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Memoria a colori

di Enzo Di Giovanni

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Oggi è il giorno della memoria.

Ogni anno su Ponza racconta, seguendo il solco di quanto succede su tutti gli organi informativi, anche noi, nel nostro piccolo, dedichiamo qualche riflessione all’argomento.

Ho maturato una convinzione: a me non piace la memoria. Non piace il sentimento che di solito suscita questa parola, quel senso di atto dovuto che si ha nei confronti di oggetti e cronache iconizzate dalla Storia, con una patina di sacralità che sa di stantio, e perciò di inutile.

In questi giorni ho seguito, senza invasioni di campo, il lavoro che Lucia e Ilaria hanno realizzato a proposito del treno dei mille. Ho vissuto le preoccupazioni, i momenti di umana tensione, la paura di non riuscire a rendere il senso profondo del proprio impegno. La ricerca del difficile equilibrio tra la volontà di personalizzare la mostra con un proprio apporto creativo, ed il timore di rischiare di spettacolarizzare un evento che per sua natura voleva e doveva essere crudo, essenziale.

Mi sono poi dedicato ad osservare sguardi e commenti dei visitatori.

Tutti hanno manifestato apprezzamento per l’iniziativa, per la bellezza stilistica delle foto, per lo spirito che aleggiava nelle sale espositive. Ho notato sguardi bassi, quelli che commentavano di far fatica ad affrontare anche visivamente un tale argomento, anche la semplice visione di una divisa SS. Poi un commento di un signore che dopo aver manifestato disgusto per i campi di concentramento ha tenuto a ribadire che Mussolini ha fatto cose buone, forse non è stato capito (sic!).

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Un insegnante ha sottolineato che è istruttiva una visita ai lager. E che le scuole fanno bene a premiare gli alunni più meritevoli con una visita ad Auschwitz. Ho chiesto a mia figlia cosa significasse: mi ha confermato che le scuole pubbliche tendono ad organizzare viaggi-studio per pochi eletti, quelli “meritevoli” perché hanno voti alti. Praticamente due o tre per classe. Sono rimasto turbato, infastidito quasi più che dalle parole in libertà sul duce.

Concepire un viaggio formativo come la visita ad un lager come un “premio”? Ed un premio, oltretutto, non per una sensibilità personale , ma per un 9 in matematica?!

Nella mia concezione, evidentemente obsoleta, un premio al merito (che è antipatico come concetto perché esclude, crea divisioni), lo si attua con una gita a Mirabilandia, con una festicciola a base di torte, con medagliette simboliche.

Una visita ad un lager, no! Quello è un percorso didattico, di educazione civica, non un premio. Dovrebbe diventare parte integrante di un percorso di crescita culturale ed educativa, programma di studio da estendere a tutti. E’ davvero triste che si possa non comprenderlo…

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Triste e pericoloso.

La memoria non mi piace perché tende ad accompagnarsi all’idea di qualcosa che non ci appartiene. Comprendo le paure di Ilaria e Lucia. La tragedia del nazifascismo non la si può impacchettare e rappresentare come una raccolta di francobolli.

Le voglio rassicurare: la mostra è bella. Pochi “addobbi” (se si può considerare tale un riuscitissimo rotolo di filo spinato che avvolge la sala), tanti spazi di riflessione, musica di sottofondo. La parola alle immagini, sia fisse che in movimento.

La memoria non mi piace perché sottintende che riguarda qualcosa che non esiste più, una sorta di archivio, su cui non è necessario vigilare. Le cronache ci dicono che non è così. Il filo spinato alle frontiere, il ghettizzare e l’etichettare i richiedenti asilo, i rigurgiti ultra-nazionalisti: sono di oggi, non hanno la patina del tempo.

Chiudo con un’immagine, regalatami sempre dalla mostra sul treno dei mille: il contrasto visivo tra il bianco e nero ed il seppia delle immagini raffiguranti macerie, forni crematori, poveri resti di oggetti personali ammucchiati in sale-museo, ed i colori vivaci di una moltitudine di ragazzi di varie nazionalità e razze che invadono i campi accompagnati dai pochi sopravvissuti in vita, anch’essi a colori, proprio perché vivi per testimoniare.

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E’ il colore che attualizza la memoria, e combatte gli spettri che ancora si aggirano per l’Europa.