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Quando ’i ’vvaccine… (2). ’A capa e ’u ’ssivo

di Silverio Guarino
Teschio di bue spolpato [1]

 

’A cap’i vaccìn’
Tutti eravamo a conoscenza che gli scuncilli (carusolo o murice, gustosissimi per i palati di fini intenditori, tra i primi, quello di mio padre) fossero delle piccole iene del mare, sempre attente a ripulire dai pesci morti e dalle loro carogne i fondali marini.

Quando riuscivamo a catturarne nuotando con maschera e pinne più di qualcuno, era spesso perché ne trovavamo molti, tutti insieme intenti a “succhiare” la lisca di un grosso pesce.

Non tutti sapevano che gli scuncilli potevano essere catturati mettendo loro a disposizione qualche osso di vaccina da poter spolpare sott’acqua.

Io ero tra quelli e, avendo a disposizione uno zio macellaio (zio Tatonno ’u ’ianchiér’) e la sua macelleria (’a ’chianc’), non mi mancavano certo le occasioni per poter ottenere qualche osso da utilizzare per la cattura degli scouncilli.

Sì, “vabbé”, ma quale osso? Bacino, femore, costole, colonna? Il migliore, per qualità, quantità di superficie a disposizione e per maneggevolezza di utilizzo, era la testa dell’animale, ’a capa, ’a cap’i’vaccìn’, insomma.

E così, dopo essermi “prenotato” per tempo da zio Tatonno e dopo che quest’ultimo aveva accuratamente spolpato questa “capa”, averla privata di muso, orecchie, occhi, lingua, cervello, laringe e faringe (oltre alle “onorate” corna), lo scheletro della ‘cap’i’vaccìn’ era finalmente disponibile per la cattura degli scuncilli.

Dove metterla e come proteggerla da intrusi?

Seagull engine [2]

Insieme a Carletto (Sandolo, figlio dell’avvocato Luigi), che aveva a disposizione una piccola barca con fuoribordo (il glorioso Seagull 2.5 cavalli), calammo ’a cap’i vaccìn’ sott’acqua in basso fondale dietro i faraglioni della “Madonna”, di pomeriggio, lontano dagli occhi di tutti, provvedendo a legarla con cantoni sul fondo, senza segnali di superficie che potessero incuriosire alcuno.

Il giorno dopo, ’a cap’i’vaccìn’ sommersa era irriconoscibile, ricoperta come era da decine e decine di sconcilli, tutti intenti a succhiare l’osso usato come esca e noi, felici, li raccoglievamo per poterli poi mangiare.

’A cap’i’vaccìn’ poteva essere usata più volte (come facemmo anche noi), fino a quando gli scuncilli non venivano più attratti da una capa che solo capa era rimasta, senza nulla altro da succhiare.

Sconcigli [3]

Il murice comune (Bolinus brandaris) conosciuto anche come Carusolo o Scociglio è un mollusco gasteropode appartenente alla famiglia dei Muricidae


Un prodotto unico: ’u ’ssivo
C’era un prodotto, unico nel suo genere, che veniva messo a disposizione proprio in seguito alla macellazione degli animali sull’isola: ’u ’ssivo.

Quando si procedeva infatti alla macellazione ed alla divisione dei tessuti e delle parti da vendere in macelleria, il grasso sottocutaneo e degli strati profondi veniva separato e messo ad essiccare, suddiviso in pezzi, come delle saponette.

Questo grasso in “saponette” aveva un compito ben preciso: quello di “ingrassare” gli scalmoli usati nelle barche per posizionare i remi in modo da poter remare riducendo al massimo l’attrito. Veniva messo anche sulle falanche, per farvi scivolare sopra le barche nel tirarle a secco.

’U ’ssivo era materiale prezioso e di nobile scambio; non aveva prezzo, anche se era di difficile reperimento; si trovava solo presso le “grotte” dei macellai, dove veniva appeso al soffitto e a corde stese, per asciugarsi delle sierosità rimaste.

Inodore, incolore (grigio ardesia), veniva spalmato con parsimonia e durava a lungo nelle sue funzioni di grasso “antiattrito”.

Quando stava per consumarsi (in seguito al remare prolungato), si poteva sentire come un cigolìo, quando si remava. Si procedeva allora a bagnarlo con acqua marina che aveva un effetto emulsionante sul “sivo”, ma che gli permetteva ancora una sua prolungata permanenza sullo scalmolo della barca.

Questi scalmoli venivano messi di volta in volta in appositi fori praticati sulle fiancate sui bordi delle pareti delle barche, dove inserire gli struoppoli con i quali i remi potevano essere agevolmente usati. Gli scalmoli erano di legno compatto, di una lunghezza di 15-20 cm, religiosamente nascosti sotto i paiuoli di poppa della barca, in numero di 2 o 3 (per averne almeno uno di riserva). Col l’uso dei remi o dei paiuoli venivano fissati e spinti nei fori loro preparati ad accoglierli, per permettere una remata vigorosa ed efficace.

Zio Tatonno teneva questo “sivo” nella sua grotta del grottone di Sant’Antonio e forniva sia a mia cugina Maria Conte (proprietaria di una barca a remi denominata “Rosanna”, 2Ga419) che a mio cugino Silverio Guarino (suo figlio e proprietario di una barca a remi chiamata “Giuseppa” 2Ga56) questo nobile e ruspante grasso naturale.

Poi non si macellarono più le bestie e ’u ’ssivo venne sostituito dal meno nobile e più inquinante grasso industriale.