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Storie da fine del mondo

di Sandro Russo
New York-Paris [1]

 

La prima volta che ho pensato: – Ecco, stavolta ci siamo! – ero all’estero, in un posto dove le informazioni arrivavano con difficoltà; solo una volta al giorno avevo accesso al giornale ‘on-line’ e potevo aprire la posta; ma il collegamento era spesso interrotto. Così, prima di saperlo in qualunque altro modo, ebbi la notizia dell’attentato alle Torri gemelle attraverso le mail concitate e angosciose dai miei amici in Italia: nelle prime ore nulla era chiaro e una rappresaglia americana sembrava probabile e di ignota portata.

Così mi scrisse in quelle prime ore la mia amica Michela:

Caro Sandro, le notizie dal mondo sono terribili ed il conflitto palestinese è straripato in America, non so se ti do un’anteprima ma le Torri gemelle sono state distrutte cosi come altri edifici in America con molti morti e feriti. Siamo tutti sgomenti e le immagini sono terrificanti. Volevo dirti altre cose ma te le racconto un’altra volta.

Sarà un caso, oppure il bisogno di contarsi e stare vicini nei momenti difficili, ma non ho mai ricevuto così tante lettere e messaggi dall’Italia come in quei giorni…

 

La motivazione di questo scritto è mostrare come l’arte – letteratura, arti pittoriche, cinema – ha interpretato e illustrato comportamenti che con difficoltà riusciamo a capire ed accettare.

Quando succede un dramma, un lettore addestrato alla fantascienza – fs o anche sf – science fiction – non parte da zero, sgomento, come tutti gli altri: questo è il suo campo specifico e la fs apocalittica è uno dei filoni più frequentati di questa letteratura ‘di nicchia’. E gli ritornano alla mente una serie quasi sterminata di possibili finali di partita.
Certo, il passaggio dall’ipotesi fantastica alla realtà è traumatico e pauroso, ma almeno lui sa bene di cosa si parla.

Ritorna il cumulo di ricordi delle tante uscite di scena del genere umano, da tutte le storie lette e viste al cinema. Le varie ipotesi della fs cosiddetta ‘catastrofica’ (…quella ‘degli anni d’oro’, dagli anni ’30 alla metà degli anni ’50 e quella del dopoguerra, con Autori come James G. Ballard, John Christopher, Charles Eric Maine, Thomas Disch. Philip K. Dick, un’epoca in cui il mondo e l’immaginario popolare erano attanagliati dalla paura della “Bomba”).

Così nell’occasione della distruzione delle Torri gemelle, pensando agli scenari di una terza guerra mondiale, molte delle immagini che mi passarono per la mente venivano direttamente da un film che avevo visto: ‘L’esercito delle 12 scimmie’ di Terry Gilliam (1996), con Bruce Willis e Brad Pitt.
Nel film, con l’umanità scomparsa per effetto della diffusione di un virus letale perpetrato da una setta di pazzi fanatici, i pochi superstiti giocano una carta disperata (e appunto fantastica): mandare nel passato un uomo che cerchi di cambiare gli eventi in modo che la catastrofe non si verifichi.

L'esercito delle 12 scimmie. Locandina [2]

Con delle importanti variazioni della sceneggiatura e altri cambiamenti imposti dal genio visionario di Terry Gilliam, il film è ispirato ad un’opera precedente, un piccolo film di soli 28 min., del 1962 [‘La Jetée’, di Chris Marker; Francia): un capolavoro assoluto, una pietra miliare del cinema fantastico che paradossalmente non è fatto di immagini in movimento, ma di fotogrammi staccati uniti da una voce narrante… ma che restituisce per intera quella sensazione di angoscia di una fine del mondo possibile, immanente, identica a quella vissuta nei giorni intorno all’11 settembre 2001.

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YouTube player

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La Jetee. All'aeroporto [3]

La storia è limpida ed essenziale: i pochi superstiti di un presente post-atomico cercano, dal momento che lo spazio è precluso, di mandare un loro emissario attraverso il tempo a chiedere aiuto agli uomini del futuro… Un esempio di sintesi e ricchezza espressiva associati ad una presentazione originale (assenza di movimento, ma singoli fotogrammi ad illustrare la vicenda; voce narrante ‘fuori campo’; le emozioni, rigorosamente bandite dalle parole, che stillano dai fatti e dalle immagini).

