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“Il Ciclope” di Paolo Rumiz, quel faro sulle rive del mondo

di Luisa Guarino
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Provo un’attrazione fatale per i libri che hanno sulla copertina un faro, quindi non ho resistito qualche mese fa a comprare l’ultimo libro di Paolo Rumiz “Il Ciclope”, Feltrinelli, 149 pagine, 15,00 euro. Di Rumiz, nato a Trieste, giornalista de La Repubblica e de Il Piccolo di Trieste abbiamo scritto diverse volte sul nostro sito. L’ultima in ordine di tempo a proposito di una serie di servizi sulla Via Appia pubblicati proprio dal quotidiano romano. La sua produzione, che riguarda soprattutto storia, geopolitica e racconti di viaggio, è molto ricca, sempre fonte di grande interesse e improntata a una lettura delle cose, delle persone e del mondo, di ampio e profondo respiro.

 

Non amo in genere i libri di viaggi, ma in questo caso l’idea che il percorso dell’autore si svolgesse su un piccolo faro, isolato in mezzo al mare, chiamato Ciclope, è stata un richiamo troppo forte. Tra l’altro, come sottolinea l’autore, si tratta di “un viaggio da fermo”, appunto all’esterno e all’interno del faro stesso, in cui Rumiz afferma di sentirsi come Giona, nel ventre della balena. Diciamo subito che questo faro esiste davvero ma lo scrittore fa di tutto per depistare i lettori. Si limita a scrivere di “un’isola lontana da tutto eppure al centro di tutto. Uno scoglio che, nonostante la distanza, è impossibile mancare. È microscopica, ma sulle tappe nessuno la dimentica, perché è un punto fondamentale. È segnata anche sulla mia mappa del Mediterraneo, scala uno a due milioni, e la scritta che la identifica è dieci volte più grande delle sue dimensioni su carta. Dovrei darvi le coordinate, latitudine e longitudine. Ma non lo farò. Non vi dirò nemmeno la nazione cui appartiene, perché detesto le nazioni e il mare non ha frontiere. Sappiate solo che da qui sono passati un po’ tutti. Greci, Romani, Slavi, Turchi, Veneziani, genti di lingua tedesca, Inglesi e pirati saraceni. Persino Napoletani. Un’unica informazione: qualche millennio or sono gli antichi l’hanno battezzata col nome del mare, perche’ ai loro occhi essa ne rappresentava la quintessenza”.
Poco piu’ avanti Rumiz definirà il faro di quell’isola “uno dei più potenti e alti fra Gibilterra e il Golfo di Alessandria, e di certo il più potente e alto di uno dei mari che compongono il Mediterraneo”.

Veduta dell'isola e del faro di Palagruza costruito nel 1875 [2]

Nel faro c’è il farista con un aiutante, e durante il soggiorno di Rumiz presso il Ciclope ne arriverà un altro, con moglie e figlio. “Il farista è un re – gli spiega tra l’altro il ‘padrone di casa’-: lavora quando e come vuole. Nessuno ti dice: fai, alzati, muoviti… sei libero!”. E lo scrittore aggiunge: “Il guardiano del faro, oltre che un re, è un sommo sacerdote. E’ il genio della lampada di Aladino, anzi di più, perché nel suo caso il fuoco galleggia sul suo elemento antagonista, l’acqua, e non deve spegnersi a nessun costo, come nel caso delle vestali”.
Nel suo racconto lo scrittore inserisce qualche eco di viaggi e di esperienze passate, descrivendo sommariamente ma non superficialmente momenti vissuti su altri fari e altre isole, sovvertendo l’idea diffusa e condivisa dai più del primato delle lanterne dei mari del nord rispetto a quelle del Mediterraneo. E tra le piccole isole, tra le quali ci sono Sifnos, Curzola, Gavdos, Pantelleria e Caprera, “dimore del vento”, cita anche la nostra Ventotene.

“Pare che nel mondo i fari siano di tre tipi – scrive anche Rumiz -: il ‘paradiso’, che sta confortevolmente piantato in terraferma; il ‘purgatorio’, aggrappato agli ultimi promontori rocciosi (un po’ come il nostro faro della Guardia – NdR); e ‘l’inferno’, perduto su qualche isolotto disabitato al largo. Ebbene, si dice che chi ha vissuto la terza e più estrema delle esperienze (come appunto quella del Ciclope – NdR) diventi qualcosa di simile a un mago. I vecchi marinai sanno che il guardiano del faro ha una relazione privilegiata con l’Altrove, è un essere speciale che ha superato la soglia dell’indicibile”.

Rumiz. Mare [3]

Ma la sensibilità e la profonda conoscenza in particolare di certi luoghi del mondo, di cui ci troviamo a parlare spesso negli ultimi anni, porta Rumiz ad alcune considerazioni: “Il Mediterraneo è sempre stato mare di battaglie. Ma la guerra ha sempre convissuto con i commerci e la cultura. Venezia ha mandato galere contro gli Ottomani a Lepanto, ma non ha mai dismesso il fondaco dei Turchi e continua a produrre cartografie per i sultani. Il cambiamento di oggi non sta dunque in un aumento dei conflitti, ma in un tramonto della conoscenza reciproca, della memoria e soprattutto dello scambio. Perché non è più scambio questo andirivieni di container sigillati, non è comunicazione questo traffico che non consente ai marinai di sbarcare nemmeno mezza giornata. (…) Il mio mare è un cimitero di annegati. Lo è sempre stato, ma stavolta c’è qualcosa di nuovo e tremendo: gli annegati bambini. Piccoli corpi che scompaiono nella notte senza un grido, sfuggendo alle mani di chi li ama. Eppure, ci siamo assuefatti anche a questo. I giornali evocano la pietà, ma la gente rumina pensieri ostili e razzisti (…) Tanti, troppi europei li detestano, li temono, forse perché sentono oscuramente che saranno loro, gli stranieri, a vincere. Perché il mondo è sempre stato dei migranti, di quelli che camminano e cercano altre terre attraversando con tremore il mare nero. (…) Ma per capire cosa accade ci manca tutto, anche il linguaggio. Profugo, esule, rifugiato, sono parole usate a caso, il segno della nostra confusione alfabetica e mentale”.

“La mia metamorfosi si sta completando” – afferma nelle ultime pagine de “Il Ciclope” Paolo Rumiz, dopo un soggiorno presso il faro e ‘fuori dal mondo’ durato poco meno di un mese. “Vi hanno contribuito – spiega – il vento, il martellare dei frangenti, la solitudine, l’assenza di noie. Ma a restituirmi il tempo è stato soprattutto il magnifico silenzio della Rete, di cui ho goduto in queste settimane senza Internet. Le mie giornate duravano il doppio. Dimostravano il mostruoso furto perpetrato dal web. L’assenza di navigazione nel ciber-spazio svelava gli orizzonti illimitati della navigazione in mare, e anche quella dentro me stesso”.
Meditate gente, meditate, verrebbe solo da aggiungere.