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Piante e frutti perduti, ritrovati, fantasticati (2). Il fico

di Sandro Russo
Vendemmia. Dipinto naif [1]

 

Nun brindo a ’o melo… Nun brindo a ’o pero…
Ma brindo a ’o fico… e alla sua signora!
[Brindisi rituale contadino delle parti mie]

Il nobile fico. Nei testi latini di agricoltura (Columella, Varrone, lo stesso Plinio) è nominata una tale varietà di fichi, da ritenere che i romani lo tenessero in gran conto. Al centro del foro cittadino c’era un fico detto Ficus ruminalis (da rumen, mammella) perché la tradizione voleva che alla sua ombra “Romolo e Remolo” succhiassero il latte della lupa che li allevò. Per secoli questo albero fu sostituito non appena seccava, perché la sua morte era ritenuta di cattivo auspicio per le sorti di Roma. Probabilmente questo albero era un caprifico.

L’albero comunemente conosciuto come ‘fico’, tipico dei climi temperati e sub-tropicali, presenta due forme botaniche: il fico domestico (Ficus carica sativa) e il caprifico, o ‘fico delle capre’ (Ficus carica caprificus), entrambi della famiglia delle Moraceae. Il secondo nome ‘carica’ della nomenclatura originaria di Linneo si riferisce alla sua origine dalla ‘Caria’, regione dell’Asia Minore, non già al fatto di essere ‘carico’ di frutti.

Il caprifico produce piccoli frutti poco appetibili, dalla consistenza decisamente stopposa; in questa varietà i fichi non riescono neanche ad arrivare a fine maturazione, poiché cadono sul terreno precocemente.
Il fico domestico produce invece le numerose varietà di fichi che ben conosciamo: ma l’esistenza della varietà selvatica è vitale per la produzione del frutto da parte delle varietà domestiche.
Una particolarità poco conosciuta del fico riguarda infatti la sua impollinazione.

Domanda da cento punti che nessuno si pone, ma che apparirà subito fondamentale: come sono i fiori del fico? Chi li ha mai visti?
Perché nel mondo delle piante – così si insegna ai bambini -, il fiore precede sempre il frutto.
E allora?

In verità i fiori ci sono, solo non sono visibili: si tratta di fiori molto piccoli collocati all’interno di quello che normalmente, ed erroneamente, definiamo frutto. Questa parte della pianta, che botanicamente prende il nome di “siconio”, può essere definita come un falso frutto, poiché in realtà non è altro che l’ingrossamento del ricettacolo.
L’insetto impollinatore agisce in questo modo: attratto da qualche preziosa gocciolina di dolcissimo nettare al fondo del ricettacolo, entra quindi al suo interno e raggiunge poi i fiori femminili trasportandovi il polline maschile assunto nell’apparato riproduttore del caprifico; ed è in questo momento che avviene la fecondazione.

Gli antichi conoscevano questi aspetti dell’impollinazione del fico, almeno nei suoi risvolti pratici, infatti era usi appendere rametti di caprifico fioriti tra le fronde dei fichi a produzione domestica.

L’insetto e la Blastophaga psenes, dell’ordine degli Imenotteri, come le api e le vespe, ma piccolo come un moscerino di 2 mm che compie una parte del suo ciclo vitale sul caprifico e va poi ad impollinare il fico domestico.

Blastophaga psenes. Femmina [2]

Blastophaga psenes esemplare femmina (il maschio è ancora più piccolo): letteralmente mangiatrice di germi

Quello che comunemente viene ritenuto il frutto del fico è in realtà una grossa infruttescenza carnosa.
Nelle prime fasi dello sviluppo dell’abbozzo del fico (‘siconio’) attraverso la piccola apertura alla base (‘ostiolo’), avviene l’entrata degli imenotteri pronubi. 
I veri frutti si sviluppano all’interno dell’infiorescenza (che diventa perciò una infruttescenza), quindi matura i semi – numerosissimi granellini – che sono, dal punto di vista botanico, degli ‘acheni’. La polpa che circonda gli acheni è succulenta e dolce, e costituisce la parte commestibile.

…Fico!? Fichissimo!

