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Che fare?

di Rosanna Conte

i dubbi [1]

Certo, nelle ultime settimane c’è stata una gara a tirar fuori la caratteristica peggiore dal profilo del ponzese, che già di per sè è abbastanza scivoloso.

E’ un razzista al contrario perché ritiene superiore a sé chi viene da fuori; non esprime apertamente i suoi giudizi e le sue opinioni quando teme di subire ritorsioni da chi ha più potere; nei momenti in cui prevede l’attacco si prepara alla difesa rinchiudendosi nella propria famiglia; non si vedono in giro granché di ponzesi che si pongano in maniera attiva e partecipativa alla vita della comunità tanto da far ritenere – cosa molto preoccupante – che Laerte sia senza figli e Telemaco senza padre.
Diamine, siamo così inguaiati!?

Eppure Cesira Fiori, confinata politica a Ponza dal febbraio del 1934 all’ottobre del 1935, scriveva ne 1956: L’atteggiamento dei ponzesi verso di noi era in genere ostile tra i beati possidenti, ma profonda e larga la solidarietà tra la gente umile. Alcuni hanno rischiato la galera per aiutarci in tanti modi.

Cesira Fiori [2]

(Cesira Fiori)

Si vede che allora c’era Ulisse; non era ancora partito per non tornare più.
E Ulisse, allora, non era quel forte guerriero che fece strage dei proci, ma era la gente umile senza potere né danaro che agiva senza timori, pur conoscendo bene le punizioni in cui poteva incorrere , dall’ammonizione, alla perdita del lavoro, al confino. E aveva pure famiglia, e doveva difenderla o no?

Oggi è tutto cambiato e a Cesira risulterebbe difficile distinguere i borghesi dalla gente umile.

Ci siamo tutti imborghesiti dal più povero al più ricco, ci siamo stratificati in ceti distinguibili solo dallo stile di vita, molto radicato nel denaro, e dal prestigio legato, ormai, solo al ruolo sociale, perché anche il valore della cultura è tramontato.
E se vogliamo dirla tutta, è tramontato perché non si può acquistare senza tempo, fatica, impegno e riflessione, elementi non contemplati per soddisfare le aspettative diffuse e propagandate dalla società delle immagini che offre risultati belli e pronti -senza narrarne la storia che li ha costruiti – e, poi, non fa niente se dietro l’apparenza c’è il nulla.
Ma se il solo denaro non dà la cultura, spesso può consentire ad emeriti incapaci di ricoprire ruoli sociali importanti con conseguenze disastrose per i cittadini.
Insomma oggi è ritenuto valido il detto Se non hai i soldi non sei nessuno, ben diverso dal detto dei nostri padri Senza denare nun se cantano messe. Dall’uso del denaro per acquistare di tutto, dal necessario al superfluo, si è passati a considerare il denaro come l’essenza dell’uomo. Così non sono importanti tutti gli altri aspetti che hanno consentito di far nascere le comunità umane – collaborazione, solidarietà, cultura, cura dell’altro ecc- ma ci si realizza solo nell’accumulo di denaro per condurre uno stile di vita quanto più aderente a quello dei più ricchi di noi e che ci faccia sentire a posto nella società odierna.

Se così va il mondo, e la TV ce lo fa vedere quotidianamente facendocelo penetrare nella mente e nelle ossa, vogliamo incolpare solo i ponzesi di pensare al denaro e non alla comunità?

mass-media-e-il-dio-denaro- [3]

Certo a Ponza avvertiamo maggiormente la negatività dell’opzione denaro perché la comunità è piccola ed immediatamente ce ne ha fatto vedere i danni, dallo spopolamento all’economia di rapina.
E se così va il mondo, allora, non c’è niente da fare?  ci faremo trascinare senza reazione alcuna?
E’ qui che sarebbe necessario un Ulisse, come l’intende Franco, capace di comprendere le dinamiche sociali del proprio territorio e, forte del lievito culturale, capace di elaborarne la difesa delineando un campo d’azione che richieda nuove regole, nuovi principi e nuove prospettive.

E si, perché questo mondo che va così, non è che vada proprio bene, anzi, se continua così non avrà vita lunga.
Non vorrei snocciolare, qui, tutti i grandi problemi che oggi viviamo a livello globale, ma forse una piccola riflessione su qualcuno di essi va fatta.
Si parla quotidianamente della crescita della produttività come scopo che i governi devono conseguire, e questo non solo per l’Italia, ma per tutti i paesi del mondo. E’ la globalizzazione che avanza e prima o poi può portare allo scontro.
Le politiche imposte dalla crisi che viviamo ce lo fanno intravvedere molto da vicino.
Per aumentare la produttività ci sono due strade: o si utilizzano tecnologie sempre più nuove ed efficienti – e per la ricaduta sui lavoratori basta guardare a quanto sta succedendo in Cina dove centinaia di operai sono stati sostituiti dai robot e parecchie migliaia si preparano all’espulsione- o si impongono bassi salari consentendo di poter impiegare più persone.
Ma se gli operai guadagnano di meno, se diventano addirittura disoccupati, chi compra la merce intensivamente prodotta?
Certamente saremo destinati a passare da una crisi all’altra o addirittura a vivere in perenne crisi.
Diminuiranno i ricchi ed aumenteranno i poveri? Non so, non ho gli strumenti per delineare società incalzate da crisi economiche, e finanziarie (non ce ne scordiamo, perché il dio denaro ormai si riproduce da solo senza passare per la produzione industriale), ma non mi sento serena.
la globalizzazione perversa [4]

Davanti a questa incertezza globale (e non abbiamo considerato le guerre, il terrorismo, la fine delle risorse energetiche non rinnovabili, l’effetto serra, l’incremento della popolazione mondiale e, non ultima, l’enorme concentrazione di potere che consente la rete informatica..) cosa vogliamo fare?
Vogliamo continuare a seguire il mondo così com’è e dove sta andando o vogliamo cominciare a pensare che forse esistono altre modalità di vita che rifiutano l’idea che il denaro sia monopolisticamente il centro della nostra vita?
Siamo davanti ad un bivio e dobbiamo scegliere.

Forse, con un forte colpo di coda possiamo ancora farlo, ricostruendo l’unico ambiente che consente le scelte, quello della libertà, perché scegliere è un’azione che si può realizzare solo in un ambiente libero, dove l’individuo può assumersi la responsabilità di partecipare, di agire, di trasformare la realtà.

Ovviamente si tratta di una libertà che non è quella semplicistica di spendere i nostri soldi come vogliamo – che, tra l’altro, è anch’essa fasulla perché pilotata dalla pubblicità, dalle mode veicolate dalle TV e serve solo a surrogare una soddisfazione che non possiamo trovare in una società che ci tratta come robot validi solo per gli acquisti- e neanche quella democratica che la politica dice di offrirci, anch’essa ormai avviata sulla strada dell’oblìo, ma è la libertà mentale, quella che solo la cultura e l’intelligenza possono generare.

Se ci liberiamo dai lacci e lacciuoli dei modi di essere in cui siamo imprigionati, uscendo dagli schemi che il bombardamento mediatico ha incastrato nella nostra mente, probabilmente potremmo riuscire a delineare senza condizionamenti i tratti di un mondo più a misura d’uomo e più vicino alle nostre  esigenze.

torniamo umani [5]