea di che cosa volle dire l’imposizione della repubblica un secolo fa circa, basta ricordare che la Turchia di allora non aveva nemmeno un proprio codice civile, vigeva la sharia cioè la legge musulmana che tutto confonde: norme del diritto e precetti divini. In attesa che si preparasse una nuova legge, la Turchia dovette adottare, paro paro, il codice svizzero per dare un po’ d’ordine ai rapporti. Durante tutto il periodo della guerra fredda il paese ha goduto di un’alta considerazione all’interno della Nato dato l’alto valore militare dei suoi soldati, finita quella fase il paese ha dovuto cercare una nuova collocazione internazionale resa via via più cruda dalle defatiganti procedure per l’ammissione all’Unione Europa. Ha fatto bene o male l’Europa a negare in pratica l’accesso? Considerando quanto sta accadendo forse ha sbagliato.
    Ma questi precedenti ricordano che il caso turco ha caratteristiche sue proprie che non vanno confuse con quelle di paesi di più antica e sentita democrazia. Come mi auguro dimostrerà domenica prossima la Francia.
    [email protected]

    P.S. – Sempre in tema, è di questi ultimi giorni la vicenda del giornalista Del Grande, sequestrato in Turchia in spregio a tutte le norme intenzionali, su cui si sta mobilitando gran parte dell’opinione pubblica, italiana e non solo…
    S.R.

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