5. Caprifico.Bis [3]

Illustrazione e (parziale) didascalia dalla ‘Pomona’ di Gallesio. Altre spiegazioni sul caprifico nel testo

Fico Trojano [4]

La scheda del fico Trojano (dalla “Pomona” del Gallesio)

6. Fico fetifero [5]

Una curiosità botanica e un fico poco comune, il fico ‘fetifero’, portatore al suo interno dell’abbozzo di un altro frutto, che dà ragione della denominazione di ‘fico dall’osso’. Sempre dalla ‘Pomona’ di Giorgio Gallesio

Varietà di fichi
Le più diffuse in Italia sono diversi tipi di fico precoce (Columbri), Brogiotti (sia bianchi che neri), il diffusissimo Dottato, oltre a Troiano, Fico bianco del Cilento, Gentile, ecc. Particolarmente vocati all’essiccazione sono Dottato, Fico bianco del Cilento, Farà e Taurisano.
In Francia si coltivano soprattutto Blanquette, Bourjassotte (bianco o nero), Dauphine, Col de Dame.
In Grecia la varietà più diffusa è la Smirne, molto adatta all’essicazione. In Portogallo, tra gli altri, Lampeira, Lampa Preta, Pingo de mel. Princesa. In Spagna sono diffusi vari tipi di Blanca, Negra, Coll de Dama, Napolitana; quest’ultima, insieme a Pajajero e Martinenca, è adatta all’essiccazione (per le diverse varietà di fichi e le relative immagini, consulta il .pdf alla fine dell’articolo).

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Il termine “fegato”
Ancora una curiosità sui fichi. Riguarda l’etimologia della parola ‘fegato’, denominato epatos in greco (da cui gli aggettivi correlati) ed iecur in latino (iecur iecoris, neutro, della III declinazione: indimenticabile!).
La genesi del termine italiano “fegato” è ben strana e deriva da una prelibatezza gastronomica dell’antichità, lo ‘iecur ficatum’ di una famosa ricetta di Apicio (il ‘fegato ai fichi’, di cui sono state tramandate diverse versioni).
Accadde che nel basso medioevo, al passaggio dalla lingua latina al volgare, il primo dei due termini si perse, e ‘ficatum’, venne ad indicare l’organo che intendiamo ora. 7. Fegato [6]

Illustrazione di Claudia Ricci del concetto suddetto

Esempio che io sappia unico di un equivoco etimologico che si è affermato tanto da dare ‘per traslato’ il nome ad un organo del corpo umano!

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Il fico nella tradizione, nella religione e nell’arte
Il fico è stato sopra ogni altro, il più importante albero di frutta degli albori dell’umanità, intesa come la civiltà che si è sviluppata in Mesopotamia e intorno al bacino del Mediterraneo.

Era un fico, e non un melo, “l’albero della conoscenza del bene e del male” di cui parla la Bibbia.
Ben era noto questo fatto a Michelangelo quando dipinse la Cappella Sistina!

Michelangelo. Il Peccato Originale e la cacciata dal Paradiso Terrestre [7]

“Peccato originale e cacciata dal Paradiso terrestre”: affresco (2.80 x 5.70 m) di Michelangelo, databile al 1510 circa; fa parte della decorazione della volta della Cappella Sistina, commissionata da Giulio II (cliccare per ingrandire)

La tradizione mediterranea identificava l’Albero della Conoscenza appunto come una pianta di fico. In seguito, nelle varie rappresentazioni dell’arte e in alcune opere letterarie, l’albero, da fico è trasformato in un melo, a causa di un’errata traduzione del latino “malum”, che come aggettivo significa “male” ma come sostantivo prende il significato di “mela”.
Infatti dopo il peccato, presi da vergogna per le proprie nudità si coprirono con foglie di fico (mica di melo!).
Leggiamo infatti nel racconto biblico (Genesi 3,7):
“Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.”

 

 

Note

Digita – cultura contadina – nel riquadro “Cerca nel Sito”, in Frontespizio per l’intera serie (sei puntate) a firma Mimma Califano sulle colture tradizionali ponzesi

Per quanto riguarda specificamente i fichi nella tradizione ponzese, sul sito: leggi qui [8] e qui [9]

Per la prima puntata di questo articolo: leggi qui [10]

Tipologie e varietà: Le varietà di fichi [11]

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[Piante e frutti perduti, ritrovati, fantasticati. (2) – Continua]

Appendice

La foto del fico “scostumato”ponzese inviata da Sandro Vitiello

Fico scostumato ponzese di Sandro Vitiello [12]