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La pentola a pressione e le idee. (2)

di Pasquale Scarpati
La cage. Disegno di Folon [1]

 

Per la prima parte, leggi qui [2]

Le grandi idee che hanno circumnavigato il Globo ancor prima di Amerigo Vespucci, chiaramente lo facevano con i mezzi che erano propri del loro tempo. A volte percorrevano le distanze molto lentamente comm’ ’na cestunia (la tartaruga marina) direbbe qualcuno; a volte in compagnia di altre idee; a volte venivano sgrossate o ancora venivano adattate ai luoghi e alle situazioni locali. Comunque sia, son sempre riuscite a farsi largo, a farsi conoscere, a diventare un faro che illumina e attira altre idee. E questo anche quando erano nate in un contesto repressivo che voleva zittirle.

Nulla poterono quei signori prepotenti e timorosi delle idee altrui contro tal Altiero Spinelli che, inviato, corporalmente, come moltissimi altri in uno di questi luoghi solitari e, a quei tempi, poco accessibili, pur nella solitudine – guardate un po’! -, partorì un’idea fantastica che è stata messa in pratica e tutt’ora vige.

spinelli-schedaminint copia [3]

La partorì forse camminando, pensoso, tra alcune vestigia di quell’antico popolo che unificò tribù e popoli – con lingua, religione e soprattutto leggi che sono ancora alla base del nostro diritto – donando loro un periodo di prosperità mai avuta prima. E ciò fu possibile per il lungo periodo di pace interna – la pax romana- che permise interventi infrastrutturali – strade, acquedotti, porti ecc. – ma anche un’ampia circolazione di idee.

Anche allora la disponibilità ad accogliere le idee distanti dalle proprie non fu sempre uguale; alcune idee nuove furono combattute, ma poi o furono accettate o si imposero da sole.
Così sembra che la storia si ripeta: “No, si ricicla” – direbbe qualcuno.

Ma forse, Altiero Spinelli partorì la sua idea assiso su di una pietra, tra le verdi ginestre dai fiori gialli, olezzanti, circonfuso da cielo e mare, quasi sospeso nell’aria. Da lì, volgendo lo sguardo sull’ampio pelago, vide che, all’interno o ai margini del liquido orizzonte, vi erano alcune terre che, pur essendo un pochino diverse le une dalle altre, erano comunque unite da quella massa liquida.

Il mare da sempre ha unificato le genti e, nel corso dei secoli, è stato costantemente solcato da battelli, prima di legno e poi di ferro che le avevano collegate portando, come sempre accade, un po’ di tutto: il buono ed il cattivo.

Non poteva quel mare, perciò, isolare il nostro ideatore che dovette, invece, esserne stimolato.

Così dal suo “castigo” nacque quella grande idea nota a tutti come Il Manifesto di Ventotene.

Manifesto d Ventotene [4]

Qui mi vien voglia di fare una digressione che mi sembra anche una seria riflessione.

Un manifesto è un proclama, ma è anche il “ cartellone” su cui si scrive e che il più delle volte si attacca o si appiccica sulle porte o sui muri.

Qualcuno, pur non essendo napoletano, interpreta la parola “appiccicare” secondo il dialetto partenopeo, nel senso di litigare, e l’applica anche a qualsiasi idea che venga manifestata, ritenendo la polemica la condizione naturale del pensiero.
Manca della capacità di cogliere la bellezza della coesistenza di idee diverse, tutte ‘mparanz. Ah, il dialetto!

E non è tutto.

Se vogliamo, quel semplice pezzo di carta è riuscito ad appiccicare delle idee formidabili nelle menti che ha raggiunto, ottenendo, più delle cannonate e delle stragi di una guerra, l’abbattimento dei confini.

C’è poco da fare! Più reprimi le idee, più escono forti e belle.

Più vuoi mantenere solo le tue, ristrette e striminzite, più prendono piede quelle ampie e includenti.
Eh, la pentola a pressione riesce a tenere solidi e liquidi bloccati, ma la mente dell’uomo non è una pentola e troverà sempre una valvola poco funzionante da cui far uscire quello che le bolle dentro.