Ambrosino Vincenzo

Non solo calcio a 5

di Vincenzo Ambrosino
Formia. Palazzetto dello Sport

 

Domenica 18 ottobre la prima partita è stata disputata a Formia nel palazzetto dello sport Amendola. La prima di una lunga serie di trasferte!
Partire per giocare non è un gioco da ragazzi, ma si fa perché per adesso non c’è il campo disponibile a Ponza. I nostri ragazzi dopo essersi svegliati di buon mattino e esser stati dondolati dal cigolìo del traghetto per tre ore, dopo aver fatto colazione e due vasche in via Vitruvio si sono recati eccitati, tesi e spauriti al campo che di casalingo non aveva assolutamente niente.
Si sono trovati in un palazzetto enorme, il “Palamendola” e lì hanno incontrato gli avversari che venivano da Pontinia: freschi, pimpanti, continentali per cui “scafati”.
Dopo il riscaldamento di rito, i saluti, le raccomandazioni e il fischio dell’arbitro i nostri hanno cominciato a correre spronati dal mister che correva con la voce più del pallone.

Miracolo, i nostri avversari erano prudentemente chiusi nella loro metà campo, ci rispettavano, avevano timore dei nostri timori e infatti è stato uno dei nostri piedi a spingere la palla nella porta avversaria. Gioia contenuta nello stomaco, imbevuto di acqua salmastra e addolcito dal cornetto e dal caffè di Troiano.

Nell’intervallo del primo tempo i nostri si sono trovati seduti e attoniti nello spogliatoio, si guardavano guardinghi per capire dove stava il trucco, il mister spiegava che non c’era trucco né inganno, il calcio è semplicemente buttare la palla in fondo alla rete della porta avversaria, ma c’era ancora tutto il secondo tempo da disputare.

E il secondo tempo è un’altra partita, i nostri avversari non possono permettersi più di avere timori e si buttano in avanti e trovano il pareggio: un piede avversario anticipa il nostro difensore.
Non è successo niente, è solo un goal, mettiamo la palla al centro e ripartiamo, ma c’è anche l’arbitro che ha la discrezionalità di fischiare e infatti fischia un fallo inesistente. I nostri piazzano a difesa della porta una timida barriera, indebolita ulteriormente dalla presenza di un giocatore avversario.
E’ uno schema – mentre noi eravamo a Ponza, per tanti anni ad aspettare che si realizzasse la nuova tensostruttura che ci consentisse di riprendere a giocare a calcio a 5, in continente il gioco si faceva sofisticato e si imbastiva di schemi: su punizione, su calcio d’angolo, su falli laterali –  “il giocatore sul punto di battuta passa la palla all’uomo in barriera che la ripassa di prima ad un uomo libero al centro dell’area di rigore il quale non ha difficoltà a segnare la rete del vantaggio”.

Non è successo niente, due gol si rimediano facilmente nel calcio a cinque, basta volerlo.
Ma il buon arbitro si inventa un’altra punizione e vai con un altro schema e vai con un altro gol nella nostra porta.
Restiamo apparentemente calmi ma nessuno è indifferente al fatto che non basta prendere una nave, non basta allenarsi, non basta stare in campo, non basta sacrificarsi ci vuole molto di più. E quel di più lo tentiamo, nell’immenso, ignorando la fatica, ignorando l’enorme campo da gioco tentiamo “il pressing”, marcatura asfissiante fino nella porta avversaria. Ma l’assalto dei nostri viene contenuto e con lunghi passaggi viene aggirato e infatti di contropiede prendiamo anche il quarto goal.

Orgoglio, individuale orgoglio quello non manca ai ponzesi. Le gambe diventano frenetiche, i muscoli sono pronti all’ultimo combattimento e quello sforzo che va oltre ogni aspettativa vince gli schemi, vince l’ostruzionismo furbo e scaltro dei nostri avversari e ci premia e ci consola con il secondo goal.

Risultato finale: Ponza 2 Pontinia 4; la prima sconfitta in casa giocata in trasferta.

A un vincitore nel pallone
di Giacomo Leopardi

Di gloria il viso e la gioconda voce
Garzon bennato, apprendi,
E quanto al femminile ozio sovrasti
La sudata virtude. Attendi attendi,
Magnanimo campion (s’alla veloce
Piena degli anni il tuo valor contrasti
La spoglia di tuo nome), attendi e il core
Movi ad alto desio. Te l’echeggiante
Arena e il circo, e te fremendo appella
Ai fatti illustri il popolar favore;
Te rigoglioso dell’età novella
Oggi la patria cara
Gli antichi esempi a rinnovar prepara.
Del barbarico sangue in Maratona
Non colorò la destra
Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo,
Che stupido mirò l’ardua palestra,
Nè la palma beata e la corona
D’emula brama il punse. E nell’Alfeo
Forse le chiome polverose e i fianchi
Delle cavalle vincitrici asterse
Tal che le greche insegne e il greco acciaro
Guidò de’ Medi fuggitivi e stanchi
Nelle pallide torme; onde sonaro
Di sconsolato grido
L’alto sen dell’Eufrate e il servo lido.
Vano dirai quel che disserra e scote
Della virtù nativa
Le riposte faville? e che del fioco
Spirto vital negli egri petti avviva
II caduco fervor? Le meste rote
Da poi che Febo instiga, altro che gioco
Son l’opre de’ mortali? ed è men vano
Della menzogna il vero? A noi di lieti
Inganni e di felici ombre soccorse
Natura stessa: e là dove l’insano
Costume ai forti errori esca non porse,
Negli ozi oscuri e nudi
Mutò la gente i gloriosi studi.
Tempo forse verrà ch’alle ruine
Delle italiche moli
Insultino gli armenti, e che l’aratro
Sentano i sette colli; e pochi Soli
Forse fien volti, e le città latine
Abiterà la cauta volpe, e l’atro
Bosco mormorerà fra le alte mura;
Se la funesta delle patrie cose
Obblivion dalle perverse menti
Non isgombrano i fati, e la matura
Clade non torce dalle abbiette genti
Il ciel fatto cortese

Dal rimembrar delle passate imprese.
Alla patria infelice, o buon garzone,
Sopravviver ti doglia.
Chiaro per lei stato saresti allora
Che del serto fulgea, di ch’ella è spoglia,
Nostra colpa e fatal. Passò stagione;
Che nullo di tal madre oggi s’onora:
Ma per te stesso al polo ergi la mente.
Nostra vita a che val? solo a spregiarla:
Beata allor che ne’ perigli avvolta,
Se stessa obblia, nè delle putri e lente
Ore il danno misura e il flutto ascolta
Beata allor che il piede
Spinto al varco leteo, più grata riede

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