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Chi resta a Ponza

di Domenico Musco
Elephant [1]

 

Interessantissimo questo argomento (leggi qui [2]) al quale da anni anche io cerco di dare una risposta. Purtroppo trovare una soluzione è veramente difficile.

Provo a dare alcune risposte basate sulla mia esperienza personale e da qui adattarle alla situazione generale .
Scusatemi se racconto parte della mia vita ma è collegata alla vita di tanti isolani.

Da piccolo facevo le elementari a Ponza ed ero il bambino più felice al mondo; tutto era parte di me, mi sentivo un principe nel mio regno, il territorio, il mare, la strada erano i miei parchi giochi: ancora ho nelle orecchie le grida di mia madre che mi veniva a prendere giù a Sant’Antonio strillando come una forsennata e dandomi schiaffi e pizzichi perché me scurdav’a via d’a casa, perché si era fatta notte e lei era preoccupata.
Non succedeva solo a me! Era un via vai di allucchi di mamme che venivano a prendere i figli!
Levare un bambino da quella felicità era peggio di una coltellata.

Ma la vita è dura e “come per tanti altri” la porta del collegio si aprì anche per me, e a nove anni dovetti lasciare quel paradiso per poter combinare qualcosa a scuola.

Raccontare i miei quindici anni trascorsi fuori dall’isola e lontano dagli amici, fino al termine degli studi universitari, non è facile ma una poesia dell’amico Franco, che ha aperto l’argomento, dà l’idea di cosa si provava: a leggere la sua poesia dal titolo “Quand iamm a piglia’ ’u vapore” ancora adesso mi si stringe il cuore (ascoltala qui [3], dalla voce di Franco De Luca).

Tornai a Ponza a 24 anni ad insegnare e posso solo dire, scusate se esagero, che ero diventato un re.
Avevo ritrovato il paradiso, anzi qualcosa di ancor meglio del paradiso: non mi mancava nulla, avevo tutto .
Chiunque provava solo a pensare di fare qualche critica riguardo Ponza me lo mangiavo, un po’ come faceva ’u compa’ Ernesto che, se udiva voci contrarie alla sua isola strillava e non ammetteva repliche!

Racconto una scena per capire l’altra faccia della medaglia dell’isola .
Ero andato alla nave a fare un po’ di accoglienza ad una insegnante che aveva avuto l’incarico a Ponza. Dopo i convenevoli di rito, quando mi chiese gli orari del traghetto e risposi che c’era una sola corsa al giorno alla povera donna vennero le palpitazioni, scoppiò in un pianto incontrollato dicendo che non poteva accettare l’idea di essere prigioniera per 24 ore! Rinunciò al lavoro e parti il giorno dopo.

Tanti sono stati i docenti che rinunciavano a venire sull’isola a insegnare e tante volte siamo stati noi insegnanti a tenere tutte le classi per mesi interi fin quando non arrivavano chill’a fore.
Lo facevamo con piacere e gioia perché crescevamo i ragazzi, il futuro dell’isola, senza stare a badare all’ora in più o in meno. Spesso, per la materia che insegnavo, ho portato i ragazzi a conoscere l’isola nei punti più lontani, con passeggiate e corse in posti nuovi, insegnando loro l’amore verso la loro terra con le prime giornate ecologiche .
Stavo come dicono adesso i giovani: “da Dio!”.

Ma arriva – come nei film americani dove dopo una scena bella arriva quella drammatica – la chiamata del Provveditorato agli Studi: devo prendere la cattedra di ruolo e non più l’incarico provvisorio!
Ho provato con tutti i mezzi possibili e immaginabili a cercare di restare a Ponza, persino valutando l’idea di rinunciare al ruolo ma è stato impossibile .
Mi ritrovo così a lavorare fuori e a fare il pendolare all’incontrario.

Appena ho potuto sono però tornato a Ponza, inventandomi un nuovo lavoro, purtroppo stagionale, per il quale rimangono molti mesi di inattività. Riempire quegli spazi non è facile .
Si dice che se a un uomo vuoi togliere la dignità gli devi levare il lavoro o umiliarlo mentre lo svolge.

Chiusa la parentesi personale posso dire la mia sul restare a Ponza: chi ha un progetto lavorativo o anche chi non ce l’ha, sull’isola sta benissimo e contribuisce alla vita comunitaria; ma chi per tanti motivi – “tanti” – non ci resta, ha diritto ad essere visto sotto un’altra luce, un po’ come quella professoressa che è scappata.

Credo che tutti – chi per “necessità”, chi per altri motivi, chi non rimane proprio –  hanno a cuore Ponza. Non è disprezzando chi fa scelte diverse dalle proprie che si ottiene lo scettro della ragione .

Credo – è stato detto mille volte – che l’obiettivo serio sia creare occupazione per far sì che l’isola viva. Occorre aprire autostrade e vie preferenziali a chiunque proponga e voglia fare qualcosa, da una semplice manifestazione a delle proposte di lavoro, occorre snellire la burocrazia e velocizzare i tempi di qualunque pratica in modo che si creino senza ritardi soluzioni e alternative per raggiungere gli obiettivi che ci si propone.
Avere progetti comuni, culturali o economici o sportivi, sono le premesse essenziali per far sì che l’isola viva anche d’inverno.

Se però non sussistono queste condizioni, Ponza resta dominio esclusivo di coloro che non hanno la possibilità di andare fuori.