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La Questione Meridionale (2)

di Luigi Pellegrini
Questione Meridionale. Bandiera

 

Per la prima parte di questo articolo, leggi qui

 

Molteplici furono le soluzioni che vennero proposte da studiosi ed uomini politici nel corso degli anni volte a risolvere la “questione meridionale”.
Alcune di esse le trovo fantasiose, talaltre, considerando ciò che avviene oggi nel nostro belpaese, estremamente attuali. Del resto l’ho già scritto: “la storia si ripete”.
Il Massari ed il Castagnola, ad esempio, mentre erano dediti alle inchieste parlamentari sul brigantaggio, illuminavano le menti altrui spiegando che la miseria aveva un ruolo primario nella nascita della rivolta. Vale a dire: “Popolo, capisco che te stai a muri’ ‘e fame, ma non capisco perché ti rivolti!”.
Altri come il Villari, con estremo acutezza, si soffermarono sulla debolezza delle istituzioni del neo costituito Regno d’Italia, che, siccome giovane e senza un baiocco, o meglio una lira, schiattava in corpo’ con tasse e tributi vari una parte del popolo. Indovinate quale? Conseguenza: insurrezione del ceto popolare.

Benedetto Croce poi, riteneva necessario l’impegno delle classi politiche ed economiche, nazionali e locali, per affrontare e risolvere la questione. Infatti stamm’ ancora aspettann’ che si mettono d’accordo!

Saverio Nitti, in una delle sue divagazioni, pensava che il Sud fondamentalmente non stava così malaccio e se aveva qualche problema, lo stesso era da addebitare esclusivamente alla dinastia dei Borbone che, sempre secondo il Nitti, si divertiva a veder morire di fame il proprio popolo.

E se un popolo affamato chiede il pane, lo Stato che fa? Semplice, gli costruisce ponti e strade. Infatti Stefano Jacini senior, ministro dei lavori pubblici dell’epoca, rispose proprio con la creazione di infrastrutture e con la divisione dei terreni a… chi già li possedeva. Ma siccome dopo due generazioni, non era mutato nulla, ci pensò il nipote a non fare un emerito resto di niente. Sant’Agostino d’Ippona direbbe “Humanum fuit errare, diabolicum est per animositatem in errore manere”. Tradotto ed interpretato da me: “Ma che me ne fotte a me, abbast’ che stong’ bbuon’”.   Questo simpaticone mi ricorda più di qualcuno!

Il Salvemini screditò tutte queste dottrine asserendo che la questione meridionale si poteva risolvere soltanto attraverso un’alleanza degli operai del nord con i contadini del sud. Ma non dimenticò di aggiungere che la colpa è sempre e solo dei meridionali che altro non fanno che piangersi addosso.

Antonio Gramsci evidenziò che la “questione meridionale”, era frutto anche delle gravi carenze delle precedenti amministrazioni spagnola e borbonica. Ora ho capito da quale pulpito attingono gli amministratori quando insediandosi a corte, la prima cosa che dicono è: “la colpa se stiamo messi male è di chi c’era prima”. Però a differenza dei suoi predecessori, il Gramsci indicò una sua personale soluzione, ovvero auspicava la maturazione politica dei contadini attraverso non più la ribellione, ma l’unione comune al fine di sostenere e pretendere i propri diritti. Avanti! Uniti si vince.

Personalmente io mi discosto dalla visione dicotomica fin qui adottata da alcuni storici. Non identifico necessariamente un colpevole. Non abbocco al fenomeno secessionista, tantomeno mi inchino alla volontà dei potenti di creare infrastrutture, cattedrali nel deserto, solo per arricchire economicamente e socialmente la classe benestante.
Trovo utopistico che politici e forze economiche si mettano d’accordo.
Quindi partendo dall’assunto che il divario Nord-Sud non affonda le radici nella storia pre-unitaria – anche se in quella trova, forse, la sua marcata e sistematica esaltazione -, credo fermamente che la soluzione per cercare di “arginare” la questione (?) sia quella di anteporre alla preferenza degli interessi di famiglia (o clan) o se preferite clientelari, quelli pubblici e quindi della comunità.
Ma affinché questo possa avvenire abbiamo bisogno di risvegliare le coscienze critiche in ognuno di noi… Potrebbe essere?

L'appello di Napolitano

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NOTE

Sull’argomento, digitare – Risorgimento e antirisorgimento – nel riquadro CERCA NEL SITO, in Frontespizio. Una serie di cinque articoli del prof. Antonio Fazio

Per un altro filone di ricerca, a cura di Sandro Romano, digitare – Riforma Borbone – nel riquadro CERCA NEL SITO, in Frontespizio

Altre informazioni, sul sito, possono venire dalla ricerca con la parola chiave – Questione Meridionale –

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[La Questione Meridionale. (2) – Fine]

 

1 Comment

1 Comment

  1. Enzo Di Giovanni

    2 Gennaio 2016 at 00:16

    Caro Luigi, chissà…
    Forse i tempi sono realmente maturi per una rilettura scevra da retoriche di regime.
    …O forse no: qualcuno magari ricorderà quando nel vicinissimo (storicamente) 1997 un parlamentare leghista fece circolare in aula un volantino in cui attribuiva a Gramsci uno scritto di esemplare violenza: “i meridionali sono biologicamente degli esseri inferiori, dei semibarbari per destino naturale; se il Mezzogiorno è arretrato la colpa non è del sistema capitalistico o di qualsivoglia altra causa storica, ma della natura che ha fatto i meridionali poltroni, incapaci, criminali, barbari”. In realtà lo scritto era solo stato riportato da Gramsci nei suoi quaderni, ed esprimeva il pensiero culturale dominante nella borghesia del Nord durante l’unificazione risorgimentale!
    Senza farsi tirare la giacca da convenienze partitiche, oggi possiamo tranquillamente affermare che l’unificazione italiana così come manifestatasi con la discesa dal Nord, è stata “semplicemente” una guerra coloniale. Nel senso pieno del termine, a leggere le affermazioni di personaggi come il generale Cialdini, luogotenente di Vittorio Emanuele II che a Napoli dichiarò: “Questa è Africa! Altro che Italia! I beduini, a riscontro con questi cafoni, sono latte e miele”.
    E come in tutte le guerre coloniali che si rispettino, le forze di occupazione adottano sempre le stesse strategie: utilizzare i signorotti locali come base d’appoggio per la penetrazione prima militare poi amministrativa ai danni delle masse popolari, molto più difficili altrimenti da controllare. Così è stato anche al meridione. Se a questo aggiungiamo che l’esercito d’occupazione era quello piemontese, cioè uno stato tra i più arretrati in Europa sotto l’aspetto riformatore, il quadro che ne deriva è abbastanza chiaro. Un quadro da cui è nata la questione meridionale, che stiamo ancora pagando, ben lontana dagli ideali e dalle prospettive di Pisacane e Gramsci.

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