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La donna che voleva essere marinaio. Una storia-collage

una co-produzione Luisa Guarino – Sandro Russo
master-and-commander [1]

 

Questa è un collage di storie, di una poesia ‘scoperta’ da Luisa in uno dei primi libri di Giorgio Faletti (“Niente di vero tranne gli occhi”; 2004); della storia che ‘poteva esserci’ dietro, opera di una sconosciuta scrittrice del web (Temperance); della canzone che canta Milva sul testo di Faletti.
Montaggio di S. Russo.

 

Remember Hope Willow si sedette sul sottile molo di legno, lasciando che i bordi delle sue gonne sfiorassero il pelo dell’acqua, appena increspato dalla brezza serale.
I suoi occhi, azzurri e sereni come un cielo di maggio, accarezzavano con affetto le sagome dei velieri attraccati nel porto, cogliendo ogni particolare di quei colossi di legno, corda e stoffa che amava fin da quando era bambina.

Peccato che il suo fosse un amore tutto sbagliato.
Strinse tra le mani il foglio che si era posata sulle ginocchia, pensando a ciò che le dicevano sempre i suoi genitori e gli altri adulti.

“Il mare non è per te, Remember. Una ragazza per bene deve pensare a sposarsi, ad occuparsi della casa….”

La giovane sospirò, intingendo il pennino nel calamaio posato accanto a lei, accanto ad una bottiglia vuota, a una candela e ad una confezione di ceralacca.

Ogni giorno leggeva di donne pirati, nate dalla penna di qualche scrittore che sognava di quelle stesse onde che lei vedeva ogni giorno senza mai poterle ammirare dal ponte di una nave. Quelle donne coraggiose e fiere erano i suoi unici modelli di vita, tutto ciò che avrebbe voluto essere ma che mai sarebbe potuta diventare.
Con un po’ di immaginazione, riusciva persino a vedere con i loro occhi, occhi che ben conoscevano quel mondo misterioso e selvaggio che si estendeva al di fuori della sua piccola isola.

Eccola, ora, Marianna, la Perla di Labuan, forte e sicura al fianco del suo Sandokan, pronta a morire per una vita più libera.

E poi la Regina dei Carabi e il Corsaro Nero, ritti sul ponte della Folgore, e ancora, loro figlia Jolanda, perduta nella jungla, lontana da tutto e tutti, ma sempre decisa a non arrendersi mai.

Con uno sbuffo leggero, Remember tornò al presente.

Possibile che non esistesse un modo per rendere quel sogno realtà?
Eppure lei amava il mare, ne conosceva tutti i segreti, ogni pericolo e ogni meraviglia meglio di molti che sulle navi ci vivevano da anni, ma era relegata lì, sotto la sorveglianza di quella sua noiosissima balia, i cui unici argomenti di conversazione erano trine e merletti e che inorridiva al solo nominare una storia di pirati.

Sapeva che da lì non sarebbe mai potuta fuggire, così aveva deciso di donare al mare almeno una parte della sua anima che, in fondo gli apparteneva un po’ da sempre.

Silenziosamente, ascoltando il suono ritmico e mai uguale delle onde che si infrangevano sotto al molo, cominciò a tracciare lettere eleganti e sottili sulla filigrana chiara.
Scrisse e scrisse fino a riempire il foglio con tutte quelle parole di cui il suo cuore traboccava ma che mai nessuno voleva ascoltare perché erano sconvenienti, inadatte a lei.
Il risultato fu la più dolce delle canzoni d’amore ed il più appassionato degli inni alla vita, poiché proprio di vita era intrisa.
Di una vita che, forse, non avrebbe mai visto davvero la luce.

 

Adesso soltanto adesso
che il mio sguardo sposa il mare
faccio a pezzi quel silenzio
che mi vieta di sognare
file di alberi maestri e mille e mille nodi marinari
e tracce di serpenti freddi ed indolenti
con il loro innaturale andare
e linee sulla luna che nel palmo ognuna
è un posto da dimenticare
e il cuore questo strano cuore
che su una scogliera già sa navigare.
Adesso soltanto adesso
che il mio sguardo avvolge il mare
io capisco chi ha cercato le sirene
chi ha potuto il loro canto amare
dolce nella testa come il giorno
della festa i datteri col miele
e forte come il vento che si fa tormento
e spezza il cuore agli uomini e alle vele
e allora non c’è gloria o voglia
che si possa bere oppure masticare
né pietra di mulino a vento
che quel sasso al cuore possa frantumare.

Messaggio bottiglia.2 [2]

(100 ANNI DOPO)

Connor Slave camminava annoiato su quella spiaggia sempre uguale che conosceva da ormai troppo tempo perché fosse ancora per lui fonte della benché minima ispirazione.

Forse era davvero giunto il momento di cambiare aria. Era da un po’ che rimuginava sulla proposta del suo agente di trasferirsi a New York. Città nuova, sensazioni nuove… E una vicinanza di gran lunga maggiore alla casa discografica che non era da sottovalutare.

