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Scrivere il dialetto ponzese. Una risposta

di Sandro Russo
Bruegel. Torre di Babele. 1563 [1]

 

Sono, dei redattori di questo sito, quello che fin dall’inizio si è più interessato al dialetto.

Si può dire che il sito è nato proprio intorno al dialetto come identità culturale… Cominciammo a parlarne già da prima che il sito nascesse, agli incontri in piazzetta a Le Forna con Mario Balzano e le sue riproposizioni critiche delle canzoni dialettali: (leggi qui [2]).

Continuammo a dibattere del dialetto alle riunioni conviviali che facevamo a Lanuvio, dalle quali maturò l’idea di un sito web: Mario Balzano, Gennaro Di Fazio, Giuseppe Mazzella, Sandro Russo e Gino Usai padri fondatori.

Nato ufficialmente il sito (6 febbraio 2011), riportai quelle note in un primo articolo (leggi qui [3]):

Successivamente, a sito in espansione/evoluzione e con il problema sempre attuale, condensai le conoscenze al momento in un articolo che in parte riprendeva il precedente; non fu contestato dalle persone più interessate al problema, quindi lo considerai fondamento e guida per il futuro: leggi qui [4].
Non dovrei declinare ascendenze o competenze particolari a parlare del dialetto ponzese, oltre al fatto che è la mia ‘lingua madre’ – nella varietà Ponza-porto, sub-species ‘via Nuova’ (nonno ponzese, Ciccill’ Zecca e nonna fornese, Natalina Romano ’i vasci’u Camp’) – che certo sarà diverso dal dialetto parlato ’ncopp’i Scuott’ o ’ncopp’i Cuònt’, per non parlare poi di quello d’i Forne. Tali sono le micro-variazioni locali del dialetto parlato (…e non abbiamo ancora detto del dialetto scritto!).

Credo di essermi sensibilizzato al dialetto fin da piccolo, quando, nelle mie migrazioni stagionali tra Ponza e Cassino, dovevo stare particolarmente attento a non lasciar trapelare tracce di ‘cassinese’, non appeno arrivavo a Ponza (e viceversa), pena il feroce sfottò degli amici.

Sono stato in mezzo al dialetto – ai dialetti di tutt’Italia – nei cinque anni passati alla Casa dello Studente di via De Lollis a Roma, dove imparai il calabrese e il siciliano, soprattutto.

Tornano le teorie del dialetto, nella mia vita, con l’avventura di Ponzaracconta, gli esami di dialettologia di Martina, con cui ho condiviso il libro di testo (“Introduzione alla dialettologia italiana” (leggi qui [5] i tre articoli seguendo i link); e con un bel libro sul dialetto procidano – “Il vèfio” (leggi qui [6], i due articoli relativi) – regalatomi da Rosanna Conte (grazie!).

Come che sia, il dialetto è uno dei precipui interessi del sito, e non è un caso che le voci che ne trattano – poesie, testi, teorizzazioni – assommino a più di 230 articoli (!) [digitare – dialetto – nel riquadro “Cerca nel sito”]: senza dubbio il corpus maggiore di scritti in dialetto e sul dialetto ponzese esistente.

Se parlare il dialetto è un’esperienza viva, che si modifica anche, nel tempo, per contaminazioni di diverso tipo, altrettanto lo è ‘scrivere’ il dialetto.

Sul sito fin dall’inizio stiamo proponendo una modalità di scrittura coerente con i principi esposti nel diversi articoli soprariportati, in modo che si sia una base comune condivisa.
Il confronto è essenziale.

Sono d’accordo con Carmine Pagano (leggi qui [7]) nel condannare la babele di modi che si vede su Facebook e nel sottolineare l’eredità del napoletano e dei grandi che in questa lingua hanno scritto (Raffaele Viviani, Salvatore Di Giacomo, Eduardo, Totò). Dirò di più: ho avuto belle conferme della giustezza del nostro modo ‘fonetico’ di proporre il dialetto scritto nell’ultimo libro di Wanda Marasco (proposto da Rita: Il Genio dell’Abbandono [8]).

Non sono d’accordo con la “lezioncina” del commento [9] di Franco Schiano: “Secondo me questa bellissima poesia andrebbe scritta così…”.
Dov’è questa gran differenza, Franco, tra la versione proposta dal sito:

Me ciat’ ’nfaccia
cu’ ’na resàt’ ’i vita
I’ aràp’ all’uocchie
e ripiglie a campa’
T’aggie criàt’ e cresciùt’
c’ammore,
poi aggie ditt’:

…e quella tua che gran parte delle nostre indicazione riprende e se ne differenzia solo per l’introduzione della ‘e’ muta? E di quali ‘canoni’ parli, per il ponzese scritto?

Me ciate ’nfaccia
cu’ ’na resàte ’i vita
I’ aràpe all’uocchie
e ripiglie a campa’
T’aggie criàte e cresciùte
c’ammore,
poi aggie ditt’…

Quanto al dialetto dei pezzi di Sang’ ’i Retunne, esso deriva dall’interazione stretta e fruttuosa tra l’‘ittico’ (come dice Rita) e il sottoscritto, nel quadro di una collaborazione di reciproca fiducia che in nessun modo riguarda i contenuti dei pezzi, ma solo la loro forma: non “polacco-cecoslovacco”, ma profondamente ponzese, secondo noi della Redazione e l’ittico suddetto.

E questo è quanto: chest’è!

Scoglio rosso. Rosso copia [10]

 

Immagine in apertura articolo: Pieter Bruegel il Vecchio. “Grande Torre”. 1563 (Kunsthistorisches Museum di Vienna)