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Fantasticherie. Maior e Minor (2)

di Pasquale Scarpati
1. Silvano Braido. Isola [1]

 

Per la puntata precedente, leggi qui [2]

Maior (seguito)
Purtroppo è proprio dell’uomo apprezzare poco il bene e/o i beni che quotidianamente ammaliano i suoi occhi, anzi, a volte, sembra quasi che lui voglia accanirsi contro di loro, come in una sorta di invidia. Come quando si vede ogni giorno fin da bambino una persona che cresce o come quando si modifica un paesaggio e tutto appare in seguito come se fosse stato fin dai tempi antichi allo stesso modo, così per essi tutto quel “ben di Dio” era cosa usuale.
Invano alcuni incorreggibili nostalgici, o romantici o, come alcuni li definiscono, “ottusi” perché mai al passo con i tempi, vanno a scartabellare tra vecchie mappe e polverose carte per far conoscere “i tempi andati”, forse, con l’intima speranza (che tale rimane per lo più) che le nuove generazioni possano ricevere esempi dal passato; da una parte per non ripetere gli stessi errori o “orrori” di cui si fa sempre, giustamente, un gran parlare e dall’altra di afferrare e tenere ben stretti fulgidi esempi di vita e di bontà di cui si parla, al contrario, sempre troppo poco come cose irrilevanti; per questo non si curavano molto di quello che avevano o per meglio dire pensavano che durasse in eterno, senza alcuna cura e manutenzione.
Se, infatti, qualche capolavoro cadeva e si sbriciolava in un gran polverone, molti davano la colpa al cielo, altri, in modo un po’ cinico o egoistico, non se ne curavano perché pensavano che l’abbondanza sopperisse alla mancanza di uno solo come quando si fracassa un piatto mentre se ne lavano centinaia: nel gran fragore nessuno ci fa caso. Insomma mille discussioni senza nulla di fatto.

2. Silvano Braido. Isole-navi [3]

Qualcuno fece osservare che i beni andavano protetti adeguatamente ma non chiusi come in una cassaforte. Altri, pochi in verità, si erano spinti a pensare di spezzare la calca della gente che si ammassava lungo la strada principale, offrendo altre alternative. La massa, infatti, con il continuo calpestio, con le mani sporche ed unte, oppure solo con il fiato poteva e può nuocere alle creazioni artistiche, per cui spesso si usano vari accorgimenti affinché esse non si rovinino.
Ma gli abitanti erano così buoni e permissivi che non osavano proibire quasi nulla. Essi, infatti, amanti della pace, della tranquillità, non volendo che la loro testa “sbariasse” troppo, lasciavano ad altri queste “ignominiose” incombenze.
Pertanto, ad esempio, permettevano a mezzi rombanti, che ammorbavano l’aria con il fetore degli scarichi, lasciando, non di rado, anche olio sull’asfalto o nel fiume e facevano anche tremare le fragili case e pareti, di circolare per ogni dove e a qualsiasi velocità. Così per incuria ma soprattutto per eccessiva indulgenza qualche capolavoro andava perduto per sempre.
In quel breve lasso di tempo il borgo diveniva un formicaio. Anche gli abitanti sembravano contagiati della calca, da qualche analista definita ‘isteria collettiva’. Come le formiche vanno e vengono, si toccano appena per poi proseguire il loro incessante movimento – e c’è quella che torna al nido con una pagliuzza più grande del proprio corpo, chi si affanna a salire su una piccola asperità del terreno, chi fa da guardia al nido e non lascia entrare gli intrusi -, così essi incessantemente si muovevano, incuranti di tutto e di tutti.

3. Silvano Braido. Castelli gemelli [4]
Se, per caso, si incontravano parenti o amici, anche se non si vedevano da molto tempo, si salutavano appena con un cenno della mano. Persone anziane arrancavano, zoppicando; fanciulli, con vassoi gravati da tazze e tazzine, si facevano largo tra la folla zigzagando; uomini, per evitare l’assembramento, camminavano, come funamboli, su fili sospesi in aria e donne sudate, affannate, senza trucco, uscivano dagli usci in tutta fretta portando cesti e altre cose e non era raro che inciampavano o andavano a sbattere contro qualcosa o qualcuno. Tutti correvano, facendo passare, inoltre, velocemente da una mano all’altra, carte colorate e ninnoli tintinnanti. Quest’ultimo spettacolo, poi, era così avvincente che nessuno avrebbe osato interromperlo anzi era così attraente che spingeva anche alcune persone a divertirsi alla stessa maniera pur non essendo del luogo.

4. Silvano Braido. L'isola dei vivi [5]

Sembrava che questo caos dovesse durare all’infinito. Invece dopo un po’ di tempo gli abitanti, forse stanchi di tanto frastuono e confusione, stanchi di correre per ogni dove, forse memori della placida e serena vita scandita dai lenti ritmi della natura, decidevano, con un taglio netto, di troncare tutto.

Pertanto dopo aver cacciato via gli intrusi, elevavano barricate e chiudevano tutto con cancelli insormontabili. Se qualcuno spinto dall’amore di cotanta bellezza, temerariamente riusciva a superare tutti gli ostacoli, doveva immediatamente tornare indietro perché non solo trovava un silenzio assoluto (e ciò poteva anche giovare a lenire lo stress della caotica vita cittadina) ma, quello che è peggio, trovava tutto chiuso in un’atmosfera desolante e surreale: né hotel, né bar, solo qualche negozio piuttosto sfornito di merce. Le porte erano così sprangate da sembrare un paese in quarantena. Rari i passanti; i più preferivano stare in casa seduti in poltrona, secondo alcuni per la troppa stanchezza accumulata in precedenza.
Se si chiedeva in giro la causa di un così repentino cambiamento, rispondevano adducendo vari pretesti ma soprattutto tentavano di addossare la colpa agli altri. Così gli avventori di un bar se la prendevano con i proprietari dei negozi; a loro volta questi ultimi se la prendevano con i proprietari degli alberghi; altri con quelli che erano andati via, quasi fuggiti, come coloro che, dopo aver gustato il lauto pranzo in casa di amici, spariscono all’improvviso senza aiutare a sparecchiare e soprattutto senza salutare e così via: gli uni contro gli altri. In conclusione non si sapeva mai chi avesse alzato le “ barricate” e chiuso i cancelli.
5. Silvano Braido. Isola-tronco [6]
Comunque era un vocio sommesso, un parlare senza acredine perché il risentimento ed il litigio era al di fuori del loro costume o per meglio dire non era insito nel loro DNA. Tant’è che ogni anno si ripeteva, come ricorrenza religiosa, la medesima cosa. Soltanto uno di loro, forse ubriaco o colto da improvvisa follia, ebbe l’ardire di affermare che per gli abitanti di quel luogo era bastevole solo e soltanto la confusione in quel breve periodo: per il resto dell’anno aborrivano qualsiasi intruso volendo vivere, finalmente, soltanto nella loro pace.

 

Immagine di copertina e illustrazioni dell’articolo: opere di Silvano Braido

[Fantasticherie. Major e Minor (2) – Continua]