Sì, avrebbe decisamente fatto meglio ad acchiappare quell’occasione al volo, per quanto non trovasse i gelidi inverni newyorkesi particolarmente invitanti.
Beh, pensò, sorridendo fra sé, forse la neve gli avrebbe riportato quell’ispirazione che gli mancava ormai da mesi.
Forte di questa sua nuova convinzione, cominciò a giocare con la sabbia, prendendo a calci le microscopiche dune formate dal vento. Andò avanti così per un po’, prima di colpire con il piede qualcosa di duro che, però, al tatto non gli parve un sasso.

Si chinò a rimuovere la sabbia che ricopriva l’oggetto incriminato, ancora ignaro di aver trovato un potenziale tesoro.
Era una bottiglia.
Una bottiglia all’apparenza molto, molto vecchia, incrostata di sabbia e alghe e sigillata con un’abbondante quantità di ceralacca.
Chissà per quanto tempo aveva riposato indisturbata sotto la sua calda coperta colore del sole…

Quell’incontro originale ed inaspettato riportò Connor alle storie di pirati che era solito raccontargli suo nonno e fu preso da un’incontenibile smania di svelare il segreto celato dietro ai vetri di quella piccola prigione.

Estrasse dalla tasca il coltellino svizzero che portava sempre con sé e si sedette sulla sabbia cocente, senza curarsi minimamente della sua temperatura.
Piano piano, rimosse completamente la cera e tolse il tappo, anch’esso ricoperto di sostanze che chi vive vicino al mare conosce bene.
Dentro alla bottiglia non c’era altro che un involtino di carta ingiallita dal tempo, ma conservata straordinariamente bene.

Connor lo srotolò, trepidante pregando che le parole che vi erano state scritte non si fossero sciolte nell’immensità del Pacifico prima di raggiungere la spiaggia.
I suoi occhi si illuminarono come quelli di un bambino davanti ai regali di Natale, quando vide che erano ancora tutte lì, nero su bianco, che aspettavano solo che qualcuno le leggesse.

Non c’erano date e il breve componimento iniziava subito, senza nemmeno un titolo.

“Adesso, soltanto adesso
Che il mio sguardo sposa il mare
Faccio a pezzi quel silenzio
Che mi vieta di sognare…”

Già dopo quei primi quattro versi, Connor Slave si rese conto che quello che stringeva tra le mani aveva tutti i requisiti per diventare il successo più grande della sua carriera.
Poteva sentire la vita dentro a quelle parole, percepire la passione vibrante con cui erano state vergate, voce silenziosa di un sogno forse mai realizzato.
Alla fine della poesia campeggiava una breve nota, seguita da una firma.

“Sperando che tutto questo possa diventare realtà,

R.H. Willow”

Connor si alzò di scatto, stringendo ancora il foglio tra le mani e iniziò a correre verso casa.
Avrebbe scoperto chi era o chi era stato R.H. Willow.
L’avrebbe scoperto e poi avrebbe regalato i suoi sogni al mondo.

Faletti. Niente di vero tranne gli occhi [3]

CANZONI E SIRENE
Ad appena due settimane dal lancio, il nuovo singolo di Connor Slave è già campione d’incassi

Spopola, tra giovani e non, l’ultimo, strepitoso successo di Connor Slave, astro più splendente della musica targata USA degli ultimi anni.

Dopo mesi di silenzio, la calda voce del cantante violinista è finalmente tornata a far parlare di sé con questo pezzo struggente e malinconico del quale l’artista ha scritto, però, solamente la base musicale.

Non è tutto talento di Connor Slave, infatti, quello che anche questa volta è riuscito a fargli vendere milioni di dischi in pochi giorni.

Il testo riportato è stato, a quanto pare, ritrovato dal cantante durante una passeggiata sulla spiaggia e ha all’incirca cento anni.

Accurate ricerche hanno infatti dimostrato che le parole di “Canzone della donna che voleva essere marinaio” furono scritte da Remember Hope Willow, prima donna comandante della marina britannica, durante gli anni della sua giovinezza sull’isola dei Carabi di cui il padre era governatore.

Vi invitiamo ora, se non l’avete già fatto, a leggere questo antico e meraviglioso testo e la dedica allegata, viva testimonianza che anche i sogni impossibili, a volte, si avverano.

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Ascolta qui: Canzone Della Donna Che Voleva Essere Marinaio

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Nota del montatore
Se non avete mai sentito nominare Connor Slave, non cercate in internet un cantante rock con questo nome: non è mai esistito. È un personaggio minore del secondo libro di Giorgio Faletti “Niente di vero tranne gli occhi” che nella finzione del romanzo trova un messaggio in una bottiglia e ne fa una hit di successo.

Neanche Remember Hope Willow esiste: è l’elaborazione di una scrittrice del web che si firma Temperance sul sito http://www.efpfanfic.net/ [5]

Infine la canzone cantata da Milva: è tratta da un album In territorio nemico” pubblicato nel marzo 2007, interamente scritto e prodotto da Giorgio Faletti: un disco molto particolare sia per il tema – l’esplorazione di territori nemici in ogni accezione, anche sul piano psicologico -, sia per la poeticità dei testi, cui la cantante regala un’atmosfera incantata, piena di suggestioni.