Chris-Marker-La-Jetee-1962 [4]
Vi ritornano immagini del passato, guardate – dal protagonista che ci parla da una terra ‘post-atomica’ – con la nostalgia che si ha per le cose scomparse “…un mattino in tempo di pace. Una stanza in tempo di pace, una stanza vera. Bambini veri… Uccelli veri… Gatti veri… Tombe vere.”

La-Jetée-3 [5]

E viene anche in mente un film su un futuro neanche troppo lontano, in cui in un’umanità disperata – per la sovrappopolazione, la scomparsa di spazi e di forme di vita animali e vegetali – i vecchi rimasti scelgono una dolce morte e la gente, ossessionata dal fabbisogno alimentare, arriva a mangiarne i cadaveri, spacciati per tavolette di soia [è un film del 1973, “Soylent green” (Semi di soia verde), di Richard Fleischer, presentato in Italia con il (brutto) titolo “2022: i sopravvissuti”, con Charlton Heston e Edward G. Robinson].
Il film non è granché, ma si esce dal cinema e ci si ritrova ad assaporare l’aria, a guardare il cielo e gli alberi con altri occhi..!

Soylent-green-poster [6]

Vorrei ricordare anche un vecchio racconto di Robert Heinlein (“L’anno del Jackpot”, del 1951: siamo agli inizi della Guerra Fredda e dell’incubo atomico…).

Qui si racconta di uno studioso di statistica (Potiphar Breen) che da anni va raccogliendo ritagli di giornali, eventi strani e fatti apparentemente sconnessi che si verificano nel mondo, nel tentativo di dar loro un significato unitario. In effetti l’umanità sembra un preda di una follia, inspiegabile e sempre più diffusa che dai grafici dello scienziato sembra in collegamento con una abnorme attività delle macchie solari. A Potiphar tutta la situazione fa venire in mente il comportamento dei lemming, quei piccoli roditori della tundra protagonisti di migrazioni in massa, a volte suicide, quando la sovrappopolazione o la diminuzione delle disponibilità ambientali le rendono necessarie.

Poi cominciano a scoppiare le bombe atomiche sulle principali città americane…

Lemming.1 [7]

I lemming sono piccoli roditori della tundra artica, noti compiere periodicamente migrazioni di migliaia di individui quando il sovraffollamento del loro habitat diventa critico con conseguenti difficoltà alimentari.

Questo fenomeno è stato a lungo considerato un “suicidio di massa” ed ha ispirato una facile metafora con analoghi comportamenti umani, dando luogo al luogo comune del “comportamento da lemming” [anche Primo Levi si basò su questo fatto per scrivere il racconto Verso occidente, contenuto nella raccolta Vizio di forma del 1971].

Lemming. Mano [8]

Studi successivi hanno accertato la non veridicità scientifica di questi suicidi che deriverebbero – ironia delle situazioni: quando la finzione sopravanza la realtà! – da un “documentario” del 1958 della Disney intitolato White Wilderness (e di uno ancora precedente del 1955), che include varie scene di lemmings che sembrano buttarsi da un’alta scogliera.

Ma l’immaginario occidentale è segnato da questa metafora – basti pensare alla fiaba tradizionale tedesca, trascritta, fra gli altri, dai fratelli Grimm (vissuti tra il 1785 e il 1859: “Il pifferaio di Hamelin”.

Il pifferaio di Hamelin. Bis [9]

Gruss aus Hameln [10]

Con i fatti recenti siamo all’ennesima ‘botta di pazzia’ del genere umano per cui un’analisi approfondita certo sarà in grado di fornire correlazioni, antecedenti e reciproche responsabilità, ma la sensazione al momento è quella di star ballando sull’orlo di un baratro.

 

C’è un seguito. Nel 2022 è stato pubblicato: Storie da fine del mondo.2 [11]. Leggi