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“Viae per criptam” nella Ponza romana (1)

di Vincenzo Bonifacio
Il tunnel di Chiaia di Luna [1]

 

La presenza romana sulla nostra isola data dal 313 a.C. ma è solo durante il periodo imperiale che furono realizzate le opere più importanti che portarono ad una profonda trasformazione del territorio.
La motivazione principale di un impegno così importante e di un investimento così oneroso in una piccola isola, povera di risorse come Ponza, sembra essere legata alla necessità di creare una base navale per la flotta romana che operava al centro del Mediterraneo.
A questo scopo fu dedicato l’ampio specchio di acqua a levante che ancora oggi è sede della portualità coinvolgendo anche la piccola baia di Santa Maria che, all’epoca, non era ancora stata colmata dai sedimenti apportati dal dilavamento delle colline e dalle correnti marine.
L’antico porto era verosimilmente costituito da diverse sezioni con banchine che erano servite da fonti acquifere provenienti da un gran numero di cisterne e dal lungo acquedotto di Le Forna che arrivava a Santa Maria; inoltre furono realizzate strutture per i servizi tra le quali terme, templi per i diversi culti ecc…

Un tracciato stradale attraversava tutta la baia e proseguiva fino a nord dell’isola; nei pressi del porto l’apertura di gallerie è stata la soluzione per superare i maggiori ostacoli rappresentati dall’orografia.
Non è un caso che tutti e due i tunnel realizzati in epoca augustea (tunnel di Santa Maria e di Giancos) svolgano tutt’oggi la loro insostituibile funzione viaria.

Le gallerie di Giancos e Santa Maria aperte attraverso i promontori della costa orientale garantirono una sicura percorribilità longitudinale dell’isola, in corrispondenza del versante più frequentato; risultarono perfettamente collegati il porto settentrionale localizzato presso l’attuale frazione di Santa Maria e gli approdi del porto meridionale.
La necessità di un collegamento terrestre con il versante opposto dell’isola complementare alle necessità portuali del lato di levante fu alla base della realizzazione del tunnel di Chiaia di Luna.

Tunnel Chiaia [2]

Il progetto originale del tunnel di Chiaia di Luna aperto nel punto in cui i due versanti distavano solo m. 500, prevedeva un percorso a due tratti spezzati, di cui quello orientale sfruttava una vallecola naturale, quello occidentale puntava dritto verso l’estremità meridionale della rada; viceversa il tentativo (fallito) di aggirare un banco di riolite determinò, in fase esecutiva, l’andamento a gomito riscontrabile a due terzi della galleria.
Si tratta di un’autentica “via per criptam” lunga 168 metri.

Planimetria tunnel chiaia [3]Cliccare sull’immagine per ingrandirla

Il primo tratto, frutto di uno scavo in trincea poi in parte ricoperto, ha rivestimenti in tufelli; la sezione successiva cui si accede attraverso un arco è invece totalmente ipogea. Le pareti presentano diverse lacune colmate dai rivestimenti in opera reticolata; tali lacune erano determinate dalla tecnica di scavo: per ottenere il distacco di grandi volumi di roccia erano collocati dei cunei di legno all’interno delle fessure della roccia, in seguito venivano bagnati con l’acqua e l’aumento di volume provocava la frattura delle pareti che, nel caso dei banchi di lava seguiva la direzione di sfaldamento dei grandi prismi di cristallizzazione.

Il tunnel di Chiaia di Luna presentava una soluzione unica nel suo genere, che, grazie alla forma dei pozzi e alla loro posizione, garantiva una illuminazione diffusa al suo articolato percorso: oltre ad un pozzo verticale scavato nella riolite a 40 mt. dall’imbocco occidentale, quasi al centro della galleria si apriva un pozzo a ventaglio da cui si diramavano tre aperture, di cui due oblique e una verticale, quest’ultima sorretta da archi in muratura impostati sulle pareti di volta.
I tipi di rivestimento lungo le pareti, cui ho già accennato, sono i blocchetti in pietra e l’opus reticulatum realizzati tutti utilizzando il tufo flegreo, con i blocchetti di tufo furono realizzati anche gli archi che sostengono la volta anche se quasi tutto il percorso finale ha sezione pseudotrapezoidale.

L’estrema cura che i romani ebbero nelle operazioni di rivestimento si rivela, infine, nei fori risparmiati nelle pareti, interpretabili come nicchie di presa per le percolazioni d’acqua, funzionali a garantire una riduzione della spinta del terreno: in questo tunnel sono definite superiormente da un blocchetto rettangolare di tufo. Le dimensioni della galleria sono in media 2,70 per l’altezza e 2,20 per la larghezza ma uscendo verso la baia le misure aumentano ( per accogliere più luce all’interno); il piano stradale presenta un dislivello tra le due estremità di mt 2,00, comportando così una pendenza del percorso (mt168) pari a circa 1,2%, tale inclinazione era utile per lo scorrimento delle acque, tanto è vero che in epoca borbonica la galleria venne utilizzato per deviare le acque del “Canalone” (i ‘lavi’) all’esterno dell’insediamento urbano.

E’ probabile che questo tunnel servisse a collegare la baia di Chiaia di Luna con il porto principale, poiché quando le navi non potevano navigare a levante si appoggiavano nella zona calma a ridosso, in questo modo la funzione della baia era quella di “refugium”, in pratica l’ormeggio delle navi avveniva in rada ed un eventuale sbarco era possibile sulla spiaggia; in effetti non sono mai state trovate strutture o indizi che potessero giustificare un approdo in banchina.

Baia di Chiaia di Luna

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