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Razzismo anti ponzese?

di Alessandro Romano (Sandro)
Dogs [1]

 

Luigi Pellegrini con il suo articolo (leggi qui [2]) ha toccato una problematica abbastanza seria che probabilmente caratterizza un po’ tutte le disgrazie che, soprattutto di recente, hanno tormentato la nostra comunità isolana.
Tuttavia non me la sento di comparare le teorie razziste più bislacche, a partire da quelle del criminale di guerra Cesare Lombroso, con le questioni sociali ponzesi. Le teorie lombrosiane furono il pretesto, se non la giustificazione, per massacrare migliaia di meridionali che avevano la sola colpa di assomigliare al “delinquente atavico” da lui stesso disegnato.

Che nella nostra comunità isolana ci siano dei tratti di latente razzismo è evidente, ma è un razzismo sui generis. Naturalmente l’analisi è antropologica e non certo anatomica o morfologica come il Lombroso volle a suo modo dimostrare.
Quindi non il colore della pelle (scuro coreano di Le Forna), la statura (scazzuòppoli degli Scotti) o la conformità del cranio (cap’i ciuccio d’u puorto e d’i Cuonti), ma il luogo di nascita e di residenza, nonché la lingua (dialetto) che si parla.
Conosciamo tutti quella sottile vena simil-razzista che pone un certo distacco culturale tra l’abitatore di Ponza-porto da quello di Le Forna, dei Conti, di Giancos e, addirittura, che traccia una certa differenza tra i residenti degli Scotti-di-sotto da quelli degli Scotti-di-sopra, del Pizzicato o degli Scarpellini. Oppure, peggio ancora, l’antagonismo sociale che marca la differenza tra gli abitanti di Calacaparra da quelli di Vasci’u’campo.
Chi viene da fuori non riesce a notarle certe “diversità”, ma noi invece sì, perché ne siamo nel contempo vittime e autori, purtroppo anche consapevoli. Infatti non è raro che tali divisioni relazionali e culturali assumano aspetti paradossali, se non comici.
Tuttavia c’è una caratteristica che probabilmente è sfuggita anche a Luigi Pellegrini. Il simil-razzismo ponzese ha una “genesi inversa”, cioè esso parte da un patologico complesso di inferiorità che ogni isolano ha nei confronti dell’altro: reattivo se paesano, di ammirazione se forestiero, il famigerato “frastiere”, di cui è perennemente “innamorato”. Quindi siamo noi che, a prescindere, ci sentiamo inferiori rispetto al nostro interlocutore, non il contrario.

Come affermano i più autorevoli antropologi, l’uomo vive immerso nella cultura fin dalla nascita: una cultura fatta di comportamenti, usi, costumi, modo di relazionarsi, di parlare, gesticolare, mangiare; cultura che condiziona noi e che noi condizioniamo e modifichiamo nel tempo.
In altre parole e nello specifico, a Ponza non esiste nessuna questione meridionale né razziale: noi ponzesi siamo vittime di noi stessi. Gli altri, “i frastieri”, non c’entrano.