Ambiente e Natura

Chi è rimasto a Ponza a svernare?

di Francesco De Luca
Ponza. Marina

 

Alla domanda ho già risposto altre volte, collimando con quanto pensano tutti: a Ponza oggi sverna chi non può lasciare l’isola. Per ragioni logistiche, di lavoro, di opportunità. Tutte quelle che impediscono di andare via.

Lo so, altre domande si tira dietro questo ragionare: come mai ci si vuole allontanare? Come fare per fermare l’esodo? Come si è arrivati a questo punto?

Le domande si susseguono in un crescendo che all’inizio segue un filo logico, per tracimare poi nel sociologico, nel politico, nell’affettivo e così via.

Non se ne esce più e, in ogni caso, le domande provocano reazioni sanguigne, di rivalsa, di insoddisfazione. Le risposte fanno male, perché sezionano il corpo sociale: la parte sana da quella infetta, la giovane dalla vecchia, e così via di separazione in separazione. Mi fermo.

Qui invece vorrei riflettere sul fatto che la natura della risposta, la sua matrice, si fonda sull’economia, non su altro. Cioè afferma che la principale ragione per cui non ci si allontana è di natura economica.

La qual cosa la trovo sconcertante. Il paese non ha altre risorse (necessità e potenzialità) al di fuori di quelle economiche. Nessun altro interesse tiene saldi i compaesani se non il fatto che economicamente si è necessitati a dimorarvi. Nessuno si ferma per il piacere, nessuno per diletto, per l’attaccamento, per il gusto. Nessuno trova nella vita isolana condizioni sufficienti per soggiornarvi stabilmente e con soddisfazione.

E’ chiaro che queste ultime affermazioni radicalizzano i concetti, li esasperano ma non inficiano la serietà di quanto detto. Perché? Perché un gruppo sociale non si fonda unicamente su una partecipazione economica; sarebbe una società per azioni non una comunità di persone.

La ragione economica come ragione portante di una struttura sociale è affiancata da altre, di altro genere. Per resistere, rinnovarsi e crescere una comunità ha bisogno di legami parentali, culturali, storici, linguistici, religiosi. Se vengono meno tutti e rimane soltanto quella economica la comunità si è tramutata in una campagine a fine di sussistenza e di lucro.

E’ questa la situazione di Ponza, oggi? La mia conclusione è questa.

4 Comments

4 Comments

  1. polina ambrosino

    11 Gennaio 2016 at 20:22

    Io sono tornata. Potevo non farlo. Mi piace la mia isola, mi piace anche nuda e cruda, che urla il suo silenzio a orecchie sorde. Mi mancava troppo vederla, sentire i suoi odori e sentire sotto i piedi quel rumore di sabbia e umido. E’ durissimo resistere a Ponza… per chi non ha niente da fare e soprattutto per chi non vuole fare niente. Io non ho solo il lavoro, ho degli amici con cui abbiamo passato quasi tre mesi a preparare uno spettacolo teatrale. E siamo a gennaio e non mi sono fermata un attimo… ci sono tante altre persone come me che a Ponza non si sentono in galera nè costretti da obblighi lavorativi. Ponza non è il soggiorno obbligato per moltissima gente. Peggio per chi la vive cosi. Peggio per chi non sa vivere una realtà che, al contrario, è un privilegio. Mancano tante cose, è vero, ma manca lo stress, l’inquinamento, il correre per trovare un posto dove fare la spesa, dove portare i bambini all’asilo. Non c’è da fare file chilometriche negli uffici, non bisogna attraversare una città intera per andare al lavoro. Poi certo devi partire per tutto, per le analisi, per una visita specialistica, per lo shopping… ma lo facevamo anche 40 anni fa… Non so. Il dramma è solo uno: sono troppo pochi i ponzesi che preferiscono la vita isolana, vissuta e non patita. Pochi i ponzesi che amano davvero Ponza… la mia conclusione è questa.

  2. susy scarpati

    12 Gennaio 2016 at 05:40

    Oggi è il 12 gennaio e io ancora non ho capito niente… e mi spiego. Finita l’estate, tra impegni con ‘A casa di Assunta’, di dentista, di Priezza e di Ventoinpoppa mi sento stanca e frastornata ma… fortemente viva.
    Chi dice che a Ponza non c’è nulla da fare vuol dire che non vuole fare nulla. Io vivo la mia isola con gioia, con dolore e con tutti gli altri sentimenti e momenti che la vita ci dona. E sono d’accordo con Polina: vita vissuta e non patita… e come noi ce ne sono tanti… il vento fortissimo che bussa prepotentemente alle porte mi ha svegliato: una bella tazza di caffè dalla finestra ammirando il porto, con il naso quasi incollato al vetro… con la speranza che si calmi in un paio di giorni per correre dalla nuova nipotina Sofia e darle il benvenuto.

  3. Giovanni Conte di Silvano

    16 Gennaio 2016 at 14:09

    Anche io sono d’accordo con Polina e Susy, anche se il mio restare è dovuto al lavoro, non è che mi limito solo a quello, ma mi dò da fare per me e per quei pochi rimasti proprio come Polina, Susy e tutti quelli che fanno vivere Ponza anche d’inverno. Un Grazie a tutte queste persone!

  4. vincenzo

    17 Gennaio 2016 at 11:32

    La domanda e in parte la conclusione di Franco è: “. … la principale ragione per cui non ci si allontana è di natura economica”.

    Franco dice che se io, noi, voi, essi si resta su questa isola è solo perché qui noi abbiamo possibilità di sbarcare il lunario e non perché condividiamo un progetto di vita comune.

    E fatte le dovute eccezioni questa volta devo dargli ragione!

    E tra l’altro se un individuo o un gruppo di individui trova il modo di essere sereno sull’isola questa eccezione non diventa regola a meno che l’esempio dell’individuo o del gruppo non diventi progetto condiviso.

    Ogni individuo fa delle azioni durante il giorno per impiegare il proprio tempo: azioni culturali, creative, ricreative, sociali, lavorative ecc.. ma questo tempo che impiega è vissuto in tante azioni – saltuarie, precarie, provvisorie – di tante sopravvivenze individuali e non certo come fisiologiche, naturali, cicliche operazioni intese a ricreare una esistenza felice sull’isola.

    E infatti come dice Franco: chi rimane sull’isola lo fa senza condividere un progetto di comunità ma solo un progetto individuale economico.

    Quelle azioni sociali, culturali, sportive, religiose, ludiche, che molti attivano nel periodo invernale, rimangono azioni assolutamente utili, assolutamente importanti, ma siccome sono scollegate l’una dall’altra, non raccontate in termini di continuità culturale diventano spettacolo da consumare per passare il tempo.

    Ma una cosa è da ricordare anche a Franco: “è il sistema economico che comunque produce il sistema sociale e culturale: bisogna agire sull’economia per rifondare la nostra comunità e dare continuità al sistema isola!”

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