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Caos greco

di Vincenzo (Enzo) Di Fazio

coda ai bancomat greci [1]

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Non sono stati sufficienti oltre cinque mesi di estenuanti trattative per raggiungere un accordo tra la piccola Grecia rappresentata dall’uomo della speranza Tsipras, eletto premier il 25 gennaio con la delega a riscattare la dignità del popolo greco (leggi qui [2]), ed i suoi creditori, il FMI, la Commissione Europea e la BCE.

Cinque lunghi, sfibranti mesi durante i quali al tavolo delle trattative non sempre si è “giocato” a carte scoperte e dai quali il popolo greco esce ulteriormente indebitato, fiaccato, impoverito.
Cionondimeno secondo alcuni ultimi sondaggi i greci per il 70% vogliono restare in Europa e, oltre il 50% sarebbe disposto ad accettare anche maggiori sacrifici pur di avere la certezza di restarci ma a condizioni umane.

Gli incontri succedutisi, nell’ultima settimana, con una frequenza quasi quotidiana avevano lasciato ben sperare.
Le posizioni del governo greco e dell’ex Troika si erano molto avvicinate: su alcuni punti si trattava solo di questione di date, sui numeri della manovra economica riguardante essenzialmente l’Iva e le pensioni la differenza poco più di mezzo miliardo.
In effetti i dati del bilancio greco, del suo debito, del suo prodotto interno lordo rappresentano una piccolissima parte dell’economia europea.
La Grecia ha oggi un debito di circa 330 miliardi pari al 2,4% del debito dell’area euro e un prodotto interno lordo di 186 miliardi pari all’1,4% del Pil europeo.
E leggendo questi dati appare incredibile che una soluzione non si sia trovata.
In occasione di uno degli ultimi incontri Tsipras era tornato a casa dicendo: “La Grecia è pronta a un compromesso difficile. Ma se l’Europa vuole ancora sottomissione, noi rifiuteremo”.

Grecia al referendum [3]
L’ultima proposta lasciata dal governo greco è tornata al mittente con una serie di correzioni su cui è prevalsa essenzialmente l’intransigenza del FMI: nessuna agevolazione per quanto riguarda l’applicazione dell’IVA per le isole, gli hotel e ristoranti che Tsipras voleva tener fuori dall’aumento dal 13 al 23%; nessuna imposizione fiscale sui profitti delle aziende superiori ai 500 mila euro che, invece, Tsipras, voleva tassare, una tantum, del 12%, solo cinque mesi di tempo per l’attuazione delle riforme, ma soprattutto nessuna apertura alla richiesta di Tsipras di addivenire subito ad un piano di ristrutturazione del debito.
Il tavolo delle trattative è stato abbandonato e ne è derivato ieri, attraverso una sofferta videoconferenza, l’annuncio a sorpresa di Tsipras di ricorrere al referendum popolare per avere dal popolo l’assenso o meno all’ulteriore austerità richiesta.

fine delle trattative [4]
Il referendum ha ottenuto nella stessa giornata di ieri  l’approvazione del parlamento greco e domenica 5 luglio ci sarà la consultazione.
Molti pareri sono stati formulati su questa mossa di Tsipras. C’è chi l’ha vista come un passaggio di delega ed un’azione irresponsabile, chi, invece, come un atto democratico in quanto va in direzione del rispetto della sovranità popolare.
Oltre cinque anni di austerità senza che si siano ottenuti risultati non sono bastati ai tecnocrati per capire che forse la soluzione dei debiti dei paesi più deboli dell’area euro non sta nella quadratura dei bilanci ma piuttosto in scelte politiche coraggiose che, al centro delle decisioni, devono avere la condivisione dei sacrifici ed il rispetto della dignità dei popoli.
Cinque anni di austerità hanno significato per la Grecia l’aumento della disoccupazione dal 12,6 al 26,5% e la contrazione dei consumi di oltre il 20%. Il prodotto interno lordo è crollato in soli sette anni del 25%, considerata – per un paese industrializzato – la più grave decrescita della storia mondiale non dovuta a guerre o rivoluzioni.

popolo greco in piazza [5]

L’Europa nella gestione della crisi greca ha mostrato tutta la sua debolezza politica.
Nelle prossime ore il problema Grecia potrebbe ancora trovare una soluzione; dipende dalla capacità del FMI, della Commissione Europea, della BCE e della stessa Grecia di districarsi tra i regolamenti, i paletti, gli obblighi, i parametri che la gestione del debito pubblico impone.
Il che significherebbe lo sblocco di 7,5 miliardi di aiuti.

Il 30 giugno la Grecia deve restituire al FMI 1,6 miliardi di euro che non ha e di cui non ha ottenuto la proroga fino alla consultazione del referendum. Non pagando la Grecia non va automaticamente in default ma viene considerata dal FMI “in arretrato con i pagamenti”; in effetti ha ancora un paio di settimane per saldare il debito.
La BCE continuerà a mantenere i finanziamenti di emergenza alla Banca Centrale Ellenica fino a martedì. Draghi non si è ancora pronunciato sulla richiesta di proroga fatta dall’esecutivo greco.
In effetti gli obblighi statutari e istituzionali non glielo consentono se non c’è accordo sui programmi.
Tsipras ha intanto annunciato la chiusura delle Banche fino alla consultazione referendaria di domenica e da martedì dai bancomat potranno essere prelevati solo 60 euro.
A questo punto, se non si arriva ad una soluzione in extremis, il ruolo più importante ancora una volta ce l’ha il popolo chiamato ad una scelta difficile che, secondo le tante dichiarazioni raccolte, non è contro o a favore l’euro ma contro o a favore una maggiore austerità.

Il futuro della Grecia dopo il referendum, sia che vinca il “SI” sia che vinca il “NO”, sarà pieno di incognite.
E l’Europa non sarà più la stessa.