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La pentola a pressione e le idee. (1)

di Pasquale Scarpati
Pentola a pressione [1]

 

Una volta, affacciandomi alla finestra, da bambino, avvertii uno strano fischio proveniente dalla prima curteglia del vicino palazzo Irollo; quella, per intenderci, posta al piano inferiore, che faceva e fa angolo con l’inizio della salita della Dragonara e a cui si accedeva e si accede anche da Corso Carlo Pisacane.

Era un suono lungo, continuo, sibilante e piuttosto inconsueto: sapeva di meccanico più che di umano.
Il fenomeno si ripeté per diversi giorni ed io non riuscivo a capire cosa fosse.

Un giorno Filomena, che aveva la salumeria proprio sotto la curteglia in questione e l’abitazione sopra, ed era, quasi sempre, la prima persona che incontravo quando uscivo di casa, mi chiarì il mistero: era il fischio emesso dalla valvola della pentola a pressione usata da Filomena ’i Franch Feola .
Certamente doveva averla portata dagli Stati Uniti, perché non credo fosse un utensile comune in  quei tempi.

Zia Malvina, che abitava nella curteglia superiore accanto a Filomena, a sua volta aggiunse, non senza apprensione, che quello era un utensile pericoloso: “Se quella valvola si attappa, la pentola diventa commena bomba e scoppia!.
A distanza di tanti anni credo che sia ancora l’immagine più appropriata per far capire la pericolosità della repressione delle idee.
Ogniqualvolta che qualcuno ha tentato di reprimerle, esse o sono fuggite come fugge il fumo sottile che si sprigiona dal forellino della pentola, oppure sono deflagrate provocando uno sconquasso fino al punto da cambiare il corso della storia o da incanalarla verso una certa direzione.

A tal proposito nel corso della vita mi hanno raccontato questa “storia”.

In un’epoca senza tempo, alcuni signori, forse oberati da troppi pensieri, non gradivano che ai propri si sommassero i pensieri degli altri.
Volevano vivere e far vivere nella pace da loro creata e così un certo imperatore francese appena salito al trono disse “L’empire c’est la paix” (l’impero vuol dire pace e si trattava del suo impero), e poi… fece una serie di guerre fin quando non fu sconfitto e mandato via.
Questi signori hanno sempre cercato con le buone, ma soprattutto con le cattive, di allontanare o eliminare quelli che, per loro, erano incubi che non li facevano mai riposare né di giorno né di notte.
Cercavano, in tutti i modi, di nasconderli oppure, possibilmente con vari espedienti, di renderli eterei, evanescenti praticamente “fantasmi”. Senonché i “cattivi” pensieri, proprio perché “cattivi”, hanno questa peculiarità: sono come la gramigna, l’erba infestante che non solo è difficile da distruggere ma rapidamente si propaga.

Ci fu qualcuno che, memore dell’ambiente contadino in cui era cresciuto, amava “scapuniare” (togliere i “nipoti” dalle viti) tutti quelli che osavano proferire parole “cu’ ‘nu suòn’ curiùse”, cioè quelli che si esprimevano in modo diverso da lui. Poiché non riusciva a capire il loro pensiero – e si sa una delle cose più brutte a questo mondo è quando non si capisce ciò che gli altri dicono, un po’ come quando si va in un Paese di cui non si conosce la lingua – decise, quando non li poteva sopprimere del tutto, di inviarli corporalmente, “volenti e soprattutto nolenti”, in luoghi allora remoti.

A questo proposito, buttando fiumi d’inchiostro, alcuni hanno avanzato varie ipotesi: politiche, economiche ed altro; io, invece, penso più semplicemente che il suo timore fosse giustificato dal fatto che quelli avrebbero potuto adoperare pensieri, tradotti in parole, a lui sconosciuti al fine di sovvertire ciò che lui faticosamente aveva creato. E si sa: è naturale che ognuno vuole bene e non vuole perdere ciò che ha creato.

Pertanto quel qualcuno ritenne un atto dovuto inviare lontano chi non pensava e parlava come lui..
Ma l’ignoranza gioca brutti scherzi!
Così inviò colà, in pesanti ceppi, dei corpi che, a loro volta, avrebbero dovuto essere sorvegliati da altri corpi.

Mi torna in mente un’immagine.
Da bambino, quando ’u vapore’si fermava, in rada, nei pressi dello Scoglio di S. Stefano, qualche volta vidi salire da una grossa barca, persone che avevano ai polsi bacchette di ferro, unite forse da una catena. Queste erano scure, grosse: davano l’impressione di essere molto pesanti. In compenso, però, erano delle persone “privilegiate” perché sedevano in un posto appartato, esclusivo, a loro riservato!

Confino [2]

Confino sulle isole [3]

Ma tornando al nostro racconto…
I secondi corpi, poverini, erano “costretti” ben due volte (oserei dire, passatemi il termine matematico: costretti al quadrato): primo perché anch’essi erano co-stretti cioè relegati in luoghi remoti, il secondo perché costretti (obbligati) a stare costantemente ’i lese (all’erta) per evitare che i primi corpi si dileguassero come “munacielli”. I corpi, dico, non le idee.

Queste infatti – le idee -, hanno due immense (e particolari) capacità: possono essere concepite in qualsiasi luogo, anche il più remoto, il più brutto che ci sia, il più tenebroso e chi più ne ha più ne metta e soprattutto nessuno può proibire il loro concepimento né può sorvegliarle a lungo: prima o poi scappano e vanno in giro per il mondo..!

La cage. Disegno di Folon [4]