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Autonomia autarchica dei ponzesi dei secoli scorsi

di Leonardo Lombardi
La Forcina vista dallo scoglio di S. Silverio [1]

 

Credo che si sia riflettuto poco sui sistemi che i ponzesi dell’800, e forse anche prima, mettevano in atto per risolvere i numerosi problemi che hanno assillato e ancora assillano la vita di tutti i popoli della terra; almeno quelli che vivono al di fuori della “civiltà dello spreco” che caratterizza il mondo “occidentale”.

Gli ultimi abitanti di Ponza che potevano avere memoria di quei periodi sono morti, ma ci restano tracce di vario genere e, per nostra fortuna documenti scritti.

L’osservazione delle cisterne romane, qualcuna delle quali forse ancora in funzione al tempo, insegnò ai ponzesi la raccolta d’acqua dai tetti e l’accumulo in ‘cisterne’ che, con un uso saggio, dovevano essere sufficienti a coprire i fabbisogni di tutto l’anno.

Ogni appezzamento di terreno per quanto scosceso, era stato reso più o meno pianeggiante con le stupende parracine, muri a secco di protezione e contenzione che impedivano la discesa a valle di terreni utili (le catene), trattenevano l’acqua delle piogge e consentivamo la coltivazione di cereali, legumi, insalata, agrumi e frutta, per non parlare dell’uva e del vino. Le proteine erano forse più scarse; tuttavia non mancavano polli, pecore, capre e qualche bovino.

Ma i ponzesi si erano specializzati nella caccia con reti di uccelli migratori, nella raccolta delle uova di gabbiani e, soprattutto nella pesca.

Certo per tutti gli oggetti di metallo e forse per certi tipi di tessuti, dipendevano da mercati esterni utilizzando, forse, il sistema del baratto in cambio di pesci pregiati e di pesce secco o sott’olio; con la Sardegna gli approcci con gli abitanti della costa e dell’entroterra erano cominciati così, per proseguire con i risultati che conosciamo.

Data la distanza dal continente gli isolani erano certamente sfavoriti rispetto a paesi altrettanto poveri materie prime.

Tuttavia un passo di Tricoli (Giuseppe Tricoli: Monografia per le isole del gruppo Ponziano, Napoli 1855; nuova edizione 1976) ci racconta un altro frammento di storia e di autarchia.

Nel lontano 1990, chi scrive scoprì un affioramento di argilla nella porzione sud della cala grande del porto di Palmarola: un’argilla, datata Pliocene medio (cioè vecchia di 2.000.000 di anni!). Il ritrovamento fu utilizzato come indicatore per determinare l’età assoluta delle superiori e numerose eruzioni vulcaniche caratteristiche di tutte le isole ponziane.

Ma Tricoli non si occupava di questioni geologiche e di datazioni. Nelle pagine in cui tratta di Palmarola, Tricoli ci racconta che le argille venivano cavate e lavorate per ricavarne, previa cottura, stoviglie in terracotta e forse in ceramica.
Anche in località le Forcine, sempre a Palmarola, secondo Tricoli esistevano cave di argille simili a quelle note nell’isola di Gavi che, evidentemente (per utilizzare quelle di Palmarola, più lontana), non bastavano più a coprire i fabbisogni dell’isola maggiore.

Sarebbe molto bello e interessante se presso qualche famiglia fosse sopravvissuto almeno uno dei pezzi di terracotta, prodotti con le argille estratta dalla cava della cala grande di Palmarola.

Se si fosse dato seguito al progetto che avevo fatto per l’Amministrazione di Antonio Balzano, per la realizzazione di un Museo a Ponza, avremmo un luogo della memoria in cui invitare i turisti non solo per godersi lo stupendo mare dell’isola, ma anche a visitare le due necropoli, parti dell’acquedotto, le cisterne, la diga di Giancos, vero gioiello delle capacità tecniche dei Romani e, perché no, anche la cava d’argilla su cui sorge la villa delle Fendi.

 

Di Leonardo Lombardi; ottobre 2015

La spiaggia di Palmarola e la parete retrostante [2]

La spiaggia di Palmarola e la parete retrostante: immagine di epoca ben più recente rispetto ai fatti descritti nell’articolo

 

Per articoli più aggiornati sul tema del passato di Palmarola, di Mimma Califano, digita – Palmarola nel secolo scorso – nel riquadro “Cerca nel sito”, in Frontespizio (tre articoli)

Foto di copertina. Palmarola. Parte delle due spiagge e la Forcina, viste dallo Scoglio di San Silverio (sempre foto recenti)