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Conosciamoci meglio (1)

di Francesco De Luca
Conoscenza reciproca [1]

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L’attuale momento storico presenta per i Ponzesi una fase di mutamento. L’asserzione così posta è banale perché ogni momento storico palesa “mutamenti” da quello precedente. E allora occorre più puntualmente soffermarsi sugli aspetti del mutamento per asserirne la presenza.

Ora, per sfuggire dalla banalità vado ad evidenziare un aspetto forte della cultura ponzese, ovvero la devozione verso i defunti.
Essa è chiaramente di matrice cattolica, con in più la provenienza dalla cultura partenopea, e si è configurata presso i Ponzesi con particolarità rilevabili.

Il Cimitero è un luogo che il Ponzese sente di “dover frequentare”. Perché?

Prima di rispondere a questa domanda diretta occorre ribadire la continuità con la religiosità cattolica partenopea, specie lì dove palesa nel culto dei Morti echi di pratiche pagane. Il bisogno di rinverdire ognora il legame con la realtà del mondo dei Morti, affinché non si spezzi la continuità umana, ha accompagnato tutte le civiltà storiche. La Chiesa di Roma, in seguito, ha elaborato il concetto di comunità dei credenti, la quale comprende chi dimora in Paradiso accanto a Dio Padre, chi trascorre l’esistenza in vita, e chi abita negli inferi in attesa del giorno in cui il Signore frantumerà il Tempo per insediare l’Eternità.

A questa impronta teologica la comunità dei Coloni insediatisi in Ponza ha aggiunto sentimenti umani, carnali e terreni. Cosicché i Morti rinsaldano anzitutto la famiglia. Ovvero il culto dei morti riannoda la comunione fra i familiari “tutti”. I viventi e i defunti.

Perché la famiglia? Perché essa per i Coloni era la prima, la più forte, delle esigenze da curare. L’isolamento fisico, culturale e sentimentale che imponeva l’isola, trovava nell’intreccio familiare il giusto antidoto.

I Coloni vennero “a famiglie intere” perché questo garantiva le braccia per affrontare il lavoro dell’insediamento, garantiva la solidità affettiva per contrastare e vincere le difficoltà del trapianto in un luogo inospitale.

Vennero tanti “nuclei familiari” da paesi diversi, e sconosciuti gli uni agli altri.
Si insediarono nell’appezzamento loro assegnato e cercarono un adattamento proficuo sia con la terra sia con i vicini sia con le autorità civili. Provvedendo prioritariamente alle elementari necessità: nutrirsi, ripararsi, tenersi in salute, badare alla terra, farla fruttificare, badare all’incolumità familiare, curare i rapporti con le autorità civili e religiose.

Detti così appaiono obiettivi normali, facili da raggiungere in una società organizzata civilmente, ma nella pratica essi dovettero piegare i coloni ad una esistenza faticata.

Nella famiglia, con la famiglia e per la famiglia, il tutto poteva essere affrontato più agevolmente.
Il Culto dei Morti rinsalda i vincoli familiari, offre ad essi un aggancio al passato, àncora ad una tradizione.

Ecco un altro punto essenziale: la famiglia veicola una tradizione, sostanziata da una lingua (il dialetto), da comportamenti consolidati relativi alle ricorrenze stagionali, alle feste, alla pratica quotidiana, ai rapporti sociali.
‘A chi appartiene? – Risposta: – a’ razza Sandolo -, oppure: – a i Mazzella ’i Santa Maria.

La razza ovvero la famiglia, riporta implicitamente alle persone che vi appartengono. E le persone hanno una storia, passata e presente. Essa ha lasciato strascichi nel ricordo collettivo per cui abbozza una propria identità, sommaria e sfocata, ma utile, specie lì dove non ci sono altri criteri di giudizio. E criteri di giudizio che potessero illuminare sulle relazioni sociali fra i coloni non ve n’erano, in un complesso di persone sconosciute, accumunate soltanto dall’obiettivo di vivere insieme e in pace, in una terra inospitale (non ancora asservita ai bisogni di una comunità umana).

Questi tratti culturali di marca terrena furono frammisti alla pratica religiosa cattolica del Culto dei Morti. Questo trovò espressione, come comunemente avviene, in due luoghi: in casa e nel Cimitero.

In casa, la pratica era ed è personale, per cui ciascuno la manifesta a modo suo. In genere c’era un angolo sul comò in cui le foto dei trapassati venivano perennemente illuminate dalle fiammelle dei lumini o dalle lampade a petrolio. Da lì sembravano seguire le vicende della famiglia più da vicino e in tempo reale.
Così si credeva, e ad essi ci si rivolgeva quando il coraggio di affrontare le vicende quotidiane vacillava. In ogni caso quei volti confermavano una discendenza, un passato, una continuità.

 

[Conosciamoci meglio (1). Continua]